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Nicola Palmiotto

L’era dei fuoricampo

In questa stagione di MLB la media di home-run si sta avvicinando a quella dell'epoca…

Sui capannoni il logo “Rawlings”, rosso con quel font bombato e un po’ retrò, non stona per niente con il verde delle montagne fitte di vegetazione del Costa Rica. Un panorama che gli operai, chini sulla propria postazione a cucire le palle da baseball, non si godono per niente. Anzi, secondo un reportage di due anni fa di Sarah Blaskey per il Tico Times (un giornale d’inchiesta in lingua inglese di San Josè), le condizioni dei lavoratori non sarebbero esattamente quelle ideali. E per non farsi mancare niente, presto 200 di loro perderanno il proprio posto perché la Rawlings prende armi e bagagli e se ne va in El Salvador.

 

La foto è stata scattata da Zack Hample, il baseball collector, durante una visita allo stabilimento di Turrialba raccontata nel suo blog.

 

Sicuramente ai lavoratori poco importa sapere che la fabbrica di Turrialba, in cui la Rawlings produce le palline ufficiali usate dalla Major League Baseball, sia finita al centro di alcune teorie che provano a spiegare il mistero, finora irrisolto, dell’aumento senza precedenti degli home run durante l’ultima stagione e mezzo.

 

 

Il caso

 

Dalla pausa per l’All Star Game dell’anno scorso il baseball statunitense ha assistito alla crescita esponenziale del numero dei fuoricampo realizzati. Un fenomeno con pochi precedenti e senza apparenti spiegazioni. Nella stagione scorsa sono finite tra la folla o fuori dagli stadi 1398 palline in più rispetto al 2014. Quest’anno se sarà confermato il passo tenuto fino all’All star break, il numero degli home run salirà alla cifra mostruosa di 5600, facendo registrare un aumento del 33% rispetto a due anni fa. Soltanto nel 2000 se ne misero a segno di più. Ma quella stagione era l’apice della cosiddetta steroid era.

 

Considerando il rapporto tra numero di home run e presenze al piatto, la stagione 2016 all’inizio di luglio segnava una percentuale del 3,04%, addirittura superiore al 2,99% del 2000.

 

 

Rispetto al 2014, la stagione con meno home run nelle ultime 20, il numero di fuoricampo che ogni squadra mette a segno in media in ogni partita è passato da 0,86 ad 1,16. Numeri che lasciano senza fiato, se paragonati a quello che succedeva soltanto due stagioni fa, quando la crisi degli attacchi aveva fatto registrare livelli talmente bassi, che per trovare un precedente bisognava risalire ad addirittura 40 anni prima.

 

Perché si era toccato un punto così basso è piuttosto semplice da spiegare. Si va dalla lotta senza quartiere dell’Mlb nei confronti del doping, che a cavallo del millennio aveva raggiunto livelli inauditi, con l’introduzione a partire dal 2006 di controlli sempre più stringenti e puntuali, all’espansione della strike zone, all’aumento delle velocità dei lanci dei pitcher e la crescita esponenziale dei defensive shift.

 

 

Un problema talmente grave che fu il primo argomento a turbare i sonni di Rob Manfred, il commissioner della lega subentrato nel gennaio del 2015 a Bud Selig. Le soluzioni che vennero in mente a Manfred furono le più disparate come proibire i defensive shift, introdurre il battitore designato anche nella National League o restringere l’area di strike. Manfred però scelse di non decidere, e nessuna di queste proposte fu attuata. Poi all’improvviso i numeri di home run e punti segnati sono cominciati a crescere.

 

È capitato altre volte nella lunga storia del baseball che il numero degli home run crescesse di 700 o più unità rispetto alla precedente stagione, come è accaduto nel 2015. Ma ogni volta l’evento era correlato ad un fatto ben preciso. Nel 1977 fu cambiata l’azienda produttrice delle palline, dalla Spalding si passò alla Rawlings. Nell’82 e nel ‘94 il fenomeno si verificò per via degli scioperi che diminuirono il numero delle partite. Allo stesso modo grandi balzi in fatto di home run (s’intende una percentuale di incremento almeno a due cifre tra un’annata e l’altra) avvennero nel ’70, quando si abbassò il monte di lancio, o nel ’47 dopo il ritorno dei reduci dalla seconda guerra mondiale.

 

Insomma fatti specifici, dovuti a cambi di attrezzi o regolamenti. Dall’All Star game 2015 a oggi non è successo niente di tutto questo. Eppure nel mese di settembre 2015 il numero di basi totali è stato superiore a quello di ciascun mese nella intera storia del baseball, eccetto maggio 2000. Di fronte a questo mistero scienziati, analisti e le menti più acute del Paese allargano le braccia sconsolati. «Qualcosa è sicuramente cambiato. Non so cosa, ma qualcosa è cambiato», ha detto Robert J. Vanderbei, professore di matematica alla Princeton University, dopo aver invano tentato di spiegare il fenomeno con un modello matematico. Insomma tra il 2014 e oggi se un giocatore va al piatto secondo Vanderebei ha le stesse identiche probabilità di colpire un home run. Invece non è così.

 

 

Qualcosa è cambiato

 

Se di punto in bianco tutti i battitori d’America si sono messi a spedire palline fuori campo qualcosa deve essere successo. Intorno alla vicenda sono state formulate svariate teorie, alcune verosimili altre molto discutibili.

 

L’ipotesi doping è una di queste. Ma il fenomeno è troppo generalizzato e si potrebbe spiegare solo se prendessimo per buona l’idea che dopo l’All Star Break 2015 tutti i giocatori all’unisono abbiano cominciato ad assumere una sostanza in grado di sfuggire ai controlli. Compreso Bartolo Colon, lanciatore dei Mets, che dopo 19 stagioni di onorato e sporadico (quando giocava nell’American League) servizio al piatto, proprio quest’anno è riuscito nell’impresa di firmare il primo home run in carriera.

 

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Nicola Palmiotto vive a Giovinazzo e tifa l'AS Bari. Laureato in lettere classiche per scommessa (persa), soffre d’insonnia e per questo ha imparato ad amare gli sport americani.