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Redazione basket
Boogie Night
20 feb 2017
20 feb 2017
Proviamo ad analizzare lo scambio che ha portato DeMarcus Cousins ai New Orleans Pelicans.
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Di Nicolò Ciuppani

 

Un anno e mezzo fa Vlade Divac si rese protagonista

fino ad oggi: per creare spazio salariale e far firmare Rajon Rondo (poi allontanato 12 mesi dopo), i Kings scaricarono Jason Thompson, Carl Landry e

pagando il “fastidio” a Philadelphia con la possibilità di scambiare le scelte nel 2016 (poi non esercitata) e nel Draft 2017 (improbabile, ma sai mai),

una prima nel Draft 2018, che diventa

nel 2019 se quella del 2018 cadrà nelle prime 10 posizioni nel Draft. A rendere ancor più tragico lo scambio furono due fattori: i Kings potevano semplicemente usare la

sui loro salari e avere lo spazio necessario per fare tutto quello che poi hanno fatto e, soprattutto, non avevano realizzato che il contratto di DeMarcus Cousins sarebbe terminato esattamente l’anno in cui quella scelta sarebbe diventata non protetta.

 

Già allora sembrava che l’idea dei Kings fosse quella di provare a costruire una squadra decente attorno a “Boogie” (anche se i rumors di un suo possibile scambio erano ancora ben presenti, lo avevamo pure anticipato sulla

), cosa rapidamente andata a rotoli nonostante l’inaugurazione della nuova arena e un ottavo posto che dista solamente due partite e mezza. Con la mossa di ieri notte, adesso i Kings hanno legato il proprio nome alle due peggiori trade della storia recente, un uno-due che fa apparire il destino di Brooklyn un po’ meno desolato, mentre a Philadelphia si può stappare quello buono per davvero (con un brindisi per

).

 

Il prezzo ricevuto per Cousins è scandalosamente basso sotto qualunque punto di vista, e risulta di molto inferiore a quello che gli stessi Kings pagarono 18 mesi fa per liberarsi di Jason Thompson e soci. Buddy Hield ha solo tre anni in meno di Cousins e il suo upside sembra estremamente limitato; Tyreke Evans e Langston Galloway sono stati inseriti solo per far quadrare i conti e sono destinati a non lasciare segno in California; la prima scelta dei Pelicans è comunque protetta top 3 in questa Lottery, quindi anche nel caso (possibile) che New Orleans non vada ai playoff e che (improbabile) vinca la lotteria per una delle prime tre scelte, Sacramento non avrebbe nemmeno la sicurezza di pescare un giocatore valido per ricostruire. I rapporti tra Cousins e il resto della franchigia dei Kings saranno stati anche tesi e magari vicini alla rottura, con report continui di litigate dietro le quinte e un atteggiamento di Cousins tutt’altro che costruttivo, ma “DMC” era veramente l’unica cosa che permetteva a Sacramento di galleggiare e avere una qualche possibilità di vincere delle partite: partito lui, si fa davvero fatica anche a capire chi sia il miglior giocatore di Sacramento adesso.

 

I Kings possono pure pensare di vivere un’insperata risurrezione, se vogliamo credere alla storia che Cousins fosse

che li tenesse a freno (pur essendo l’unico con Offensive Real Plus Minus e Defensive Real Plus Minus ampiamente positivi, con gli altri che oscillavano tra il mediocre e l’atroce). Willie Cauley-Stein ha mostrato alcuni lampi, ma nulla che potesse farlo sembrare una stella o un titolare affidabile per molto tempo. Buddy Hield non muove la bilancia sul reparto guardie più di quanto lo potesse fare Ben McLemore. Insomma, se vogliamo credere all “

siamo liberi di farlo, ma le basi per pensarlo non sembrano esserci. E finita questa eventuale e improbabile resurrezione, che in nessun caso li può portare vicino ai playoff, non esiste nemmeno un futuro prossimo.

