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David Breschi
Tirare da tre
10 gen 2017
10 gen 2017
Le squadre NBA tirano sempre più dall’arco, ma come si crea una buona tripla?
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David Breschi
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Il 13 novembre del 1967, gli Indiana Pacers stavano perdendo per 118-116 contro i Dallas Mavericks in una partita della neonata ABA. Con la rimessa da fondo campo e un secondo sul cronometro, il pallone capitò in mano a Jerry Harkness che, senza tempo né idee per organizzare nient’altro, lanciò in aria una preghiera lunga 26 metri che si appoggiò sul tabellone per poi insaccarsi dentro il canestro.

 

Quello fu il primo anno in cui venne introdotta la linea da tre punti - nel 1961 ci aveva già provato la ABL, ma l’esperimento durò mezza stagione - ma né i giocatori né i tifosi avevano ancora preso confidenza con l’idea di un tiro che valesse un punto in più, e molti dei 2.500 presenti sulle tribune si stavano già preparando al supplementare. Gli arbitri invece, dopo una brevissima discussione tra loro, convalidarono il canestro da tre punti tra lo stupore generale, consegnando la vittoria ai Pacers.

 

In questi 39 anni di acqua sotto i ponti ne è passata. Il tiro che il

della ABA George Mikan aveva ribattezzato

perchè “faceva saltare i tifosi dalla sedia” - entrato in vigore nella NBA nel 1979 - nell’ultimo decennio ha cambiato radicalmente le geometrie e il modo di giocare a pallacanestro. Il 16 dicembre 2016, nella vittoria 122-100 contro i Pelicans, gli Houston Rockets hanno stabilito il record di triple realizzate e tentate in una sola partita (di regular season) con 24 centri su 61 conclusioni scagliate da oltre l’arco dei 7.25.

 

Il giorno dopo, impegnati in back-to-back contro i Timberwolves a Minneapolis,

ha rimontato uno svantaggio di 12 punti con 2 minuti da giocare agguantando il supplementare e la vittoria con un parziale di 14-2, frutto - manco a dirlo - di 4 triple.

 



 

Non deve sorprendere: i Rockets sono una squadra ideata, progettata e assemblata per esasperare il concetto partorito dal proprio GM e ribattezzato “

” che si basa sulla ricerca ossessiva dei tiri a più alta percentuale - identificati in tiri liberi, tiri da sotto e tiri da tre punti, in questo ordine di “valore” per punti-per-tiro - evitando quanto più possibile i tiri dalla media distanza, ovvero quelli offrono una percentuale di successo di gran lunga inferiore e molto più spesso sono contestati.

 

Questo, però, non significa che

tiro da tre è migliore di

tiro dalla media. Mettersi a sparare senza criterio dal perimetro è facile, ma sarebbe una scelta folle anche per il più fanatico delle statistiche avanzate. Tutt’altro discorso è creare i presupposti per un canestro “facile” dai 7.25 con il movimento di palla e di uomini per aprire le difese, anche le più organizzate e inaccessibili, creando lo spazio per ricercare anche altre conclusioni remunerative e diversificare il proprio attacco.

 

 



 

Il modo migliore per costruire un tiro da tre punti è attaccare il canestro, costringere la difesa a fare una scelta e punirla con il tiro a più alta percentuale.



 

 

 

Durant spinge la transizione per gli Warriors e con un passaggio che taglia il campo serve Thompson; i Clippers si accoppiano male e Griffin deve fare una scelta: lasciare la tripla aperta a un giocatore che ha fatto 60 punti la partita precedente oppure lasciare i suoi compagni in inferiorità numerica 3 vs 2? Griffin sceglie la prima opzione, ma così facendo innesca una valanga di extra-pass il cui risultato è un tiro a più alta percentuale, con ognuno dei passaggi effettuati in grado di generare un tiro migliore di quello appena rifiutato. In tutta l’azione i Warriors eseguono 4 palleggi (di cui 3 di Durant nella propria metà campo difensiva), 6 passaggi, nessun blocco e Steph Curry, il miglior tiratore del pianeta, nemmeno tocca il pallone.

