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Tommaso Clerici
Sul ring con Massimo Pericolo e Ivan Zucco
05 mar 2024
05 mar 2024
Intervista al rapper lombardo durante un allenamento con il pugile italiano Ivan Zucco.
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Tommaso Clerici
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Foto di Davide Gesmundo
(foto) Foto di Davide Gesmundo
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Entro alla ASD Boxe Verbania in una mattinata invernale atipica, soleggiata e tiepida. Siamo nella zona industriale di Gravellona Toce, piccolo comune piemontese vicino al Lago Maggiore. Alzando lo sguardo da capannoni e stabilimenti lungo il percorso, si stagliano le montagne, che infondono un senso di calma e portano ventate d'aria fresca. La palestra è di fronte a una struttura simile che offre corsi di Crossfit ed entrando si viene accolti da un ampio open space con i sacchi da boxe disposti su file al centro della sala, la reception sulla destra e il ring in fondo, sopraelevato. Sulla parete di sinistra sono appesi articoli di giornale, locandine dei match, pantaloncini usati, incorniciati e firmati con data e luogo dell'incontro indossati dal padrone di casa, che mi accoglie: è Ivan Zucco, un pugile professionista di 28 anni, uno dei più conosciuti tra gli italiani.

Peso supermedio (categoria al limite dei 76 chili), Zucco è già campione italiano e internazionale, vanta 18 vittorie, di cui 15 per KO e nessuna sconfitta. È gentile e ospitale, mi racconta che è si è messo i guantoni da bambino, perché suo papà era un pugile dilettante promettente, costretto al ritiro prima del tempo per dei problemi di salute. Così ha deciso di riversare la sua passione per la boxe nell'insegnamento, coinvolgendo il figlio e diventandone maestro.

Ivan Zucco al sacco (foto di Davide Gesmundo).

Zucco ha scelto di restare nei suoi luoghi di nascita per evitare distrazioni: «La difficoltà qui è trovare sparring del mio peso. Infatti vado spesso a Milano oppure all'estero, altrimenti ospito qualche pugile straniero. A fine gennaio avrei dovuto combattere in Germania per un titolo importante, ma a due settimane dall'incontro il mio avversario ha avuto un virus respiratorio e il match è stato rimandato. È stata una delusione fortissima, ero all'apice della preparazione. Il pugilato è parte di me. Non l'ho mai fatto per necessità, non sono uno di quei pugili che è stato salvato dallo sport o che faceva a botte in giro, sono un ragazzo tranquillo. Non ho quella rabbia dentro, mi piace e basta. Ma quando combatto mi trasformo».

Arriva l'ospite che stiamo aspettando, il rapper Massimo Pericolo. Capelli rasati a zero, indossa una tuta, un bomber firmato e delle sneaker bianche splendenti. Sta finendo di mangiare un toast. Ha un fisico massiccio e uno sguardo sveglio. Il suo vero nome è Alessandro Vanetti, ha 31 anni ed è reduce dal suo primo live al Forum d'Assago di Milano, sold out per l'occasione, davanti a 12mila spettatori circa. «Sono sincero, non me lo sono goduto tanto», ci dice «Ero teso, in quelle situazioni sei più contento alla fine, quando sai che è andata bene».

Nato a Gallarate, in provincia di Varese, cresce tra Catania e il varesotto, finché il film 8 mile in cui recita Eminem lo spinge verso la musica rap. Nel 2014 viene arrestato nell'ambito di un'operazione antidroga – il cui nome diventerà il titolo del suo primo disco, Scialla Semper - ma è proprio nel periodo della detenzione che scrive le canzoni che gli faranno avere successo dal 2016 in poi. Ad oggi ha pubblicato 3 dischi, l'ultimo uscito nel 2023 con il titolo Le cose cambiano. È amico di Zucco, è grande appassionato e praticante di arti marziali e di sport da combattimento, e siamo insieme per girare una video intervista, un dialogo tra un pugile e un artista.

Zucco e Massimo Pericolo si mettono le fasce prima di allenarsi insieme (foto di Davide Gesmundo).