 

La scelta di quest’anno va a Chicago se cade fuori dalle prime 10, e quindi sembra quantomeno trincerata ora come ora (almeno un lato positivo c’è!), ma è fin troppo tardi per pensare di scalzare Lakers, Suns e Nets dalle ultime posizioni per avere una buona posizione nelle palline della Lottery. E anche se le cose andassero per il verso giusto, Philadelphia avrebbe la possibilità di scambiare le scelte, di fatto rendendo inutile o quasi la presenza nella Lottery dei Kings.

 

Infine, considerando che tra un anno difficilmente i Kings saranno in grado di giocarsi i playoff, è pressoché certo che spediranno la scelta del 2019 ai Sixers senza protezione, che al momento è diventata uno dei migliori asset della lega, con un valore simile alla preziosissima scelta 2018 dei Brooklyn Nets detenuta dai Celtics. I Kings in estate avranno una trentina di milioni di spazio per provare ad attirare un free agent di livello, senza avere però una stella o uno status per riuscirci e la scelta di quest’anno per tornare velocemente competitivi. Queste sono le uniche ed ultime cose che li possono tenere a galla: se entrambe dovessero fallire, il periodo di crisi dei Kings è destinato ad essere estremamente lungo e incredibilmente doloroso. E mentre Hinkie, che è stato il primo a spennare i Kings con quella trade, viene invitato a farsi da parte dalla lega, Vlade e il resto della dirigenza di Sacramento sembrano essere ancora saldamente al proprio posto.

 



 





Di Dario Vismara

 

Per molti versi, il fatto che la storia tra DeMarcus Cousins e i Sacramento Kings si sia conclusa con un

è perfettamente coerente con i sei anni e mezzo trascorsi insieme. Un periodo di tempo che ha fatto nascere la versione NBA del dilemma dell’uovo e della gallina: è DeMarcus Cousins ad aver reso i Kings un disastro oppure è il disastro dei Kings ad aver reso Cousins quello che è? Una domanda a cui ha cercato di rispondere Kevin Arnowitz giusto un mesetto fa in

di questa regular season, senza riuscire a dare del tutto una risposta. Forse perché una risposta davvero non c’è.

 

Quello che sappiamo è che i Kings, dopo aver giurato e spergiurato che non lo avrebbero scambiato, hanno premuto il grilletto su una trade prima ancora di arrivare alla

del mercato e ricevendone in cambio un pacchetto che sembra peggiorare ogni minuto che passa. Viene da chiedersi: è davvero possibile che il rapporto tra le parti fosse così compromesso da giustificare un prezzo di vendita così basso? Perché — pur con tuuuuuuutti i loro difetti, le loro mancanze di talento e le loro idiosincrasie, che sono quelle di una squadra fondamentalmente

— i Kings sono solamente a una partita e mezza dall’ottavo posto a Ovest. E l’unico motivo per cui si trovano lì alla pausa per l’All-Star Game è il fatto di aver potuto schierare il miglior giocatore in campo più spesso rispetto agli avversari: ora che si sono tolti anche quell’ultimo vantaggio, che cosa rimane?

 

E che cosa rimane in generale dell’esperienza DeMarcus Cousins a Sacramento, uno dei connubi più dibattuti di tutta la NBA? Rimangono le sconfitte (tante), i momenti controversi (tantissimi) e le domande su “chissà che cosa sarebbe se fosse in un’altro ambiente” (che ora speriamo abbiano una risposta, per quanto New Orleans non sia esattamente San Antonio). Ma, come scritto più volte sull’opinione di DeMarcus riguardo la situazione in cui si trovava, i Kings erano un casino, ma lui li sentiva come

— come quella ragazza che sai che non ti porterà nient’altro che dolore, ma dalla quale non riesci a immaginarti lontano.

 

Nonostante sei anni e mezzo di mancati playoff — anche qui: non che prima del suo arrivo fossero esattamente gli Spurs… — Cousins aveva fatto sapere pubblicamente che sarebbe rimasto a Sacramento e che avrebbe accettato l’estensione da 209 milioni in cinque anni che i Kings avrebbero potuto offrirgli in estate. Quella stessa estensione che

sembravano più che intenzionati a dargli e che ora con questo scambio gli hanno negato, quasi a spregio per tutti i casini che Cousins ha creato nello spogliatoio (ma mai nella comunità, dove era

) in questi anni. Forse adesso che le parti si sono separate si potrà finalmente dare risposta alla domanda iniziale: è stato DeMarcus Cousins il problema di Sacramento o sono stati i Kings il problema di uno dei talenti più controversi degli ultimi anni di NBA?

