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Tommaso Giagni

Gareth Bale, offuscato

La sua carriera è stata davvero una delusione?

Forse il gol di Gareth Bale che bisogna guardare, per comprendere, è quello in cui non è lui il vero protagonista. Gol suo e pesantissimo, in una finale di Champions League, ma soprattutto casuale. Nell’immaginario i migliori campioni si muovono con intenzione e la fortuna, se li aiuta, l’hanno meritata. Lui invece, quella notte della primavera 2018, aveva perso l’attributo di campione nella pienezza del termine: da mesi, da anni, era stato ridimensionato. Il calcio l’aveva marchiato come una specie di beneficiario dei prezzi gonfi della contemporaneità.

 

Quando carica il tiro, sembra una velleità o un entusiasmo ingenuo. La gara è in bilico, mancano almeno dieci minuti e un gol di vantaggio sul Liverpool è nulla. Bale calcia da 25 metri, defilato: è probabile che se lo consenta perché il 2-1 del Real l’ha segnato lui ed è stato un gol da sogno. Questo tiro è violento, ma troppo centrale. Il portiere Loris Karius è sulla traiettoria e intercetta. Poi le dita sembrano spezzarsi, e la palla prosegue in porta. 3-1. È una non-parata da bambini, quella di Karius, un controsenso nella notte che designa il club più forte d’Europa. È un’assurdità tale che il protagonista diventa lui, e Bale una spalla del numero comico. Il portiere aveva già regalato il primo gol a Benzema, è una specie di autodoppietta suicida che offusca la sua doppietta.

 

Persino quando decide una partita simile da subentrato, con mezz’ora a disposizione, persino nella notte professionalmente più importante della sua vita, Gareth Bale viene offuscato. È come una statua il cui rivestimento d’oro perde frammenti – l’oro perde peso, la statua perde valore.

 

 

Gareth Bale è asceso dalla semiperiferia del calcio fino ai maggiori teatri di questo sport. Eppure un’opacità lo ha avvolto fino a nasconderne, in parte, il talento. Ed è rimasto a metà anche nei sentimenti che ha suscitato. In un mondo di reazioni facilmente nette, lui non è stato divisivo. Superati gli anni più giovani, protetti dall’indulgenza e da una specie di attesa messianica, in pochi hanno potuto amarlo come un idolo. Ed è stato incompiuto, si direbbe, anche nelle antipatie che ha attirato. Spesso aveva un carico di avversativi ad accompagnarlo, sì, ma avversativi leggeri. Nonostante, eppure.

 

Il ritiro di un calciatore è sempre un momento di bilancio, che chiama al giudizio retrospettivo e quindi finale. Nel suo caso l’uscita di scena, annunciata il 9 gennaio, poco dopo il Mondiale da capitano, a 33 anni, può forse permetterci di ruotare la prospettiva e capire qualcosa di noi. Perché la domanda immediata sembra essere: quanto Gareth Bale ha mantenuto le promesse? Ma forse è altrettanto interessante chiederci: come ci siamo rivolti a lui?

 

Essere capaci di fare molte cose può sconfinare nell’indefinitezza. Un tono intermedio che ha molto a che vedere con Bale. Con la straordinaria versatilità che ha espresso, grazie alla quale è stato in grado di giocare terzino e prima punta, lungo la carriera, centrocampista di fascia sinistra ed esterno alto a destra.

 

Quando Predrag Mijatovic si lamentò che al trentenne Bale sembrasse interessare più il golf del Real Madrid, stava srotolando un filo che portava alle origini multisportive del Bale ragazzino. Il Bale adulto che mostrava la pezza: “Wales, Golf, Madrid. In that order” stava mostrando qualcosa che riguardava i suoi quattordici anni, quando correva i 100 metri in 11:4 secondi.

 

 

Da questa versatilità è emersa la sua grandezza. Dall’utilità delle sue caratteristiche, dalla combinazione insolita di montagne di gol segnati giocando lontano dalla porta.

