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(di)
Mattia Pianezzi
Le peggiori figuracce del 2017
02 gen 2018
02 gen 2018
Nell'anno di sport che si è appena concluso c'è stato molto per cui provare imbarazzo.
(di)
Mattia Pianezzi
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. Tavecchio parla di un «livello di speculazione» mai visto prima (chi specula su cosa?); poi dimette l’idea di una «alleanza» con la Lega Pro facendo però sottintendere che l’alleanza ci poteva pure essere ma poi gli è girata male. In generale, parla di tutto e non parla di niente, con una serie di sottintesi che è meglio lasciare come tali. Si è dimesso «per un atto politico», dice solennemente; poi gli squilla il cellulare con la suoneria Sencha dell’iPhone.

 

. L’atto politico è quello che l’ha fatto fuori, perché l’insuccesso sportivo non tange Tavecchio: parla di sé in terza persona e si smarca dalla scelta di Ventura come CT della nazionale. Si dice «disperato» dalla mancata qualificazione «come Carlo» e poi aggiunge una delle frasi più strane della conferenza: «e un atto di debolezza di un’emozione diventa una tragedia?! Questo [sic] è la filosofia che sta alle spalle di un sistema sportivo? Di un popolo? Di gente che lavora per produrre?». A questo punto alza il dito indice della mano destra arringando la folla pronto a buttare addosso a tutti la verità; i fotografi scattano con enfasi e il dimissionario ne accorge; «Se quel palo fosse entrato Carlo Tavecchio qui era un campione? No era lo stesso uguale! Però questa [sic] sistema, questa civiltà, questa politica, questa amministrazione dello sport è una cosa che non può andare avanti così. Le riforme non possono essere fatte per un campo di centoventi per sessanta, devono essere fatte a livello generale di sistema». La questione del palo torna più avanti, quando ammette che se «quel palo entrava, Tavecchio era un grande. Invece resto alto 1 metro e 61» confondendo il sé con l’altro, sogni e realtà, e tutti i Tavecchio del multiverso.

 

. All’inizio passa dalla botanica: «Io non so seminare, ma mi dicono coloro che mettono gli ulivi per terra che i primi frutti vengono otto anni dopo; l’hanno fatto qualcuno prima di me il frutto e il seme io ho preso quello che veniva dal seme!», ma degenera rapidamente. Dice che «i ragazzi piangono quando sentono parlare di Carlo Tavecchio» e sottintende che le nostre quattro squadre in Champions League sono opera sua, «perché abbiamo cambiato gli equilibri europei»; si prende i meriti per l’elezione di Uva, queste operazioni non le hanno fatto mica «i gnomi dietro le scrivanie italiche». Parla dei dilettanti e si esibisce in una boutade situazionista incomprensibile che parte da «Ha detto bene il presidente del Coni, che il mondo dei dilettanti



 

. Tavecchio legge gli appunti scritti dai suoi collaboratori per ricordare a tutti i successi della sua gestione della FIGC; tra questi cita il VAR, ricordando come prima c’avesse pensato «quel signore della RAI» adesso morto, riferendosi a Biscardi; poi cita la «provvida sventura» di Manzoni. Cerca insomma di aggiustare il tiro, ma finisce per sembrare ancora più squilibrato, in una conferenza stampa che è una montagna russa di delirio.

 

 

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