 

Un tiro da tre punti su scarico è l’esaltazione di un gioco corale, e il pick and roll è la forma di collaborazione offensiva più usata per innescare il movimento di palla e di uomini. L’errore più comune che si può commettere è pensare al pick and roll come un gioco a due: senza il movimento dei cinque giocatori in campo è una soluzione sterile, arginabile da qualsiasi difesa competente.


 

 

 

Chris Paul gioca pick and roll con DeAndre Jordan, che nell’andare a canestro si porta appresso 2 difensori e attiva Griffin. L’extra-pass per Mbah a Moute coinvolge il quarto giocatore e porta il principe africano a segnare una tripla dall’angolo con 3 metri di spazio.



 

 

 

Il cambio sistematico è una delle migliori strategie difensive per limitare l’efficacia dei pick and roll, a patto che la comunicazione e la collaborazione tra difensori sia impeccabile. In questo caso però Josh Richardson perde la visuale con il suo uomo e Jerebko è freddo nel punirlo con un taglio, che provoca una reazione a catena e porta al tiro da tre di Smart, un tiratore perimetrale da 28% che però non può esimersi dal segnare un rigore a porta vuota.

 

Da qualche anno un modo creativo di giocare il pick and roll è trasformare il terzo giocatore coinvolto in bloccante. Questo tipo di collaborazione è denominata “

”: Sergio Scariolo l’ha sdoganata ad alto livello con la nazionale spagnola campione d’Europa del 2015 ed è quindi probabile che abbia avuto origine nel campionato spagnolo, da cui ha preso il nome.


 

 

 

Due giocatori giocano il pick and roll; il terzo, Ryan Anderson, blocca il difensore del rollante e poi si apre sul perimetro; tre giocatori dei Wolves si schiacciano in area e Anderson ne approfitta per aprirsi sul perimetro, ricevere il passaggio di uscita e sparare da tre. (N.B. Anderson è solito rimanere anche un metro oltre la linea per creare ulteriore spazio tanto ai suoi compagni quanto al suo tiro, rendendo più difficile il recupero della difesa. Fateci caso la prossima volta che guardate i Rockets)



 

 

 

Identica situazione: il blocco sul rollante di Marvin Williams è molto basso ma permette agli Hornets di comprimere la difesa dei Jazz in area, per poi dilatare lo spazio sul perimetro per una tripla piedi per terra.


 

 

 

In questa

, Oladipo sta con Redick perchè ha paura del suo tiro: ne consegue uno scarico per un tiro ad altissima percentuale da sotto canestro.

 

In una lega in forte evoluzione, dove il concetto classico dei ruoli sta lasciando sempre più spazio alla versatilità dei giocatori, il pick and roll (e il pick and pop) non è più da intendersi come un gioco a due tra un piccolo ed un lungo, ma sempre più spesso è una situazione tattica adoperata per creare accoppiamenti vantaggiosi, rompere gli equilibri difensivi e innescare nuove opportunità per l’attacco.



 

 

 

Sul pick and roll James-Liggins, Hollis Thompson passa “in quarta” - dietro al portatore di palla, al bloccante e al suo difensore - perché lasciare il tiro dalla media a LeBron è comunque il minore dei mali (se va al ferro sono 2 sicuri, quando va male anche 3 punti). Il taglio di Mike Dunleavy, che vede il suo difensore

verso la minaccia con il numero 23, induce Embiid a staccarsi da Kevin Love quel tanto che basta per segnalare a James un compagno libero per un tiro migliore di quello che poteva prendersi dal gomito.


 

 

 

Ancora pick & roll tra James e un esterno, in questo caso Kyrie Irving: la difesa cambia, James individua nella marcatura Nance-Irving il mismatch vantaggioso, Irving infila il suo avversario in backdoor e potrebbe segnare un canestro facile, ma decide di servire Jefferson per una tripla dall’angolo ancora più facile (e più remunerativa) con 5 metri di spazio.

 

Parallelamente al pick and roll in ogni sua salsa e dinamica, anche il pick and pop è un’arma molto efficace nel produrre tiri da tre ad alta percentuale. Nel corso degli anni questo movimento ha visto fiorire una schiera di lunghi atipici in grado di aprirsi sul perimetro e condizionare le scelte difensive con la loro capacità di segnare con percentuali eccellenti da fuori.