 

Il Southampton lo scovò bambino, quando aveva la maglia del Cardiff Civil Service FC. Dalle giovanili passò in prima squadra molto presto, dopo due stagioni da professionista arrivò a Londra. Non era ancora maggiorenne e l’investimento del Tottenham ammontava a 15 milioni di euro. Intanto con il Galles, nell’arco di neanche dieci mesi, aveva esordito in Under 17, in Under 19, in Under 21 e in Nazionale maggiore. Tutto prima di aver compiuto 17 anni.

 

Nelle sei stagioni che seguirono (2007-2013), imperversò attraverso l’affermazione e la sorpresa. Era imprendibile in una definizione. Un Frankenstein di forza fisica e velocità e abilità tecnica assieme, dotato di troppo peso offensivo per poter corrispondere all’idea di terzino. Inevitabilmente avanzò anche la sua posizione in campo. Da ala, nelle sue 33 partite del campionato 2012-13, arrivò a 21 gol (e 8 assist). Dietro al capocannoniere Van Persie e a Luis Suárez, ma davanti a tutti gli altri marcatori di Premier.

 

Ci siamo interrogati su cosa fosse, quel giocatore di neanche 24 anni. La sua anomalia ci incuriosiva. Era abbastanza giovane perché la sua irruzione calamitasse proiezioni. Ci scaldava, forse anche perché apparteneva a una squadra di seconda fascia e proveniva dal piccolo Galles. Poteva bruciarsi a furia di correre, ma di opaco non aveva nulla.

 

 

Il cross di destro di Marcelo è leggermente arretrato. Il Liverpool ha recuperato lo svantaggio, trascorsa un’ora di gioco la finale di Champions League è in equilibrio. Gareth Bale, entrato dalla panchina due minuti prima, salta, di spalle alla porta. Un gesto innaturale, qualcosa in contatto più con l’intuizione che col razionale, come poi ogni tentativo di rovesciata. Alto quasi un metro e novanta, Bale impatta il pallone col mancino. Tutti stanno a guardare dove va quel pallone. Va sotto l’incrocio.

 

A bordo campo, l’allenatore del Real porta la mano al capo con calma e inizia poi a scuoterla violentemente, con uno sbalordimento che renderà iconica la reazione. Nemmeno lui che segnò con una trovata fisica e tecnica portentosa in una finale lontana, nemmeno Zinedine Zidane l’aveva immaginato quel gesto.

 

Venuto dal futuro, titolava un pezzo di Daniele Manusia dedicato a Bale all’inizio del 2015. In effetti c’era già allora una forma di distanza: il corpo così poco umano rappresentava un ostacolo tra lui e noi. Il suo atletismo pareva da laboratorio e respingeva l’immedesimazione. Se ci appoggiamo all’immagine abusata dell’uomo-macchina, dobbiamo dire che per sua natura (natura artificiale) l’uomo-macchina risulta incapace tanto di dare quanto di ricevere empatia. Non beve e non fuma. Impeccabile fuori dal campo, nel gioco è sempre stato più che corretto. In 500 partite su 554, con le squadre di club, non ha ricevuto cartellini. Ha concluso la carriera con 3 espulsioni in quasi settecento gare ufficiali. Viene da pensare che non siano queste sue caratteristiche, comunque, all’origine della traccia di ostilità lieve, del generico fastidio nei confronti di Gareth Bale.

 

 

Gareth Bale, ossia il giocatore più costoso nella storia del calcio. Nel presente dell’estate 2013, dopo le sei stagione al Tottenham, questo era arrivato a essere. L’investimento del Real Madrid aveva sfondato il muro dei cento milioni di euro. Molti soldi sono spesso una garanzia, ma moltissimi soldi azionano il meccanismo della diffidenza. I 101 milioni del cartellino su Bale erano un immediato, ovvio carico di aspettative. E più in profondità, qualcosa che coinvolgeva la sfera morale, perché lo sproposito indispone.