Passandoci qualche ora insieme, Massimo Pericolo mi è sembrato un rapper decostruito, cioè senza personaggio: nel suo caso, la persona e l'artista sono la stessa cosa. Racconta tanto di sé nella sua musica, usandola come sfogo, quasi come terapia. L'impressione è che non avesse alternative, lui è proprio così: educato ma schietto, introverso ma curioso, schivo ma carismatico, umile ma consapevole delle sue qualità, con una personalità ben marcata che emerge parlandoci, e che non ostenta in nessun modo. Ha tanti interessi: fuori dalla videocamera chiacchieriamo di allenamento, alimentazione, viaggi. Mi racconta di essersi fatto una palestra in casa, sfruttando una stanza vuota, perché «figli non ne ho, e ospiti non ne voglio», dice ridendo. Si allena con i pesi e fa boxe, sta attento a quello che mangia per non ingrassare. Scappa anche qualche battuta, ha senso dell’umorismo, non si prende troppo sul serio. Allo stesso tempo sembra una persona difficile da decifrare, introversa, che riesce a nascondere i propri pensieri. Parla con un tono di voce basso, quasi rauco ma guardandomi sempre negli occhi e pesando quello che dice. E anche nelle interviste non è mai banale: ha parlato spesso di salute mentale, confessando periodi di depressione, ragiona molto su quello che gli accade, su temi esistenziali.

Il vuoto, una delle costanti della boxe. Sullo sfondo, le cinture vinte da Zucco in carriera (foto di Davide Gesmundo).

«La musica e lo sport sono le costanti della mia vita. Da bambino ho cominciato con il karate, a scuola», esordisce a telecamera accesa. «Poi mi sono trasferito a Catania, dove ho incontrato un maestro che è diventata una figura paterna, facendomi innamorare delle arti marziali. La filosofia che c’è dietro e la componente spirituale sono state un toccasana per me, che ero un ragazzo in cerca di certezze. Così ho scoperto il kung fu, e sono partito per la Cina per viverlo a fondo. Ci sono stato tre mesi, allenandomi ogni giorno, e quando sono rientrato in Italia ho iniziato a insegnarlo. Le cose stavano andando bene finché è arrivato l’arresto. Ho fatto anche kickboxing mentre ora sto coltivando parecchio il pugilato: mi piace praticarlo, ma non lo seguo tanto, più che altro mi guardo qualche video su YouTube per imparare nuove tecniche e combinazioni. Con la musica è lo stesso, amo farla ma mi piacciono pochi artisti. Lo sport mi tiene nel presente, che è importante, e con i piedi per terra, mi ha dato una disciplina - le abitudini fanno la persona, per questo la disciplina è importante. È un'applicazione quotidiana che mi fa stare bene, insegna che per ottenere risultati ci vuole tempo». Gli chiedo chi è il suo idolo sportivo, ci pensa e risponde: «Direi Conor McGregor, mi ha sempre ispirato. Al di là di come lo si giudica, la sua storia di rivalsa infonde coraggio».

Massimo Pericolo si applica, Zucco vigila (foto di Davide Gesmundo).

«Ho avuto tanti momenti bui, a partire dall’infanzia, che non è stata semplice», e qui cominciamo ad andare sul personale. «Sono cresciuto con mia madre e non ce la passavamo bene, infatti me ne sono andato di casa per conquistarmi un’indipendenza. Uno dei periodi più difficili è stato quello dell’arresto. Quando ero ai domiciliari, chiuso in casa con divieto di comunicare con l’esterno per quasi due anni, ho capito che avrei dovuto cominciare a raccontare di me nella musica, di quello che sentivo, e lì ho svoltato. Volevo che le persone potessero rispecchiarsi».

«I primi due dischi sono stati il risultato di quella sofferenza», ricorda. «Per fare il terzo, invece, ho dovuto prendermi un momento di pausa, perché essendo arrivato il successo, intorno a me la situazione si era evoluta, il contesto era diverso e quindi anche il mio racconto ne è stato influenzato. Ecco perché ho chiamato il disco Le cose cambiano. Cosa significa la musica per me? Sfogo, motivazione e rap, perché non ho mai ascoltato altri generi. Ci sono stati periodi in cui è diventata un problema, ma solo dopo che ce l'ho fatta. È successo quando si è trasformata in un lavoro, quindi un obbligo, perciò devi farla anche quando non avresti niente da dire. Ma gli alti e bassi ci sono in tutto».