 

 

 

Un classico pick & pop con lo stretch four, in questo caso Patrick Patterson, che dopo il blocco si apre, riceve e tira da tre.

 

Oggi la tendenza sempre più radicata, come per il pick and roll, è giocare questo tipo di situazione tra esterni, in modo più dinamico.


 

 

 

Da partenza

, Porter porta un blocco sulla palla per Wall, James Johnson “droppa” in area - ovvero difende con l’obiettivo di contenere Wall, facendo due passi verso il centro dell’area - e Porter “poppa” in punta per tirare con spazio da tre punti, anche grazie al provvidenziale blocco di contenimento di Gortat.

 

 



 

Sono numerosi i set offensivi che i coach NBA utilizzano per esaltare le caratteristiche dei propri tiratori e creare loro situazioni in cui poter ricevere in ritmo e lasciar andare un tiro da oltre l’arco.

 

Gli Hawks sono micidiali nell’innescare Kyle Korver con un semplice blocco lontano dalla palla che si presta, con le letture adeguate, a offrire una vasta gamma di opzioni.



 

 

 

Millsap scende a bloccare Korver che però è marcato faccia a faccia. Per Korver la lettura è molto semplice: anziché sfruttare il blocco di Millsap, è

a portare un blocco di contenimento per il compagno che ha due metri di spazio per prendersi il tiro.


 

 

 

Solita situazione: Korver stavolta ha spazio per sfruttare il blocco di Millsap, ricciola e spara da tre in quella che è la sua situazione di tiro preferita.

 

Quando una squadra è abile nell’“aprire la scatola” come fanno gli Hawks, il tiro da tre serve a creare spazi più vantaggiosi vicino canestro. Atlanta, ad esempio, ha sbancato la Chasepeake Arena di Oklahoma City con questo canestro di Millsap.



 

 

 

È una sequenza offensiva in cui il pick & pop iniziale tra Schröder e Millsap, seguito dal taglio backdoor di Sefolosha e concluso con il pick and roll consegnato tra Millsap e Korver, ha generato il canestro risolutivo della partita: un tiro in avvicinamento non contestato reso possibile dalla minaccia incombente di un tiro da tre che ha dilatato gli spazi.

 

Parlando invece di collaborazioni più complesse, uno strumento molto usato per trovare buoni tiri da tre punti è il cosiddetto

.


 

 

 

Il blocco

è un movimento che si verifica quando un attaccante passa in mezzo a due compagni di squadra che si chiudono come le porte di un ascensore, ostacolando il difensore che cerca di recuperare. I Suns, dopo la prima sequenza di blocchi sfalsati per Barbosa, liberano al tiro Dudley chiudendo le porte dell’ascensore su cui si infrangono Galloway da una parte e Jones dall’altra.

 

Doc Rivers ama liberare al tiro un tiratore purissimo come J.J. Redick usando diversivi che spostano l’attenzione della difesa su un lato per poi punirla con un uscita dai blocchi sul lato opposto.



 

 

 

Paul chiama DeAndre Jordan per un pick and roll centrale, ma il centro dei Clippers una volta arrivato sulla palla cambia traiettoria, vira verso Redick (che poco prima stava facendo lo gnorri in angolo) e stampa sul suo difensore un blocco che permette a Redick di alzarsi da tre punti. Il tiro è sbagliato, ma la scatola è aperta e permette a Jordan di svettare a rimbalzo d’attacco e poi servire Griffin che schiaccia a canestro.


 

 

 

Solita situazione: Jordan finta di bloccare sulla palla, vira in direzione di Redick che sfrutta il blocco, mette a posto i piedi e stavolta manda a bersaglio dai 7.25.



 

 

 

Ancora finta di pick & roll Paul-Jordan, virata verso Redick che porta il suo difensore sul blocco, esce per il

e segna con facilità. Insomma: la prossima volta che vi viene da pensare qualcosa di male su DeAndre Jordan, pensate anche a questi blocchi.

