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Marco De Santis
Un po' di chiarezza sul bilancio del Milan
07 dic 2017
07 dic 2017
Per la società rossonera è molto importante distinguere la situazione finanziaria da quella economica.
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Marco De Santis
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Lo scenario relativo al Milan è molto complesso e difficile da decifrare. In queste mesi sono uscite molte voci riguardo alla reale saluta finanziaria del club, che hanno reso la situazione ancora più opaca.

 

Innanzitutto va sempre tenuto presente che c’è un doppio binario per giudicare i bilanci, quello legato alla parte finanziaria e quello relativo alla parte del cosiddetto “conto economico” che esprime le varie voci di costi e ricavi fino ad arrivare al risultato finale di utile o perdita da parte delle società. In questi mesi si è notato come dalla dirigenza del Milan si punti quasi esclusivamente ad esaltare l’attuale situazione finanziaria del club, che come vedremo fra poco nel breve periodo non presenta in effetti motivi di criticità. Viceversa chi vuole far emergere le presunte ombre relative alla situazione del Milan spinge molto sui discorsi relativi al conto economico, che sono centrali nei ragionamenti con la UEFA in termini di Fair Play Finanziario.

 

Per chiarire un po’ la situazione, partiamo dal bilancio del semestre gennaio-giugno 2017 recentemente presentato dai rossoneri (un bilancio che in realtà non dà grosse indicazioni per il futuro in quanto è un unicum resosi necessario per trasformare il vecchio bilancio su anno solare, da gennaio a dicembre, in un bilancio su stagione sportiva, da luglio a giugno).

 

In termini di conto economico nulla di quanto fatto nel mercato estivo è entrato a far parte delle voci relative ai ricavi e ai costi, tanto che la perdita del periodo è stata tendenzialmente in linea con lo stesso periodo dell’anno precedente (-32,6 milioni contro -34,2 di dodici mesi prima). Al contrario molto si è potuto leggere riguardo la posizione finanziaria del club che, grazie ai 90 milioni immessi da Fininvest poco prima di uscire per annullare le ultime perdite della vecchia gestione, e al ripianamento di gran parte dei debiti pregressi compresi nella cifra di acquisto del club da parte di Li, fotografa una situazione che Fassone ha tutte le ragioni per definire “senza criticità”. Il patrimonio netto, spesso in negativo negli anni precedenti, al 30 giugno è risultato positivo di 30 milioni e l’Indebitamento è sceso da 178,4 a 139,6 milioni pur comprendendo già buona parte degli sforzi fatti nella campagna acquisti (in particolare quelli relativi agli acquisti di giugno), numeri assolutamente sostenibili per una qualsiasi società di calcio di buon livello.
Gli interventi del proprietario Yonghong Li - in particolare un prestito infruttifero di 10 milioni, un aumento di capitale di 60 milioni (49 dei quali già entrati nelle casse del Milan nei tempi previsti) e l’approvazione della possibilità di effettuare un altro aumento di capitale fino alla cifra massima di 60 milioni nel caso in cui i previsti ricavi provenienti dalla Cina non rispettino le attese del piano iniziale - lasciano pensare che, anche a fronte di un bilancio 2017/18 che potrebbe chiudersi con un passivo attorno ai 90/100 milioni, le coperture per la perdita di questa stagione siano già state tutte predisposte.

 

Più dubbi, invece, sorgono quando si analizza la solidità finanziaria di Yonghong Li.
Fino a questo momento Li ha investito nell’operazione di acquisto del Milan 200 milioni di euro provenienti da suoi conti personali, e inoltre ha ottenuto dalla società finanziaria cinese Huarong 240 milioni di prestito personale, dando come garanzia beni propri e altri 180 milioni, ottenuti a loro volta in prestito dagli americani del Fondo Elliott con un tasso di interesse dell’11,5%. La promessa è di restituirli entro il prossimo ottobre pena il passaggio del club ai creditori, cioè proprio il Fondo Elliott, che ha prestato anche 128 milioni direttamente al Milan - a un tasso di interesse più basso, attorno al 7,5% - 73 dei quali spesi per ripianare precedenti debiti con banche creditrici e 55 per lo sviluppo del club che sono serviti per pagare le rate annuali relativi agli acquisti effettuati nel calciomercato estivo.
Dei quasi 800 milioni investiti finora, quindi, 420 sono debiti contratti non dalla società Milan ma dallo stesso Li con il Fondo Elliott e Huarong, con l’obiettivo potenziale di poterli ripagare grazie alla cessione della squadra, una volta rivitalizzato il brand tramite i risultati sportivi e l’espansione commerciale nel mercato cinese. Esiste, infatti, la possibilità che l’acquisto del club da parte di Li sia in realtà un’operazione finanziaria che ha l’obiettivo di rivendere il Milan a una cifra superiore a quella spesa per acquistarlo (qualcosa di simile a a quello già fatto da Thohir con l’Inter, ma a costi più bassi e quindi con più possibilità di successo e guadagno).

