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Tommaso Clerici
Il fallimento fa parte del tentativo, intervista a Giovanni De Carolis
20 mar 2024
20 mar 2024
Il campione mondiale di boxe ci ha parlato della sconfitta con Kevin Lele Sadjo.
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Tommaso Clerici
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Foto di Benjamin Marcus
(foto) Foto di Benjamin Marcus
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Giovanni De Carolis è il più recente campione mondiale italiano di boxe di una delle quattro sigle principali, la WBA. Peso supermedio (categoria al limite dei 76.2 chili), romano, 39 anni, vanta una carriera da professionista cominciata nel 2007 per un totale di 45 incontri disputati, di cui 33 vinti. Oltre al Mondiale, vinto e difeso, De Carolis è stato anche campione italiano e internazionale. A maggio del 2022 si è reso protagonista di uno degli incontri di boxe più attesi di sempre in Italia, quello contro Daniele Scardina, battuto per KO tecnico al quinto round. Ed ecco che dopo questa vittoria convincente, De Carolis è stato nominato sfidante al titolo europeo detenuto dall’imbattuto Kevin Lele Sadjo, pugile francese di 33 anni, artista del KO, quattordicesimo al mondo: un match quasi proibitivo per l’italiano. La sfida è andata in scena un paio di settimane fa.

Ho chiamato De Carolis a qualche giorno dall’incontro. Preparando l’intervista ho ripensato al suo percorso, cominciato quasi per caso. Ha scelto la boxe per passione, scoprendola dopo essersi iscritto in palestra per fare pesi mentre giocava a calcio: «Non sono diventato un pugile per rabbia, per sfogarmi, ma perché amo questo sport», spiega, «Ho dovuto aspettare i 18 anni per fare il primo incontro da dilettante perché mia madre era preoccupata e non voleva che combattessi. All’esordio, quando sono tornato all’angolo, mi hanno tolto il paradenti mi sono caduti due incisivi. Era estate, e per la vergogna non sono uscito di casa per settimane. Pensavo di aver chiuso con la boxe, invece ho cambiato palestra, scegliendo la Team Boxe Roma XI di Italo Mattioli e Luigi Ascani, ed è cambiato tutto».

De Carolis è cresciuto in una famiglia che definisce «normale», in cui però i genitori litigavano spesso e questo lo ha spinto ha cercare un’indipendenza presto, cominciando a lavorare mentre studiava all’università. Oltre alla boxe, un’altra costante della sua vita è stata la compagna Veronica, con cui ha condiviso gioie e dolori: «All’inizio della nostra relazione vivevamo in una casa senza corrente elettrica né gas. Quando è nata mia figlia – io avevo 23 anni - la vicina ci ha concesso di attaccarci al suo impianto elettrico. Pensa che la cucina l’ho comprata nel 2009 dopo aver combattuto in Danimarca per un titolo europeo, fino a quel momento usavamo i fornelli da campeggio».

La carriera di De Carolis ingrana quando comincia ad accettare match all’estero, in cui viene scelto come avversario facile rivelandosi tutt’altro: «Spesso sono salito sul ring da sfavorito. La mia non è certo la storia del talento o del campione predestinato, venivo giudicato un pugile mediocre. Allora ho capito che avrei dovuto fare di più, metterci l’anima ed è così che ho compiuto l’impresa, vincendo il Mondiale in Germania, era il 2016». Da lì De Carolis ha alternato prestazioni maiuscole in grado di sovvertire i pronostici a incontri in cui ci si aspettava che si confermasse, deludendo le attese. Fino al recente match contro Sadjo.

Un attimo del match contro Sadjo (foto di Benjamin Marcus)

«Sto benissimo, non ho acciacchi né dolori», mi rassicura quando gli chiedo di lui. Gli dico che Sadjo si è confermato forte fisicamente, aggressivo e difficile da contenere ma limitato a livello tecnico, un aspetto che rischia di pagare misurandosi con la scena pugilistica mondiale. «Sono d’accordo, la sua qualità migliore è la fisicità, che esprime sia nella potenza dei colpi, sia nel ritmo con cui li sferra» mi risponde. «È un atleta molto forte a livello periferico, quindi nervoso, e metabolico, cioè regge bene un’intensità alta. Tecnicamente è ancora un po’ grezzo, perciò ai vertici potrebbe incontrare difficoltà importanti. Ma nel pugilato quello che fa la differenza è l’efficacia, che un pugile sia aggraziato o meno – e Sadjo finora si è dimostrato efficace. È roccioso e difficilissimo da affrontare».

Dalla televisione il ring sembrava piuttosto piccolo. «Lo era. Può capitare che un’organizzazione possa facilitare il pugile di casa [Sadjo è francese e il match si è disputato in Francia, nda] scegliendo un ring che ne esalti lo stile», ed essendo un picchiatore, Sadjo è avvantaggiato se lo spazio che deve coprire per raggiungere l’avversario alla corta distanza è minore. «I guantoni che abbiamo usato erano dei Grant, sono durissimi» dice De Carolis. E se anche questi fossero stati scelti dagli organizzatori per fargli sentire ancora di più le mani pesanti di Sadjo? «L’atmosfera sugli spalti era incandescente, mi hanno fatto fare l’entrata sul ring senza musica, sommerso dai fischi. Ma ci sta, è normale quando combatti fuori casa. Accetto di meno che abbiano fischiato l’inno di Mameli, non è sportivo». De Carolis mi ha raccontato questi dettagli perché glieli ho chiesti io, non stava cercando alibi.

