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Nicola Palmiotto
L'era dei fuoricampo
05 set 2016
05 set 2016
In questa stagione di MLB la media di home-run si sta avvicinando a quella dell'epoca degli steroidi. Come è possibile?
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Nicola Palmiotto
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Sui capannoni il logo “Rawlings”, rosso con quel font bombato e un po’ retrò, non stona per niente con il verde delle montagne fitte di vegetazione del Costa Rica. Un panorama che gli operai, chini sulla propria postazione a cucire le palle da baseball, non si godono per niente. Anzi, secondo un

di due anni fa di Sarah Blaskey per il

(un giornale d’inchiesta in lingua inglese di San Josè), le condizioni dei lavoratori non sarebbero esattamente quelle ideali. E per non farsi mancare niente, presto 200 di loro perderanno il proprio posto perché la Rawlings prende armi e bagagli e se ne va in El Salvador.

 


La foto è stata scattata da Zack Hample, il baseball collector, durante una visita allo stabilimento di Turrialba raccontata nel suo blog.



 

Sicuramente ai lavoratori poco importa sapere che la fabbrica di Turrialba, in cui la Rawlings produce le palline ufficiali usate dalla Major League Baseball, sia finita al centro di alcune teorie che provano a spiegare il mistero, finora irrisolto, dell’aumento senza precedenti degli home run durante l’ultima stagione e mezzo.

 

 



 

Dalla pausa per l’All Star Game dell’anno scorso il baseball statunitense ha assistito alla crescita esponenziale del numero dei fuoricampo realizzati. Un fenomeno con pochi precedenti e senza apparenti spiegazioni. Nella stagione scorsa sono finite tra la folla o fuori dagli stadi 1398 palline in più rispetto al 2014. Quest’anno se sarà confermato il passo tenuto fino all’All star break, il numero degli home run salirà alla cifra mostruosa di 5600, facendo registrare un aumento del 33% rispetto a due anni fa. Soltanto nel 2000 se ne misero a segno di più. Ma quella stagione era l’apice della cosiddetta steroid era.

 

Considerando il rapporto tra numero di home run e presenze al piatto, la stagione 2016 all’inizio di luglio segnava una percentuale del 3,04%, addirittura superiore al 2,99% del 2000.

 




 

Rispetto al 2014, la stagione con meno home run nelle ultime 20, il numero di fuoricampo che ogni squadra mette a segno in media in ogni partita è passato da 0,86 ad 1,16. Numeri che lasciano senza fiato, se paragonati a quello che succedeva soltanto due stagioni fa, quando la crisi degli attacchi aveva fatto registrare livelli talmente bassi, che per trovare un precedente bisognava risalire ad addirittura 40 anni prima.

 

Perché si era toccato un punto così basso è piuttosto semplice da spiegare. Si va dalla lotta senza quartiere dell’Mlb nei confronti del doping, che a cavallo del millennio aveva raggiunto livelli inauditi, con l’introduzione a

di controlli sempre più stringenti e puntuali,

, all’aumento delle velocità dei lanci dei pitcher e la crescita esponenziale

.

 



 

Un problema talmente grave che fu

a turbare i sonni di Rob Manfred, il commissioner della lega subentrato nel gennaio del 2015 a Bud Selig. Le soluzioni che vennero in mente a Manfred furono le più disparate come proibire i defensive shift, introdurre il battitore designato anche nella National League o restringere l’area di strike. Manfred però scelse di non decidere, e nessuna di queste proposte fu attuata. Poi all’improvviso i numeri di home run e punti segnati sono cominciati a crescere.

 

È capitato altre volte nella lunga storia del baseball che il numero degli home run crescesse di 700 o più unità rispetto alla precedente stagione, come è accaduto nel 2015. Ma ogni volta l’evento era correlato ad un fatto ben preciso. Nel 1977 fu cambiata l’azienda produttrice delle palline, dalla Spalding si passò alla Rawlings. Nell’82 e nel ‘94 il fenomeno si verificò per via degli scioperi che diminuirono il numero delle partite. Allo stesso modo grandi balzi in fatto di home run (s’intende una percentuale di incremento almeno a due cifre tra un’annata e l’altra) avvennero nel ’70, quando si abbassò il monte di lancio, o nel ’47 dopo il ritorno dei reduci dalla seconda guerra mondiale.