 

La prima stagione a Madrid è perlopiù esaltante. In autunno, colleziona 8 gol e 6 assist in 7 partite. Segna nella finale di Champions League vinta contro l’Atlético Madrid. Segna una rete sublime, oltre che decisiva, nella finale di coppa del Re contro il Barcellona. Lo fa ricevendo palla in corrispondenza della linea di metà campo e involandosi, davvero come se stesse volando e non avesse il terreno sotto a fare resistenza e rallentarlo. Si lancia la palla in avanti e prende a correre, l’avversario Marc Bartra lo spinge diligentemente verso l’esterno, dove il campo è finito. Gareth Bale esce dal campo, invade l’area tecnica di Gerardo Martino, e comunque la sua corsa prosegue e sul pallone ci arriva lui, prima di Bartra che pure ha corso veloce. Converge verso la porta, tocca il pallone, infila il portiere.

 

E dopo, Bale ha deluso. Non è stato all’altezza del Real, secondo molti. Alla sfortuna che l’ha tempestato di infortuni, ha aggiunto prestazioni appannate e forse una certa pigrizia (la pigrizia per cui a Madrid, per lunghi anni, Bale non ha imparato a parlare in spagnolo). Quando la fiducia sia venuta meno, di preciso, è difficile dirlo perché è stato un processo graduale. Di certo, a trent’anni era già una figura quasi marginale nel Real. L’elemento chiave è che dopo la fiammata degli inizi Gareth Bale ha smesso di giustificare a pieno, nell’opinione pubblica, la spesa di cento milioni. Ci immedesimiamo in chi compra e in chi vende anche se non sono coinvolti club per cui tifiamo, a volte empatizziamo con i contabili e non con i calciatori. Certo non con un uomo-macchina, pagato uno sproposito, marchiato.

 

Durante lo spareggio per le qualificazioni dello scorso giugno, Bale ha segnato un gol che di nuovo richiamava la sfera morale. Come si faceva a festeggiare l’esclusione dai Mondiali 2022 dell’Ucraina? Come si faceva a non sgravare un po’ le coscienze parteggiando per il Paese sotto attacco, dove il calcio proseguiva in sordina? Il posto in Qatar se l’è assicurato il Galles, invece, grazie al più determinante calciatore della sua storia. Il capitano e simbolo, alla soglia dei 33 anni. Tre giorni prima, Gareth Bale aveva ricevuto dalla regina Elisabetta II la nomina a membro dell’Ordine dell’Impero britannico, per meriti sportivi. Dopo aver guidato la selezione gallese agli Europei 2016, incredibilmente fino alla Semifinale, ora Bale l’aveva condotta alla coppa del Mondo, 64 anni dopo l’unica altra volta. Pochi giorni dopo la vittoria con l’Ucraina, poi, ha firmato per il Los Angeles FC, rassegnandosi a un buen retiro.

 

Essere l’unica stella di una Nazionale piccola ha soprattutto vantaggi. Ma comporta pure responsabilità e viene da credere che Bale abbia trascinato, oltre al Galles, anche la propria carriera per poter fare esperienza di un Mondiale. Nel frattempo aveva provato a lasciare Madrid, nel 2020, per un prestito al Tottenham. Un ritorno, dopo sette anni, che aveva l’aria di una disperata ricerca di stimoli, fiducia, energia, e non aveva impresso una svolta.

 

Il Galles è uscito presto in Qatar, da ultimo del girone. L’unico gol segnato è stato un rigore di Bale. Lui ha chiuso in Nazionale con 111 partite, 40 reti. E ha chiuso in generale. Lasciandoci col dubbio che un giocatore così potesse essere, al massimo, ammirato. E magari che l’abbiamo avvolto noi nell’opacità, per non vedere la sua anomalia, perché veniva dal futuro, perché ci siamo accorti che il futuro non è poi questo granché.

 

 

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Tommaso Giagni (1985) ha pubblicato la biografia Afferrare un’ombra. Vita di Jim Thorpe (minimum fax, 2023) e i romanzi I tuoni (Ponte alle Grazie, 2021), Prima di perderti (Einaudi, 2016) e L’estraneo (Einaudi, 2012). Tra le antologie a cui ha partecipato: Rivali e La caduta dei campioni (Einaudi), Ogni maledetta domenica e Voi siete qui (minimum fax). Collabora con le pagine culturali di «Avvenire», scrive per «Ultimo Uomo» dal 2014.