De Carolis cerca la concentrazione a pochi istanti dall’inizio del match, tra i fischi del pubblico (foto di Benjamin Marcus).

«Ho scelto di arrivare all’incontro più leggero del solito. Il giorno del match pesavo 78.5 chili; ad esempio, quando ho affrontato Scardina pesavo quasi quattro chili in più. È stata una scelta tattica: contro Sadjo mi serviva mobilità, non muscoli. Nelle prime riprese avrei dovuto contenerlo lavorando sulla media distanza ed evitando la corta per riuscire a colpirlo d’incontro con il diretto o con il montante destro. Dal quarto round la strategia prevedeva di mandarlo indietro, ho cercato di farlo nella quinta e sesta ripresa, in cui Sadjo ha incassato qualche colpo duro – lo ha ammesso alla fine del match – ma non ha arretrato, ha incassato bene e non sono riuscito ad incalzarlo. All’ottava ripresa, mentre l’arbitro mi stava contando, ho visto il maestro Mattioli che tirava l’asciugamano bianco sul ring [gesto con cui l’angolo ritira un pugile dal combattimento, nda]. Sul momento non ero d’accordo, sono rimasto interdetto perché mi sentivo bene, ma non posso fare altro che ringraziarlo. Il pugilato è uno sport duro e a volte è questione di attimi: se aspetti a fermare un match rischi di pregiudicare la salute di un atleta per sempre. E poi il maestro mi allena da vent’anni, mi conosce a memoria, mi fido ciecamente di lui. So che vuole il mio bene. In generale non mi rimprovero nulla, ho cercato di giocare le mie carte preparandomi al meglio. Complimenti a Sadjo».

Quello che ha colpito di De Carolis è stata la sua integrità fisica, che gli ha permesso di reggere tanti colpi potenti e pericolosi nonostante l’età e il lungo trascorso sul ring. «Da anni mi annoto quello che faccio in allenamento e lo pondero attentamente, lo misuro e monitoro, sono maniacale. Per preservarsi ci vuole costanza e conoscenza, e la consapevolezza di dover delegare alcuni aspetti a persone di fiducia, perciò ho una squadra di professionisti che mi seguono dalla nutrizione, alla preparazione atletica, eccetera. Un altro fattore fondamentale è lo sparring, di cui va modulata la frequenza e l’intensità nell’arco del training camp [e che, se fatto troppo spesso e con poco controllo, è la prima causa degli infortuni dei pugili e spesso dei danni cerebrali a lungo termine, nda]. Lo sparring non va fatto pesante o fine a sé stesso, deve essere incentrato sulla strategia del combattimento, dandoti modo di provarla e affinarla. Il numero di round varia in base al lavoro che stai facendo e al livello di stress fisico. Le protezioni da usare devono essere nuove e non usurate, i guantoni devono pesare almeno 16 once, così da ammortizzare i colpi. In questo modo si arriva al match nella forma fisica ideale, altrimenti ci si consuma ancora prima della performance decisiva».

Peraltro la sfida con Sadjo ha subìto diversi rinvii, che hanno finito per fare infortunare De Carolis – che però si è presentato al match completamente ristabilito - dato che la preparazione si è protratta per mesi: «In quelle circostanze, quando ti rimandano l’incontro più volte, è importante avere pazienza. Intorno a un training camp ruotano dinamiche personali, familiari. Ho due figli, ho una palestra da mandare avanti, ma quando sono in camp mi concentro sull’allenamento, spesso vado all’estero per la fase finale di sparring, ho bisogno di isolarmi. È una necessità che crea dei disagi ad altre persone che sono nella mia vita, non è semplice conciliare, quindi se il tempo in cui sei assente si allunga perché la data dell’incontro viene posticipata, devi saperlo gestire, perché lo stress aumenta. Oltre al fatto che finché non combatti non vieni pagato».

Foto Opi Since 82.

«Non penso al futuro. Sto bene, sono integro, il mio corpo non mi dà segnali negativi o legati all’età, non ho motivo di ritirarmi ora. Valuterò le proposte che arriveranno. Non temo il ritiro perché la vita ha le sue fasi. Ho una palestra e una società che organizza eventi di boxe e che assiste i pugili che seguo, la De Carolis Promotions, quindi continuerò a occuparmi di pugilato, di sicuro non mi annoierò. Sono sereno perché se mi guardo indietro sono soddisfatto del mio percorso, a prescindere dai risultati».