 


Questa la reazione di Cousins, a cui era appena stato comunicato in privato l’esito della trade


 





Di David Breschi

 

I Pelicans durante il weekend dell’All Star Game sono stati molto attivi sul fronte rumors, perchè prima dell’ufficialità della trade Cousins, avevano

in Louisiana Paul George da Indiana (senza successo) e solo 10 giorni prima - con quasi lo stesso pacchetto con cui hanno preso Cousins! - avevano bussato alla porta dei Sixers per ottenere in cambio Jahlil Okafor. Questa trade per loro significa spingere la franchigia in una nuova direzione, dopo anni in cui il front office ha navigato a vista costruendo attorno all’uomo franchigia una squadra mediocre e senza futuro.

 

Parliamoci chiaro: i Pelicans hanno appena formato la coppia di lunghi più talentuosa dell’ultimo decennio, entrambi nel

della loro carriera, entrambi compatibili con il gioco dell’altro e complementari da un punto di vista tecnico/tattico. Azzardo sapendo di azzardare: la storia della NBA è piena di “Twin Towers”, ma nessuna aveva la combinazione di

di Davis e Cousins, due lunghi moderni, con ampio range di tiro, gioco fronte e spalle a canestro - caratteristiche che, seppure in una lega orientata sempre più verso il gioco perimetrale, possono far pendere l’ago della bilancia verso i Pelicans. Immaginatevi i danni che possono fare Cousins in post alto e Davis in post basso,

, mentre gli avversari cercano un modo di sopravvivere ai continui accoppiamenti sfavorevoli che si generano, e il tipo di spazio che uno sveglio come Jrue Holiday può sfruttare per tagliare in due le difese mentre le attenzioni sono rivolte altrove.

 

Inoltre Davis e Cousins si conoscono e a quel che sappiamo si stimano, si rispettano, sono amici e condividono anche la solita alma mater, svezzati nel loro unico anno da collegiali, in periodi diversi, da John Calipari a Kentucky. Questa connessione può essere il punto focale attraverso il quale agevolare l’innesto dell’ex Kings e disinnescare la bomba atomica emotiva che Cousins si porta appresso, deflagrata in tutta la sua potenza a Sacramento.

 

I Pelicans hanno prelevato Cousins a prezzo di saldo, sfoltendo il reparto esterni di giocatori di cui non rimpiangeranno la partenza e privandosi di due scelte che non pareggiano il valore della contropartita che hanno acquisito: Langston Galloway, Tyreke Evans e Buddy Hield per ovvi motivi erano sacrificabili per arrivare ad un colpo del genere, e nessuno di loro offriva garanzie di futuribilità per il progetto Pelicans mentre le scelte cedute, come detto poco sopra, rischiano di essere un corollario alla trade e non il punto forte.

 

Ora per i Pelicans c’è da fare chiarezza e non è detto che da qui al 23 febbraio le mosse in entrata e in uscita siano finite: è già trapelata la notizia che Terrence Jones, il più sacrificato dei Pelicans da questa trade, vorrebbe cambiare aria per avere più spazio altrove, e con la nuova strutturazione è imperativo sfoltire il reparto lunghi, che dietro la coppia Davis/Cousins e il già citato Jones comprende anche i pachidermici (per stazza e per contratto) Alexis Ajinca e Omer Asik, oltre Donatas Motiejunas e il rookie Cheick Diallo. Allo stesso tempo vanno reintegrate forze nuove sul perimetro da affiancare a Jrue Holiday (oggi più che mai giocatore barometro in mano a Alvin Gentry), Tim Frazier ed E’Twaun Moore, che non possono sostenere sulle loro spalle il peso del supporting cast insieme ai jolly Dante Cunningham e Solomon Hill, che spesso hanno affiancato Davis nei quintetti piccoli dei Pelicans. Nell’affaire Cousins da Sacramento è arrivato anche Omri Casspi, che si candida a diventare il miglior tiratore di una squadra che adesso ha bisogno come il pane di tiratori che aprano il campo al duo che tremare il mondo fa.

