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L'anno in cui l'Italia è rimasta fuori dai Mondiali
28 dic 2017
28 dic 2017
Fra i momenti che hanno segnato l’anno appena passato, l’eliminazione dell’Italia contro la Svezia, cristallizzata nelle lacrime di Gianluigi Buffon.
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È il 10 novembre e l’Italia deve giocare le due partite di spareggio per accedere al prossimo Mondiale contro la Svezia.

 

Tu sei il portiere della Nazionale.

 

Compirai quarant’anni tra un paio di mesi e sei ancora uno dei migliori portieri al mondo, oltre che uno dei migliori di sempre, ma il prossimo giugno dovrai smettere di giocare. Ovviamente sei molto famoso e hai una tua pagina Wikipedia, in cui sono riportati i trofei vinti durante la tua carriera ventennale: sono più di 60. La lista dei tuoi record individuali è ancora più lunga. D’altra parte, come tu stesso hai detto, hai avuto la fortuna di giocare in grandi squadre, con compagni di primo livello, senza i quali «non sarei mai potuto arrivare lì».

 

Con le tue squadre hai vinto 25 tornei, tra cui il Mondiale del 2006, il quarto vinto dall’Italia. Quell’anno sei anche andato vicino al Pallone d’Oro, secondo dietro a Fabio Cannavaro, ma insomma quel Pallone d'Oro era un po' di tutta la difesa. Tra qualche settimana, a inizio dicembre, giornalisti, capitani e allenatori ti daranno abbastanza voti da arrivare quarto. Quest'anno sei anche stato inserito, per la terza volta nella tua carriera, forse l’ultima, nella top XI della FIFA. Il che significa che anche se stai per compiere quarant’anni, per qualcuno sei ancora il miglior portiere al mondo.

 

Tra poco dovrai passare ad altro, perché è così che va nel tuo lavoro, perché “il tempo è tiranno”. Certo sei cresciuto, sei invecchiato, ma con la tua carriera puoi guardarti indietro e pensare con tenerezza al ragazzo che eri, quello con la maglia di Superman e un cappello da baseball portato all’indietro. Non sei triste, dici “non ho paura del futuro”.

 

Fosse per te, magari giocheresti per sempre, ma sarebbe troppo egoista pretenderlo. Sei abbastanza soddisfatto di quello che hai avuto la fortuna di vivere, come calciatore, che riesci a dire che non vedi l’ora di metterti alla prova, vedere cosa c’è di nuovo. Una volta hai persino detto di voler studiare cinese e "amare le persone care" che ti sono state affianco, una volta smessi i guanti.

 


Foto Getty Images


 

Prima, però, devi finire la stagione. E, se tutto va bene contro la Svezia, a giugno potresti giocare un ultimo Mondiale, con la maglia che indossi da più tempo. Diciamo che così usciresti di scena su un palcoscenico all’altezza della tua fama e che non ci sarebbe un modo migliore per rendere ancora più indelebile il tuo nome nella memoria collettiva.

 

Diventeresti l’unico uomo della storia a partecipare a sei coppe del mondo di calcio.

 

Ma le cose non sono mai così facili. Prima devi giocare le due partite di spareggio che ti separano dal Mondiale. Alla vigilia dell’andata dici che «le cose semplici non mi sono mai piaciute e ho sempre dovuto tirarmi su le maniche anche stavolta»; e aggiungi «anche se a volte sono stato sconfitto». Le cose si fanno ancora meno facili: l’Italia perde la partita di andata, fuori casa, con un gol sfortunato, un tiro deviato su cui non potevi fare niente - come non potevi fare niente o quasi sulle uniche due reti che hai subito nel Mondiale che poi l’Italia ha vinto: un autogol e un rigore.

 

Sei il capitano della Nazionale, il portavoce di una generazione che in ogni caso verrà ricordata a lungo, e che qualcuno già usa contro quelle nuove, come modello irraggiungibile. Dici: «Mi è capitato tante volte nella mia carriera mi è capitato di trovarmi di fronte a bivi importanti, dentro o fuori. Spesso è stato

, ogni tanto è stato

. Ma è il destino di ognuno di noi».

 

Sono quasi 60 anni che l’Italia non manca un Mondiale.

 

Quando parli, tutti sanno che stai parlando

della tua ultima possibilità di giocare un Mondiale, di diventare l’unico calciatore ad averne giocati sei consecutivi. Ma tu dici che «in questo momento la mia situazione è veramente secondaria, non conta nulla».

 


Foto di Catherine Ivill / Getty Images


 

È il 13 novembre, il giorno della partita di ritorno, che l’Italia deve vincere assolutamente, l’aria è molto tesa ma passare il turno, contro una squadra dura come la Svezia ma inferiore per valori tecnici, non sembra un’impresa impossibile. In realtà nessuno pensa davvero che l’Italia non si qualificherà: che le cose possano andare così male, al di là dei problemi tattici, tecnici, è semplicemente impensabile. D'altra parte come si fa immaginare qualcosa che non hai mai visto, mai vissuto?

