Nella zona industriale di Ladispoli, tra capannoni di autorimesse, smorzi e officine c’è la palestra di pugilato del maestro Mario Massai. Quando arrivo, fuori dall’ingresso sul retro ci sono un paio di persone in piedi a mani conserte rivolte verso un grande portone in ferro spalancato con l’attenzione di chi ascolta una liturgia, ma invece del Padre Nostro, “sinistro, destro, passo sotto e gancio” è quello che grida da sopra il ring il maestro.
I pugili che aspettano di salire per le figure con Massai si tengono caldi al sacco. È il turno di Michael Magnesi: colpisce sui colpitori del maestro poi corre indietreggiando all’angolo di fronte per tagliare in obliquo il ring e finire con una scarica di ganci al corpo il malcapitato all’altro angolo.
Mancano due mesi all’11 novembre e Michael è in piena preparazione atletica. Il prossimo match sarà in America, a New York in uno dei templi della nobile arte. Dove è stata scritta la storia di questo sport, dove di pugilato si diventa ricchi e le pay per view valgono milioni di dollari. Lo aspetta Eugene Lagos per il primo di tre incontri che lo porteranno a giocarsi la sua seconda chance mondiale. La prima è andata a segno, il 27 novembre del 2020, quando è diventato campione del mondo IBO, battendo per KO Patrick Kinigamazi. A detenere questa sigla in altre categorie di peso sono atleti del calibro di Erislandy Lara, Gennadij Golovkin e Oleksandr Usyk. In America il sogno è quello di unificare le cinture e ottenere anche le altre sigle: WBC, WBA, WBO e IBF.
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Il 21 giugno del 2019 in via di Monte Stallonara, nell’anfiteatro del Parco della Pace, a Roma, Michael ha combattuto quello che secondo lui è stato il miglior incontro della sua carriera. Di quell’incontro non vi è traccia, ma Magnesi è convinto: «il passaggio da come ero a come sono è stato proprio quel match lì: è stato il mio giro di boa». Dieci riprese di puro furore agonistico, contro il pugile messicano Emmanuel Lopez.
La boxe in Italia non attraversa un periodo facile da molti anni, le riunioni pugilistiche romane, non godono di un gran seguito, e i tempi dove Benvenuti si scontrava con Mazzinghi al Palasport dell’Eur sembrano epica di uno sport che oggi non esiste più. Gli interpreti non mancano, un pugile non è mai sazio di salire sul ring, ma oggi lo fa per pochi, pochissimi soldi.
Tornando a quel ring e a quella sera: il supermercato Tigre sponsorizza l’evento, i pugili più fortunati hanno qualche sponsor sulle magliette, ma nessuno è senza il doppio lavoro, l’America è lontanissima. Sulle gradinate l’ordine dei posti corrisponde all’appartenenza alle proprie palestre di pugilato: Quartaccio, Roma 70, Quadraro, Magliana. Sui gradoni si discute delle condizioni di Giovanni De Carolis, che quella sera avrebbe poi combattuto e vinto contro Khoren Gevor: «chissà come starà, in Germania è stato grandioso». Campione del mondo Giovanni lo era diventato in Germania e per accordi contrattuali sempre in terra straniera aveva dovuto difendere il titolo, riuscendo una prima volta, ma non una seconda. Prima di lui, però, a salire sul ring tocca a Michael Magnesi: solo la quarta volta senza caschetto, ma con la sua maschera da lupo. Quel camuffamento lo deve alla passione del padre per il fumetto disegnato da Fernando Fusco: Lonewolf, il re della solitudine.
Michael è nato nel 1994 a Cave, in provincia di Roma, e combatte nella categoria di peso dei superpiuma. Nell’altro angolo del ring Emmanuel Lopez da Comitán de Domínguez, Messico, soprannominato “el Pollo”. Lopez è un veterano del ring è quella sera avrebbe disputato il suo quarantaduesimo incontro.
Non è stato un incontro come gli altri: anni dopo quella sera mi sono reso conto di quanto mi fosse rimasto impresso. L’ ho cercato su YouTube, ma non ho trovato nulla. Non c’erano televisioni, telecamere, nemmeno una diretta streaming. Non uno smartphone che abbia ripreso l’incontro. L’unico modo di ritrovare quell’incontro è cercandolo nella memoria di chi l’ha visto dal vivo: o ancora meglio, di chi l’ha combattuto. L’ho chiesto a Michael Magnesi.
Perché lo consideri il più bell’incontro di pugilato che hai disputato fino ad ora?
Cosa ricordi delle 10 riprese contro Lopez?
Non c’è traccia di quell’incontro, questo di cosa ti priva?
Come ti sei preparato per affrontare Emmanuel Lopez?
Come è successo?
Dopo quella serata è cambiato anche il tuo avvicinamento agli incontri?
Quali erano le indicazioni del maestro Massai per scardinare la difesa del messicano durante l’incontro?
Quali caratteristiche deve avere un incontro per essere considerato bello?
Sono passati due anni dall’incontro di via della pisana con Lopez, in cosa hai lavorato e in cosa ti senti più pronto ora quando affronti un avversario?
Hai intenzione di cambiare il tuo team per la trasferta in America?
Hai accennato al mental coach, e al peso anche psicologico che un atleta professionista deve sopportare. Nell’ultimo periodo questo aspetto è salito alle luci della ribalta con i forfait di Osaka e Simone Biles nelle loro rispettive discipline. Tu come vivi e gestisci la pressione?
La meditazione è stata una tua necessità o hai iniziato su consiglio di qualcuno?
Da Cave a New York cosa ti spaventa di questo salto?
Hai visto le Olimpiadi?
Ti sarebbe piaciuto partecipare?
Ora esiste la possibilità di partecipare alle Olimpiadi anche per i professionisti?
Ma come mai non si arriva, come è stato anche per altri sport ad esempio il tennis, a permettere agli atleti professionistici di partecipare senza nessun tipo di ostacolo alle olimpiadi?
Il dilettantismo in Italia ha un suo percorso che termina nei gruppi sportivi delle forze dell’ordine. Invece qual è il percorso del professionismo e quale il suo stato di salute in Italia?
E tu come fai? Riesci a vivere solo di pugilato?
Insomma è raro avere uno sponsor che ti permette di fare il pugile
Come fanno tutti gli altri pugili che decidono di tentare la carriera professionistica?
«Oltre a questo il grande problema sono i manager» aggiunge Alessandra Branco, che oltre a essere la moglie di Michael è anche la sua manager.
Cosa intendi Alessandra?
Un titolo del Commonwealth – la interrompe Michael – viene pagato fino a 12 mila euro. Fare pugilato in Italia non conviene da nessun punto di vista. Per sopravvivere devi andare fuori, ma spesso la necessità è così tanta che si bruciano le tappe e si arriva impreparati con tutti i rischi per la salute che ne derivano.
Ci potrebbe essere una soluzione a tutto questo?
Ci dovrebbe essere un tetto minimo per i pagamenti e la federazione dovrebbe tutelare i pugili non i promotori o i manager. Anni fa si era proposto di entrare tutti in un consorzio esterno proprio per cercare di veder rispettati almeno i diritti minimi degli atleti, ma poi non se n’è fatto nulla, si vede che gli piace così alla fine e nessuno ha il coraggio di fare questo passo.