 

I Pelicans si candidano a diventare la mina vagante per la corsa ai playoff della Western Conference e per Boogie è un’occasione da non perdere per cambiare in meglio la propria carriera, dopo gli alti e bassi di Sacramento che ne hanno minato la reputazione.

 



 

Nell’aspetto più LOL di tutta la vicenda, solo poche settimane fa Buddy Hield aveva colto la sua prima espulsione in carriera proprio per un colpo nelle parti basse di Cousins


 





Di Lorenzo Bottini

 

5) I Sacramento Kings diventano ufficialmente

dell’NBA

4) Vivek per sentirsi a casa fa piantare delle palme tutto intorno alla Golden 1 Arena

3) Ottengono i diritti di LaMelo Ball per difendere 4 vs 5 e fare cherry picking

2) Diventano la squadra di D-League dei Reno Bighorns

1) Rudy Gay diventa il nuovo franchise player

 

 



Di Daniele V. Morrone

Abbiamo già parlato degli aspetti di questo scambio per le due squadre coinvolte, ma ogni trade che coinvolge un giocatore top 15 della lega merita anche un ragionamento su quello che significa per le altre 28 franchigie. Perché se un top 15 si sposta per due giocatori di ruolo facilmente tagliabili, un rookie di 24 anni, una prima scelta di metà giro e una seconda scelta 2019, viene immediatamente da chiedersi perché nessun altro abbia provato ad offrire di più. Anche

di più. La logica ci dice che al momento in cui i Kings hanno deciso di cedere “Boogie” non è stata presentata offerta migliore.

avvalorano questa idea, dato che sembra che le altre 28 franchigie si siano divise tra chi non ha neanche alzato il telefono e chi non era disposto a dare niente di più.

 

Per via dell’asimmetria informativa non possiamo sapere realmente quanto Cousins fosse cancerogeno per l’ambiente, ma è pur vero che non l’abbiamo mai visto in nessun altro ambiente, con nuovi stimoli e prospettive di vittoria. Vedere scambiare un top 15 è veramente raro; vedere squadre a cui serve un top 15 per fare il definitivo salto di qualità e presentarsi come reali

non inserirsi neanche in corsa per arrivare a lui, ancora meno. Volendo fare tre esempi per tipologia di franchigie di questo tipo penso prima di tutto ai Celtics, squadra ormai da un paio di anni a un top 10 dall’essere reale

e che ha speso anni a costruirsi una struttura del roster fatta apposta per poter andare a prendere un giocatore di quel calibro e inserirlo in un contesto vincente (aka assets e scelte). Sembra incredibile, invece proprio loro sono tra le squadre che non hanno neanche alzato il telefono.

 

Scendendo poi tra le squadre che con Boogie avrebbero fatto il reale salto di qualità penso agli Washington Wizards, anche loro in grado di poter dare quanto richiesto da Sacramento e con in più la possibilità di fare felici due grandi amici fuori dal campo come Boogie e Wall.

 

Tra quelle in lotta per i PO, che con Boogie avrebbero potuto cambiare le loro prospettive, penso prima di tutto agli Hornets. Anche la squadra di Michael Jordan aveva tutti gli asset richiesti da Sacramento, inoltre ha già una stella in Kemba Walker e una struttura in grado di assorbire, almeno in teoria, Boogie. Bastava solo un minimo di ambizione. La stessa ambizione che le tante squadre in rifondazione avrebbero potuto mostrare per un giocatore in grado da solo di significare un balzo in avanti evidente sulla tabella di marcia - magari non esattamente quello voluto o sperato, ma di sicuro un balzo in avanti. Probabilmente i Lakers sono quelli che vengono in mente per primi.

 

Però Boogie è stato regalato ai Pelicans, cosa che rende forse ancora più attuale la frase che un gm anonimo aveva lasciato a Arnowitz in occasione del suo pezzo sui Kings: “Ogni mattina mi alzo e spero che qualcuno lo abbia preso”, come a togliersi la tentazione da davanti agli occhi. Ora, quantomeno fino all’estate del 2018, non ci sarà più.

 

 

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