«Adesso sto bene, sono sereno, perché sono impegnato per poter stare bene. Spero di sentirmi così il più a lungo possibile», continua. «Per la mia esperienza, la vita è ciclica. Quando attraversi un periodo negativo pensi che non ne uscirai, quando ti riprendi e stai meglio, credi che sarà per sempre. Invece è la vita che è così, tra momenti belli e quelli difficili, passano entrambi. Bisogna viverli con costanza: se sei giù di morale, così come se sei euforico, non devi farti prendere dalle emozioni; vanno provate, certo, non bisogna essere freddi e insensibili, ma devi comunque andare dritto per la tua strada. L'importante è non fermarsi, perché ripartire è faticoso. Ci vuole metodo. Le emozioni danno un senso alla vita ma possono essere pericolose se si assecondano troppo». Conclude: «Pensando, si possono capire tante cose. Soffrire è ciò che fa pensare di più in assoluto, se c'è un lato positivo è questo. Ti fa maturare, se sei in grado di mettere in pratica davvero quello che impari. Sotto questi aspetti, soffrire può diventare una risorsa».

Spazio alle ripetute al sacco, il cuore dell’allenamento di quel giorno (foto di Davide Gesmundo).

Gli chiedo della sua amicizia con Zucco: «Un pugile è simile a un artista. Prima di tutto, se ti dedichi a qualcosa come professionista, devi abbracciare un certo stile di vita. Sei un perfezionista in quello che fai, che diventa la tua ossessione. Ci devi mettere un impegno costante. Io ad esempio seleziono molto quello che scrivo, ci penso tanto, non sono uno che sforna tracce a raffica. Non faccio tante canzoni, tanti contenuti... Però faccio canzoni con tanto contenuto, ecco. Poi, un pugile così come un rapper sceglie una strada impervia, difficile e solitaria. Devi credere in un sogno che all'inizio vedi solo tu. Lavori con un entourage che ti dà un contributo morale fondamentale, ma sul palco – e sul ring – sei da solo. E nessuno dei due, tra me e Ivan, ha tatuaggi appariscenti, cosa strana sia per un rapper che per un pugile».

«Siamo entrambi figli della provincia. Quando sei più giovane vuoi identificarti in qualcosa che ti rappresenti, e la città dà molti spunti in questo senso, mentre in provincia mancano certi punti di riferimento, ci si sente smarriti. L'aspetto positivo è che la conseguenza, se sei in grado di farlo, è guardarti dentro e capire davvero chi sei, senza rifugiarti dietro l'emulazione di qualcosa. Se invece non sei pronto, quello smarrimento rischia di divorarti, di spingerti a fare scelte sbagliate. Ora sto bene in provincia perché ho trovato un equilibrio, una tranquillità che a Milano sarebbe pericolante tra distrazioni e tentazioni varie», ammette.

L’allenamento si conclude ai colpitori (foto di Davide Gesmundo).

E sul ring, invece, ti vedremo mai? «Mi piacerebbe fare un match di boxe, sia in anonimato, come un atleta qualsiasi, che contro qualche altro rapper, tanti miei colleghi si allenano» rivela. «Non perché ce l’abbia con qualcuno, ma sarebbe un’esperienza fighissima. Il fenomeno americano di incontri tra personaggi noti arriverà anche in Italia, ne sono sicuro. La boxe italiana farà lo stesso percorso del rap, è questione di tempo ma si emanciperà e diventerà molto più conosciuta. E Zucco arriverà sempre più in alto». Zucco, di rimando, commenta: «Ale è bravo, l'ho sempre detto. Si impegna, ha pure le mani pesanti. Lo vedo bene in un match».

Chiudiamo con i progetti futuri di entrambi: «A marzo sono in tour, ho sei date in due settimane» risponde Alessandro. «Ho già detto al mio coach di farmi una scheda di allenamenti da albergo, dato che sarò in giro. Anche nei live è molto importante trovare un proprio ritmo, io evito di fare troppe date ravvicinate, dormendo poco e viaggiando tanto. Preferisco selezionarle». Zucco svela: «A maggio combatterò a Milano, in un evento molto importante, in diretta su DAZN e trasmesso anche in America, su ESPN. Ci sarà un titolo in palio, non vedo l’ora».

Zucco è pronto per il prossimo impegno sul ring (foto di Davide Gesmundo).

Alla fine dell'intervista, come avete visto dalle foto, Massimo Pericolo e Zucco si allenano insieme: cominciano con corda e addominali, fanno diversi round al sacco, salgono sul ring e Zucco tiene i colpitori all'amico. I colpi schioccano e rimbombano per la palestra, sintomo del fatto che sono tirati con la giusta esplosività e scioltezza.

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