 

Insomma fatti specifici, dovuti a cambi di attrezzi o regolamenti. Dall’All Star game 2015 a oggi non è successo niente di tutto questo. Eppure nel mese di settembre 2015 il numero di basi totali è stato superiore a quello di ciascun mese nella intera storia del baseball, eccetto maggio 2000. Di fronte a questo mistero scienziati, analisti e le menti più acute del Paese allargano le braccia sconsolati. «Qualcosa è sicuramente cambiato. Non so cosa, ma qualcosa è cambiato», ha detto Robert J. Vanderbei, professore di matematica alla Princeton University, dopo aver invano tentato di spiegare il fenomeno con un modello matematico. Insomma tra il 2014 e oggi se un giocatore va al piatto secondo Vanderebei ha le stesse identiche probabilità di colpire un home run. Invece non è così.

 

 



 

Se di punto in bianco tutti i battitori d’America si sono messi a spedire palline fuori campo qualcosa deve essere successo. Intorno alla vicenda sono state formulate svariate teorie, alcune verosimili altre molto discutibili.

 

L’ipotesi doping è una di queste. Ma il fenomeno è troppo generalizzato e si potrebbe spiegare solo se prendessimo per buona l’idea che dopo l’All Star Break 2015 tutti i giocatori all’unisono abbiano cominciato ad assumere una sostanza in grado di sfuggire ai controlli. Compreso Bartolo Colon, lanciatore dei Mets, che dopo 19 stagioni di onorato e sporadico (quando giocava nell’American League) servizio al piatto, proprio quest’anno è riuscito nell’impresa di firmare il primo home run in carriera.

 


Colon ha impiegato 30,58 secondi per “correre” intorno alle basi, uno dei giri più lenti di sempre.





Per non parlare di Giancarlo Stanton, che deve aver portato questo fantomatico sistema di doping ad un altro livello, visto che nell’home run derby 2016 ha battuto la cifra record di

. L’altra ipotesi da scartare è l’avanzamento delle barriere in alcuni stadi come il

, il

o il

, che chiaramente potrebbero aver favorito l’aumento del numero di home run, ma si tratta di singoli casi che da soli non riescono a spiegare a livello numerico l’intero fenomeno in atto.

 

Così come è poco credibile la teoria dell’aumento della temperatura globale. Alan Nathan, professore di fisica all’Università dell’Illinois ha dimostrato che esiste una correlazione tra l’aumento della temperatura e il volo della pallina. Un grado Fahrenheit in più, secondo Nathan, si traduce in un +0,6% home run. Se è vero che il

è stato l’anno più caldo di sempre (e il 2016 si appresta a batterlo), l’aumento percentuale degli home run (+17,3% tra ’14 e ’15) è troppo grande per essere spiegato con la teoria di Allan.

 

Per altri la pioggia di fuoricampo sarebbe il prodotto delle nuove generazioni di giocatori come Chris Bryant, Kyle Schwarber, Carlos Correa, Joc Pederson e Miguel Sano. Nel 2015 i rookies hanno collezionato 714 home runs, un record per l’Mlb, ma pure questo numero è troppo piccolo per spiegare da solo l’esplosione dei fuoricampo.

 

Forse una spiegazione che fa un passo avanti verso la soluzione dell’arcano può essere l’attitudine dei battitori, che dopo l’avvento della sabermetrica hanno ormai imparato a non tenere molto in conto la media battuta e quindi a non temere, come si faceva un tempo, gli strike out. La conseguenza è una maggiore propensione a girare la mazza per buttare la pallina più lontano possibile. Che d’altra parte è un rimedio contro i defensive shift. «Il nostro coach vuole che i battitori colpiscano la pallina alta», ha detto Jon Lester, pitcher dei Cubs. Un fenomeno che trova una spiegazione anche nei numeri. Infatti sebbene la percentuale di fly ball sia rimasta invariata nelle ultime stagioni sono aumentate le fly ball che diventano home run. Secondo

nelle ultime stagioni questo dato è arrivato a quasi il 13%, il numero più alto dal 2002, quando cioè questa statistica è stata introdotta.