 




 

Purtroppo per Li, però, a oggi latitano sia i risultati sportivi (il quarto posto sembra già quasi irraggiungibile e vincere l’Europa League per qualificarsi alla prossima Champions League non sarà un’impresa facile) sia quelli commerciali, visto che i soldi entrati finora dalle sponsorizzazioni cinesi sono pochissimi.
Per provare ad allungare i termini e prendere tempo il club starebbe cercando di rinegoziare il prestito con Elliott, alla cui scadenza mancano solo dieci mesi e che a questo punto sembra difficilmente ripagabile. Va detto che la rinegoziazione di debiti in scadenza è una pratica usuale per le società di calcio e che in questo caso la criticità sta più che altro nel trovare istituti che diano fiducia a Yonghong Li senza dare troppo credito alle diverse inchieste giornalistiche che lo stanno mettendo in cattiva luce in quest’ultimo periodo.

 

Dal punto di vista finanziario per il Milan non ci dovrebbero essere problemi almeno fino a ottobre 2018: anche in caso di passaggio nelle mani di Elliott, il Milan non rischierebbe di fallire, anzi, paradossalmente gli americani avendo investito sul club solo 308 milioni potrebbero trovare un nuovo compratore a cifre inferiori rispetto a quelle di cui ha bisogno Li.

 

Il vero punto critico per il Milan è la situazione con la UEFA in relazione alla proposta di Voluntary Agreement. L’obiettivo finale richiesto dalla UEFA è quello di avere un conto economico triennale che non presenti debiti superiori a 30 milioni. La strada per raggiungere questo traguardo per il Milan sembra ancora lunga e impervia.
Secondo alcune indiscrezioni, infatti, il programma presentato da Fassone alla UEFA prevede che l’aumento dei ricavi necessari per rendere i costi del Milan sostenibili debba arrivare da due voci aleatorie come i risultati sportivi (la qualificazione alla Champions League, che al momento sembra però quasi impossibile) e i ricavi provenienti dalla Cina. Riguardo questo secondo punto c’è da dire che al momento nessun club finora ricava dal mercato cinese cifre anche solo vicine a quelle che avrebbe prospettato il piano del Milan.

 

Se la proposta di Fassone venisse respinta, sembra comunque impossibile che il Milan venga squalificato dalle coppe europee, come sostenuto dal quotidiano spagnolo Marca. Questa sanzione non è infatti prevista in caso di Voluntary Agreement non accettati dalla UEFA, ma scatta solo per chi non rispetta un Settlement Agreement dopo aver sottoscritto. Nella peggiore delle ipotesi, cioè in caso di respingimento della proposta di Voluntary Agreement, probabilmente la UEFA proporrà quindi al Milan nei prossimi mesi un Settlement Agreement che conterrà un piano di rientro molto simile a quello sottoscritto dall’Inter nel 2015.

 

In questo caso, il Milan sarà costretto ad incassare importanti plusvalenze sul mercato, e solo se i paletti che la UEFA proporrà per la prima stagione di controllo (il 2018/19) non venissero rispettati, allora nei primi mesi del 2020 potrebbe essere decisa l’esclusione dalle coppe del Milan per l’annata 2020/21. Uno scenario preoccupante, ma comunque molto più sfumato rispetto a quello presentato da certa stampa.

 

Certo, le limitazioni Uefa sarebbero un ostacolo importante da superare nell’opera di rafforzamento della squadra ma, come ha dimostrato il Monaco (anch’esso sotto il controllo UEFA) negli ultimi anni, lavorando bene in sede di mercato non è detto che sottostare al Settlement Agreement sia la pietra tombale sulle ambizioni di rinascita di un club.

 

 

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