Proprio grazie a quello che il pugile romano ha mostrato nella sua carriera, sia come sportivo che come persona, oggi può vantare un pubblico che lo sostiene con grande affetto anche nella sconfitta, circostanza tutt’altro che scontata per un atleta: «Nello sport, nei giovani, nei social media, ovunque, c’è l’ossessione della vittoria, ma quando ti metti in gioco condividendo emozioni e sentimenti con le persone, queste saranno al tuo fianco anche nei momenti peggiori. Ti sentono più vicino a loro, perché nella vita cadiamo tutti: ci sono alti e bassi, il fallimento fa parte del tentativo, della sfida, non è un buon motivo per rinunciare a provarci, anzi, rende persone migliori. Non va temuto, bisogna accoglierlo. La felicità te la godi dopo che hai lottato per ottenerla. Bisogna essere veri, naturali, spontanei. Non ci deve motivare la ricerca del risultato, ma una passione, un interesse, l’amore per, in questo caso, uno sport. Non sopporto chi si finge invincibile, e nella boxe un pugile imbattuto che si atteggia da fuoriclasse, spesso è solo marketing; per farlo ed essere credibile, prima dovrebbe davvero sfidare i migliori, e batterli».

«Ancora oggi, quando mi presentano negli eventi pubblici a cui partecipo, quella di campione del mondo è una qualifica che mi imbarazza parecchio. È una specie di acclamazione che mi mette in difficoltà, mi piacerebbe che dicessero semplicemente che sono un bravo pugile».

Al primo posto della classifica di BoxRec dei pesi supermedi, in Italia svetta Ivan Zucco (qualche settimana fa abbiamo assistito a un suo allenamento insieme al rapper Massimo Pericolo), e in passato si era già vociferato di un possibile match tra Zucco e De Carolis. Considerando il successo di un altro derby nazionale, quello con Scardina, gli chiedo quanto lo considera fattibile ora. «Ivan è un ottimo pugile, è in ascesa, lo conosco e lo rispetto moltissimo» mi dice «Non so se le nostre strade si incroceranno sul ring, credo che lui abbia in programma un percorso mirato per arrivare ai massimi livelli, ha le carte in regola per potersi imporre. Tifo per lui, è una brava persona. Come ti dicevo valuterò le proposte che mi arriveranno, mai dire mai, ma non voglio lanciare sfide, non fa per me».

Ripensando alla sua carriera, gli domando se ha capito il motivo dell’alternanza di risultati che l’ha contraddistinta, tra imprese inattese e delusioni inaspettate: «Quando ho combattuto in casa mi occupavo anche dell’organizzazione dell’evento, ed essendo un perfezionista volevo che tutto fosse fatto al meglio per far quadrare numeri, ascolti e prestazione. In questo modo però perdevo tante energie ed ero meno concentrato sul match. Andando all’estero invece potevo focalizzarmi sulla performance, senza distrazioni. E poi essere sfavorito mi accende, così come potermi misurare con pugili forti. Prima di firmare per il mach con Sadjo ho ricevuto altre due proposte in cui mi avrebbero pagato il doppio. Non le ho accettate perché volevo combattere contro di lui. Mi interessava quel tipo di sfida così difficile, non lo faccio per soldi. Scardina l’ho affrontato in Italia, ma a casa sua, a Milano, perciò si è creata la stessa condizione mentale con cui ho affrontato gli incontri all’estero. Ricordo la sera prima del match, ero in albergo e un amico mi ha detto che la mia vittoria era quotata a 8 dai bookmaker. Mi sono esaltato».

De Carolis ha le idee chiare per lo sviluppo del movimento pugilistico italiano: «Con la De Carolis Promotions mi sono messo in proprio a livello manageriale, e dopo aver fatto pratica su di me, ho cominciato ad assistere altri pugili. Il sogno è di creare il futuro campione del mondo. Ci vuole tempo, lavoro e pazienza, ma ho fiducia. Ci sono diversi pugili giovani e promettenti: Giovanni Sarchioto mi piace moltissimo, Mirko Natalizi ha un potenziale enorme, Michael Magnesi [già campione del mondo, nda] sta lavorando molto bene, Pietro Rossetti che combatterà ad aprile a Milano al The Art of Fighting 5, in una sfida che promette spettacolo, e tanti altri. Bisogna inserirli in un contesto virtuoso e renderli consapevoli dei propri mezzi facendogli fare un percorso ponderato ma sfidante. La mentalità di un pugile si crea facendolo confrontare con colleghi all’estero che possano insegnargli qualcosa o che lo mettano alla prova, facendogli capire le sue potenzialità».

Foto dal profilo Instagram @giovannidecarolisboxe.

Dato che De Carolis è stato il suo ultimo avversario, chiudo chiedendogli come ha vissuto la vicenda di Daniele Scardina, in cui ci sono stati momenti drammatici ma che per fortuna sta evolvendo in positivo: «Quando è arrivata la notizia ero in Germania a fare sparring, mi si è gelato il sangue nelle vene, ero distrutto» racconta «Un pugile sa che il rischio c’è sempre. Nei giorni seguenti ero informato sulle condizioni di Daniele e sono stato felice quando è uscito dal coma e ha cominciato il percorso di recupero. È un ragazzo forte e motivato che stimo tanto, ha sempre dimostrato tempra e carattere, la sua mentalità lo aiuterà parecchio a rimettersi in sesto. Averci condiviso il ring mi unisce a lui per sempre».

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