 

Il volo fuori dal campo delle palline dipende anche dalla velocità, con cui la sfera abbandona la mazza del battitore, una parte di cui deriva anche da quella impressa dal lanciatore. Quindi il fenomeno crescente dei power pitcher può in parte spiegare l’aumento di fuoricampo. «La velocità media di una fastball sei o sette stagioni fa era 91 mph. Oggi invece è 93. Se la velocità è maggiore e colpisci la palla bene andrà più lontano. Questa è scienza», ha spiegato Josh Donaldson, l’Mvp dell’American League dello scorso anno. Ma l’ossessione per la velocità a discapito del controllo, se da un lato produce molti strike out, dall’altro può portare a meno accuratezza e quindi più home run. «La cutter è un grande lancio e sono in molti che la tirano. Ma se la cutter non gira al momento giusto è veramente un buon lancio da buttare fuori», assicura Stephen Vogt, catcher degli A’s.

 

 



 

Nessuna di queste teorie riesce però a svelare fino in fondo l’esplosione degli home run in quest’ultimo anno e mezzo. Può darsi che la spiegazione sia, molto più banalmente, una somma di tutti questi fattori, così come la ragione potrebbe risiedere altrove, in qualcosa al momento ignota, che tira in ballo l’oggetto principale del gioco: la pallina. Detto altrimenti: sono state introdotte, all’insaputa di tutti, palline più performanti capaci di generare più fuoricampo.

 

I giocatori interrogati sul tema hanno reagito in maniera differente. Matt Scherzer, uno dei lanciatori maggiormente afflitto dalla piaga degli home run (è attualmente quello che ne ha subìti di più nella National League), pur non volendo «lanciare il sasso» ha chiesto all’Mlb di esprimersi sulla vicenda. Jonathan Lucroy, neo catcher dei Texas Rangers, ha invece negato ogni addebito: «Lanciamo queste cose così spesso che saremmo in grado di dire se qualcosa fosse cambiato». L’Mlb per bocca del portavoce Mike Teevan ha confermato che la lega conduce estensive analisi sulle performance delle palline da baseball e che non sono emerse differenze.

 

C’è però uno

condotto da

, il blog fondato da Nate Silver, il celebre statistico che nel 2008 predisse con esattezza i

in 49 Stati su 50, che ha provato ad addebitare la crescita esponenziale degli home run proprio alle palline. Un fatto che ci riporta dritto dritto proprio alla fabbrica di Turrialba.

 

https://www.youtube.com/watch?v=mfPuRoStEdw

L’ipnotica serie “How it’s made” ci spiega come si costruisce una pallina da baseball.





Sebbene le analisi di laboratorio sul coefficiente di restituzione tra differenti tipi palline (uno dei fattori che se variato potrebbe spiegare la capacità di percorrere maggiori distanze) non abbiano mostrato risultati soddisfacenti, l’unica spiegazione plausibile,

, potrebbe risiedere nel processo di costruzione. Un’ipotesi che sarebbe confermata dal timing con cui l’esplosione degli home run è avvenuta, ovvero dopo l’All Star Break 2015, quando cioè le squadre si assicurano la fornitura di palline per la seconda parte della stagione.

 

A rinforzare questa tesi ci sarebbero delle discrepanze nel numero degli home run tra Majors e Minors, la cui forbice si sarebbe allargata proprio a partire dal 2015, e che potrebbe dipendere dalle palline, se è vero che quelle delle Majors sono prodotte in Costa Rica mentre quelle delle Minors arrivano dalla Cina.

 



 

Una pallina costruita in un modo diverso vola più lontano e risolve in un attimo il problema della crisi dei punteggi “calcistici”, tanto invisi ai tifosi di baseball, che assillava particolarmente Rob Manfred al momento del suo insediamento ai vertici dell’Mlb. Del resto un caso simile è già accaduto nel 2013 in Giappone. Il commissioner Ryozo Kato fu

dopo che fu scoperta l’introduzione di una pallina in grado di rispondere meglio all’interazione con la mazza, tenuta segreta. Ed inoltre sembra che l’ipotesi di costruire una palla che volasse più lontana fosse una del pacchetto di proposte

da Manfred.

 

Naturalmente si tratta di teorie che provano a squarciare un velo in una faccenda che al momento resta avvolta dalle ombre. E quando parliamo di ombre non dobbiamo per forza alludere al significato connotativo del termine. Può darsi che la risposta sia molto più semplice, solo (ma questo fatto è davvero molto strano) che nessuno finora è stato in grado di dimostrarlo. Ma se c’è un popolo abituato a scavare per trovare la verità, quelli sono gli americani. Quindi presto la risposta salterà fuori.

 

 

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