 

Al momento degli inni, Milano fischia la nazionale ospite. Tu abbassi la testa e applaudi. Non vuoi offendere i tuoi tifosi, non vuoi farli sentire in colpa o cercare lo scontro, per questo non li guardi negli occhi. Ma vuoi fare la cosa giusta, dare l’esempio, in fondo sei il capitano, se non lo fai te chi può farlo? Per questo applaudi.

 

Le cose vanno male, l’Italia non riesce a segnare neanche un gol in altri novanta minuti che tu vivi quasi da spettatore, con la palla quasi sempre nella metà campo avversaria. La partita finisce e la Svezia festeggia nello stadio che si svuota velocemente. Dal campo e dallo stadio escono tutti rapidamente, a parte qualche tuo compagno che si è fermato a piangere. L’allenatore è andato subito negli spogliatoi a preparare il discorso alla squadra. A casa, però, c’è ancora gente che sta guardando la tv, che sta guardando voi, e qualcuno dovrà pur dire qualcosa.

 

L’allenatore non si vede. Vediamo te.

 

Ti vediamo in lacrime, da vicino, per la prima volta. Ti avevamo visto

pochi mesi fa, dopo la tua terza finale di Champions League persa con la Juventus, la seconda negli ultimi tre anni. Di calciatori che piangono se ne vedono spesso: con la faccia incassata nella clavicola di un compagno, con la mano davanti, sempre con una distanza di sicurezza a separarci. Una distanza che serve a proteggere la vostra intimità, ma anche l'immagine dell'idolo che noi costruiamo nelle nostri menti. Gli idoli piangono da soli, noi spettatori ci accontentiamo dell’

. Stavolta invece ti vediamo piangere veramente, lotti con le lacrime mentre provi a parlare. In un certo senso, anche se noi non stiamo piangendo,

.

 

Forse è il contrario di quello che si dice di solito, che i veri uomini non piangono. Non si fanno vedere mentre lo fanno, cioè. Forse bisogna diventare interamente uomini prima di poter piangere in pubblico. Tu hai pianto ma hai anche parlato, hai trovato la forza per parlare. Con la pelle intorno agli occhi rovinata, come le pagine di un libro bagnato dalla pioggia, che asciugandosi prendono la forma della pioggia, ma si possono ancora leggere.

 

Ti dispiace, dici, «ma non per me». Dici che ti dispiace per “la società”, per “i bambini”, ma non per te. A noi, invece, dispiace anche per te.

 


Foto di Marco Luzzani / Stringer


 

Ti viene chiesto se c’è un futuro per il calcio italiano, a te che giochi da più di vent’anni, e tra qualche mese, in teoria, dovresti smettere di giocare. E forse in questo momento non ne avresti voglia, perché le sconfitte servono a migliorare e a crescere ma non sono mai parte di un bel finale.

 

Sei una leggenda del calcio e non giocherai il tuo ultimo Mondiale. È una serata qualsiasi di metà novembre, tra due mesi compierai quarant’anni e mentre piangi resisti alle lacrime. Resisti perché sai che mentre parli è già cominciata la caccia al colpevole, immagini già le prime pagine di domani:

,



 

Quanto sarebbe più facile, adesso, farsi gli affari propri? Parlare più tardi, dopo aver rimesso insieme le idee, la faccia. Non devi niente a nessuno, questo è sicuro. Potresti anche metterti una maschera diversa, quella della delusione, della rabbia. Potresti fare come faranno quasi tutti domani, cavalcare l'onda emotiva. Ma sei stato anche uno dei pochi a parlare di depressione, sai quanto è difficile essere se stessi, non ci rinuncerai proprio adesso.

 

Fino a prova contraria hai un lavoro da portare a termine, delle responsabilità. Sei stato messo su un piedistallo, il minimo che puoi fare è fare del tuo meglio. Per questo non ti lasci andare, non ti nascondi, non nascondi le lacrime. Combatti le lacrime senza nasconderle perché non sei più giovane e oggi sei ancora te il capitano e devi fare la cosa giusta.

 

Serve qualcuno che dica la cosa giusta, anche se magari è banale, una cosa che tutti sanno ma nessuno, adesso, sembra ricordare. Forse si tratta di una cosa che non abbiamo la forza per ricordarlo. Allora ce lo ricordi te.

 

Ti viene chiesto

, dopo che l'Italia ha perso la possibilità di qualificarsi al prossimo Mondiale. Rispondi: «Sicuramente. Il futuro c’è».

 

 

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