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(di)
Francesca Marzia Esposito
Troppo Grosse
17 apr 2024
17 apr 2024
Pubblichiamo un estratto da "Ultracorpi - La ricerca utopica di una nuova perfezione" di Francesca Marzia Esposito uscito per Minimum Fax 
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Francesca Marzia Esposito
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Pubblichiamo un estratto da "Ultracorpi - La ricerca utopica di una nuova perfezione" di Francesca Marzia Esposito uscito per Minimum Fax, in cui l'autrice costruisce una mappa dell’immaginario legato al corpo e alle sue trasformazioni, appoggiandosi a vicende insieme popolari ed esemplari come quelle di Ronnie Coleman, Arnold Schwarzenegger e Iris Kyle per il body building; Carla Fracci, Rudolf Nureyev e Roberto Bolle per la danza. Il palco è una scatola buia dinamizzata da luci fluide blu metano. Parabole fluorescenti guizzano nell’oscurità legandosi e slegandosi continuamente in una geometrica, elettronica, stilizzata origine del mondo. Il concetto di creazione ridotto a livello grafico. Solo lampi di luce che solcano le tenebre. C’è una musica di sottofondo e, anche se non si vede, si avverte la presenza carica della platea nella penombra. Il pubblico è lì e qui dove sono io, oltre la quarta parete dello schermo acceso. Io sono l’estensione immaginifica di ciò che non posso vedere nel video ma che so esistere. Io, come gli altri, sto generando quel campo ad alta tensione che comprime l’atmosfera. Una ramificazione elettrica emanata dai nostri corpi. Corpi bui, invisibili, seduti davanti al palco e ovunque nell’etere. Corpi testimoni, pronti a ricevere e a rimandare indietro l’energia. Dalla prima quinta di sinistra entra lei, Iris Kyle, la regina incontrastata. La Kyle è una maciste nera, detentrice del record assoluto di vittorie. Con diciassette titoli all’attivo, di cui dieci medaglie di Ms. Olympia e sette di Ms. International (l’Arnold Classic per le donne), nessuno l’ha mai eguagliata, nemmeno nella divisione maschile. Classe ’74, 1,70 di altezza per un peso di 75 chili in contest e di 82 off season, Iris Kyle è soprannominata Chocolate Chip, Iron Maiden, Bertha, The Female Ronnie Coleman. Enorme, piantata a terra, con tutta la catena muscolare sbalzata in rilievo, è il prototipo di corpo ibrido che fonde insieme il concetto di maschile e femminile. La pantera procede e compie la t-walk sotto i riflettori radenti. È scalza. Ha un passo da felino. Come se avesse dei cuscinetti sospensori sotto le piante dei piedi. Puro muscolo satinato che avanza. Muove le spalle in opposizione al bacino, una torsione che dà maggiore tridimensionalità al corpo, fa battere meglio la luce sui muscoli, li rende più volumetrici. Spostare il baricentro a seconda del riequilibrio simmetrico da ottenere, e fare in modo che la luce scenda in un certo modo, creerà ombre drammatiche sul corpo. Articola alla perfezione le ginocchia e incrocia i piedi mettendo le gambe una davanti all’altra, per quanto le sia possibile, visti i volumi degli adduttori e della coscia. Compie una model walk aerea, leggera, con il peso del corpo spinto sul metatarso in modo da dare l’idea di fluidità motoria e, al tempo stesso, rimanere possente e greve. Spinge a terra e si eleva in direzione opposta. C’è un che di aerodinamico nel suo volume ipertrofico sgrassato a dovere. È un corpo di grossa cilindrata. Affilato e cauto. Il costume che indossa, rigorosamente incrociato a ics sulla schiena, con le coppe semirigide luccicanti e lo slip ridottissimo (non è un perizoma, da regolamento la sgambatura dello slip dovrebbe lasciare coperto circa un terzo di gluteo, più o meno il corrispettivo del modello che per noi umani risponde al nome di brasiliana), sembra disegnato. Come fatto a pennarello. Il tessuto non ha consistenza. È come se non aderisse alla pelle. Come se fosse stato incollato sopra un materiale troppo duro per poter essere rivestito. A centro palco si ferma e compie una posa semirilassata frontale, braccia staccate dai fianchi tenute in uno stato di leggera contrazione. È così che apre la sua routine. La routine è il biglietto da visita con cui si presenta ogni atleta. Il momento in cui esibisce la