 

I San Antonio Spurs negli anni hanno affinato una particolare situazione tattica, detta

, che permette di liberare in angolo sul lato debole un tiratore da tre punti che si muove verso la linea di fondo parallelamente alla palla - quasi a schiacciare la difesa come un martello che sbatte sull’incudine.


 

 

 

Gli Spurs liberano sul lato forte Leonard che attacca il canestro; allo stesso tempo Gasol porta un blocco cieco per Mills sul lato debole che si abbassa in angolo, raccoglie lo scarico di Leonard sulla linea di fondo e si alza per un tiro da tre in ritmo.

 

Come spesso accade, una cosa che funziona viene copiata, rivista e riproposta da chiunque.



 

 

 

Marc Gasol riceve in post e gioca l’uno contro uno; non appena attacca la linea di fondo, Randolph e Conley collaborano per liberare in angolo il play dei Grizzlies servito dello spagnolo per un comodo tiro da tre punti.

 

 



 

Dietro a giocate spettacolari o canestri decisivi spesso si nasconde uno schema eseguito alla perfezione. Questa è la raccolta degli X&O che più ci hanno rubato l’occhio in questi due mesi di regular season.

 





 

Per EOG intendiamo le

, ovvero schemi speciali disegnati appositamente per l’ultimo tiro, in particolare per situazioni in cui è necessario un canestro con pochi secondi da giocare e non è permessa un’esecuzione articolata di un set classico. È in questi momenti che il basket diventa un gioco drammatico e dannatamente crudele: la differenza tra la vittoria e la sconfitta la può fare un singolo possesso, l’ultimo.

 

Uno dei connubi più formidabili in situazioni del genere è quello composto da Damian Lillard e Terry Stotts: il primo è ammantato di un’aurea mistica per le sue imprese nel

, dovuta senz’altro alla sua clamorosa freddezza nel mettere i tiri decisivi, ma gran parte del merito lo deve condividere con il suo coach, un vero genio nell’escogitare e creare situazioni vantaggiose per il suo giocatore di punta.

 

Il 29 ottobre i Nuggets sono stati beffati da un canestro di Lillard che è valso l’overtime (e poi la sconfitta) nella serata in cui il Pepsi Center era agghindato a festa per celebrare il ritiro della canotta numero 55 di Dikembe Mutombo.


 

 

 

Con 2.9 secondi da giocare e Nuggets avanti di due punti sul 104-102, Stotts ha tirato fuori dal cilindro questa SLOB, acronimo di SideLine Out Of Bound, più semplicemente, una rimessa laterale: Mason Plumlee a fare la rimessa, McCollum, Lillard e Leonard in fila sulla linea che delimita l’area dei tre secondi e Crabbe in angolo sul lato debole.

 

McCollum sfrutta il velo di Lillard ed il blocco “

” di Leonard per uscire in punta, Crabbe taglia sotto canestro per liberare il lato debole e portare via un difensore. E’ il momento di Lillard che si muove nella solita direzione per sfruttare il medesimo blocco ma ricciolando a canestro, avvantaggiato anche dall’astuzia di Leonard che allunga la corsa di Mudiay sporgendo il sedere in fuori e facendo due passi in allontanamento, quasi al limite del fallo in attacco per blocco in movimento. Lillard è solo in area ed il passaggio di Plumlee è calibrato alla perfezione per finire nelle mani del numero 0 che appoggia a canestro.

 

Qualche giorno dopo, il 2 novembre, i Blazers erano di scena a Phoenix e lo scenario è stato identico: 1.1 secondi da giocare, Portland sotto di 2, stesso quintetto in campo, stessa disposizione, stesso movimento, esecuzione diversa ma medesimo risultato.



 

 

 

Scartata la prima opzione, Lillard si alza in ala e Leonard esegue il “Piano B” bloccando orizzontalmente per McCollum e costringendo Tucker a cambiare approccio, ovvero passare da situazione contenitiva ad una situazione di cambio sistematico con uno sprint, Leonard legge il vantaggio e taglia a canestro appena dopo il blocco.

 

Il risultato è un passaggio filtrante con l’area completamente vuota per il più facile degli appoggi al vetro per mandare la gara all’overtime, vinta poi dai Suns con un buzzer beater di Bledsoe.