sua personale danza statica: Buongiorno, sono un corpo massimamente condizionato, in assetto di estremo controllo, e ora ve lo dimostrerò. Gli atleti hanno a disposizione due minuti scarsi di esibizione e, in quel tempo ridotto, devono riuscire a sottolineare qualità, punti di forza e, possibilmente, velare le loro carenze. Per portare a termine un’eccellente routine occorre tenere sotto controllo lo stress, la tensione, la paura. L’intero magma emotivo deve essere opportunamente freddato e ribassato in una zona profonda. Un po’ come accade per la danza. Quando sali sul palco devi sprofondare in una condizione mentale zen. Una dimensione altra, vigile e separata da te. In quei due minuti di esibizione, devi esistere in un regime di insensibilità. O di nuova sensibilità, prettamente muscolare. Sono le braccia, le gambe, la pelle, a vivere un’esperienza estatica: tu al momento sei l’automa che regge l’insieme, scollegato eppure enormemente presente: fai un bel sorriso e lancia uno sguardo sicuro all’incognita della platea. Le pose sono collegate, la bravura sta nel passare da una all’altra in maniera armonica, senza che se ne ravveda lo sforzo, la difficoltà meccanica. È un’onda coreografica che alterna gesti segnati da una maggiore enfasi, solitamente appoggiati sugli accenti musicali, a passaggi più deboli di collegamento. Un po’ quello che si fa quando si racconta una storia, dipanando un filo narrativo interpuntato da eventi salienti, stemperato da momenti di minor tensione, solo che questa è una narrazione astratta. Come per la danza, la presenza scenica, la padronanza e l’eleganza studiata dei movimenti rivelano un mondo codificato e impossibile da tradurre. Lo storytelling qui è prettamente muscolare. Mano sul fianco, sorriso, e Kyle giunge fino al proscenio, padrona di sé e della scena. Coglie al volo l’accento musicale mentre stende la gamba di lato. Quasi che il suono lo avesse provocato lei con quel movimento. Esegue una torsione del busto e stende il braccio in diagonale verso il basso, come se dovesse infilarlo dentro qualcosa di denso, vischioso. Il tricipite sbalza a tutto tondo, il dentato sotto l’ascella è talmente segnato da sembrare un ripiano rastrellato. Tutti i muscoli affiorano uno dietro l’altro, come in un domino di caselle di carne. Continua con un circuito di posizioni. Si sposta per lasciarsi ammirare in frontale e laterale, poi si gira e dà una sberla al pubblico con una v-shape da paura. Schiena a imbuto e glutei tiratissimi. Siamo lontani anni luce da ciò che noi comuni mortali definiamo culo. La rotondità di un fondoschiena anche bello ma ancora inscritto nella curva a noi familiare qui viene sostituita dal suo corrispettivo anatomico. Il dettaglio importante da mostrare è l’inserzione tendinea nella tuberosità femorale. Detta in parole povere, la forma a goccia che si restringe nella parte inferiore, dove il gluteo si collega alla coscia. Di solito in quel punto si accumula la piega lipidica dei nostri sederi dozzinali, qui invece esiste solo un promontorio fibroso che si assottiglia ai lati fino a prosciugarsi, isolato e circoscritto in tutta la sua perfetta autonomia. Kyle mantiene la schiena bene inarcata, altrimenti i glutei non risulterebbero così svettanti. Intanto esegue una serie di contrazioni muscolari che le smobilitano la catena dei dossi in un saliscendi lungo la schiena. Affiora una tale quantità di dettagli che pare impossibile esistano così tanti muscoli su un corpo umano. È un fisico che vive un eccesso di separazione. Sembra uscito da un film di Cronenberg, il corpo di un esemplare che ha oltrepassato la soglia evolutiva umana e ora vive di sovrabbondanza muscolare, alla quale molto probabilmente corrisponde una modifica degli organi interni e dei processi cerebrali che nessuno al momento è in grado di registrare. Poi si volta e ripete l’espansione toracica, contrae l’addome e porta a termine l’intera pantomima. Subito dopo arriva l’onda d’urto dell’applauso. Siamo noi. Le nostre mani che vibrano, in deliquio davanti alla bellezza. Lei si inchina, la parrucca a caschetto accompagna leziosamente il capo reclinato nel saluto. Si raddrizza ed esce di scena.

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