 

Mercoledì 4 gennaio, Joerger ha provato lo stesso identico schema per rubare un canestro facile, ma l’esecuzione più lenta ed il passaggio di Barnes calibrato male hanno dato come risultato una palla persa.


 

 

 



 

Domenica 13 novembre si è consumata a Oklahoma City la vendetta dell’ex. Serge Ibaka infatti ha realizzato il canestro della vittoria dei suoi Magic stabilendo contro la sua ex squadra il proprio career high di 31 punti, segnando un jumper sulla linea di fondo al termine di un gioco offensivo eseguito alla perfezione.



 

 

 

Fournier esegue un taglio “

” - ovvero un taglio orizzontale sopra la linea del tiro libero dal lato a lato, reso celebre dall’ex Sixers - sfruttando il blocco dei due lunghi al gomito. Questo è un tipo di taglio molto utilizzato dagli allenatori NBA, ma l’uso che ne fanno i Magic è di semplice specchietto per le allodole perchè Ibaka, posizionato sul gomito sinistro, a sua volta sfrutta un blocco orizzontale di Vucevic per ricevere e giocare in velocità un isolamento su un quarto di campo. La difesa di Adams che cambia sul blocco è competente, ma il sangue freddo e la sensibilità nei polpastrelli del congolese non lasciano scampo ai Thunder.

 

 



 

Per “

” si intende una situazione di Screen the Screener, in cui il primo blocco è cieco.

 

Il 17 dicembre i Miami Heat, in rimonta, stavano per fare lo sgambetto ai Los Angeles Clippers in un concitato finale in cui Erik Spoelstra ha estratto dal proprio cilindro una EOG proposta due volte a fila che ha prodotto due canestri.


 

 

 

Con 20.6 secondi da giocare, Richardson taglia verso Dragic che, partendo da sotto canestro, sprinta forte al gomito, blocca cieco per il compagno e ricciola attorno a James Johnson acquisendo un vantaggio sul suo avversario diretto. Winslow passa la palla al play sloveno che tiene dietro di sé Rivers e attacca in percussione il canestro appoggiando al vetro.



 

 

 

Nell’azione successiva, con 16.2 secondi da giocare, gli Heat presentano il solito gioco ma con una disposizione iniziale differente: è McGruder che sfrutta il ricciolo in angolo, la difesa Clippers reagisce, ma è a questo punto che Dragic piazza un blocco cieco per Richardson che si allontana da canestro, riceve, gioca 1 vs 1, segna e subisce fallo.

 

Per gli Heat questo gioco si è rivelato utile in più di un’occasione.


 

 

 

Ad esempio lo scorso 11 novembre, nella prima partita a Miami da avversario di Dwyane Wade, lo svolgimento dello schema portò ad una tripla dall’angolo in stile Hammer di Richardson su colossale dormita difensiva di Rajon Rondo.



 

 

 

Lo scorso febbraio, in un’infuocata sfida di regular season contro i Pacers, gli Heat proposero la solita rimessa che liberò un quarto di campo a Wade per un 1 vs 1 chiuso con un fallo subito.

 

 



 

Dopo aver perso 24 ore prima al Fedex Center di Memphis contro i Miami Heat, i Grizzlies si vendicano nel back-to-back a campi invertiti piazzando il canestro più pesante dell'incontro al termine di questa schema appartenente alle Horns Series di cui è folto il playbook dell'esordiente David Fizdale, che torna a Miami per la prima volta da avversario dopo 8 anni da assistente di Erik Spoelstra.


 

 

 

Tony Allen porta palla, Troy Williams esegue un Iverson Cut sfruttando i blocchi di Marc Gasol e JaMychal Green. Dopo aver portato il primo blocco, Gasol si apre oltre la linea dei tre punti e riceve da Allen che finta di giocare un passaggio consegnato, passando sopra al suo centro. Williams, appena passa Green, porta con quest'ultimo un blocco

a Conley che partendo dall'angolo sprinta, legge la difesa di Josh Richardson, esce in ala, riceve e lascia partire la tripla che vale la partita, fissando il punteggio sul 108-101.

 

Il possesso seguente i Grizzlies eseguono il medesimo set ma la difesa Heat cambia approccio.

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