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Federico Principi
Dieci partite che hanno cambiato la storia del Milan di Berlusconi
24 ago 2016
24 ago 2016
I momenti di svolta dei 30 anni del Milan berlusconiano.
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Federico Principi
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Con un comunicato ufficiale firmato Fininvest, alle 14.06 del 5 agosto scorso, il gruppo proprietario del 99,93% del Milan ha ufficializzato la firma del preliminare di cessione alla cordata cinese Sino-Europe Sports Investments Management, rappresentata da Han Li. Il famoso

preludio del

del contratto che sarà perfezionato entro la fine del 2016.

 

Silvio Berlusconi resterà presidente onorario di un club che ha guidato per oltre 30 anni, raccolto il 24 marzo del 1986 da una disastrosa gestione societaria del famigerato Giusy Farina e lanciato molto presto verso tutti i traguardi che lo stesso Berlusconi prospettava, con un po’ di audacia, appena salito al timone del Milan.

 



 

Il suo Milan ha conosciuto tre cicli vincenti e due scudetti - quelli di Zaccheroni e Allegri - in periodi meno dominanti. Ma non per questo sono mancate situazioni controverse, specie nell’ultimo periodo, nella gestione di alcuni momenti di transizione fino alla cessione del club, invocata praticamente all’unanimità.

 

La pianificazione del successo è stata capillare, come è stato descritto da Daniele Mazzanti

. Franco Loi scriveva che «l’entrata di Berlusconi (…) ha portato in un ambiente dilettantistico e troppo spesso fondato sul pressappochismo e sui capricci personali del padroncino di turno, il senso della suddivisione dei compiti, la distribuzione oculata delle funzioni, la serietà dello sport, ossia: (…) il passaggio da “squadra calcistica” ad “azienda calcistica”».

 

Eppure, nonostante la solida strategia dirigenziale, i destini del Milan si sono decisi anche sulla base di singoli episodi, più o meno imprevedibili, che hanno impresso dei cambi di direzione al club e ai suoi cicli. Ho selezionato alcune partite simbolo che hanno marcato in maniera più o meno netta i

nella linea immaginaria del tempo della presidenza Berlusconi. Tutte queste partite hanno generato un rapporto causa-effetto che ha portato il Milan dov’è oggi, con tutti i trionfi del passato più o meno recente, ma anche con le sue difficoltà attuali che hanno esasperato milioni di tifosi.

 

 





 

La stagione 1986-87 è la prima completa per il Milan sotto la presidenza Berlusconi. In estate venne acquistato il portiere titolare della Nazionale ai Mondiali in Messico, Giovanni Galli, a cui si aggiunsero Giuseppe “Nanu” Galderisi, Daniele Massaro, Dario Bonetti e l’ala Roberto Donadoni, strappato all’Atalanta (e alla concorrenza della Juve) per 10 miliardi di lire. La mano pesante del nuovo presidente in sede di mercato iniziava subito a farsi sentire e condizionerà in maniera ancora più marcata le stagioni seguenti.

 


La prima foto ufficiale di gruppo. L'ultima fila in basso, da sinistra: Massaro, Wilkins, Galderisi, Baresi, Evani e Donadoni. Sopra Baresi si riconosce un giovanissimo Fabio Capello, allenatore in seconda di Nils Liedholm (alla sua destra).



 

I primi appuntamenti sono quelli della fase a gironi in Coppa Italia, dove si affrontavano sei squadre con classici gironi all’italiana nei quali solo le prime due accedevano alla fase a eliminazione diretta. Dopo tre vittorie consecutive contro Sambenedettese, Triestina e Barletta, il Milan ospitava a San Siro il Parma del giovane allenatore visionario Arrigo Sacchi.

 

Berlusconi si invaghì di Sacchi proprio in quella sfida apparentemente inutile nel girone di Coppa Italia, vinta dal Parma per 1-0 grazie a una rete di Fontolan. Nessuno sa cosa sarebbe successo se il Milan avesse vinto quella partita, se avrebbe poi contribuito all’eliminazione nel girone del Parma, evitando così il nuovo scontro diretto agli ottavi di finale, se Sacchi non fosse uscito vincitore. Magari la sua carriera non sarebbe decollata in quel momento, o magari ci sarebbe stato un rallentamento, o anche solo una deviazione, nel percorso che lo ha portato ad essere una figura di riferimento nella storia del calcio.

 


Con questa clamorosa percussione Fontolan decide la partita.



 

Agli ottavi di finale i rossoneri perderanno ancora a San Siro, stavolta con un gol di Bortolazzi, e dopo lo 0-0 del Tardini Berlusconi aveva già deciso quale sarebbe stato l’allenatore del Milan a partire dalla stagione 1987-88. Galliani raccontò successivamente che riuscì per un pelo ad evitare che Sacchi si accordasse con la Fiorentina: «Quando lo chiamammo per venire a cena ad Arcore, per conoscerlo, stava andando a Firenze per assumere la direzione tecnica della Fiorentina. Lo bloccammo in autostrada, credo tra Bologna e Firenze».



 





 

Da subito il chiodo fisso di Berlusconi è quello di riportare il Milan a una dimensione europea: vetrina perfetta per le sue capacità imprenditoriali. Per questo affida a Sacchi una squadra capace di competere sia sul fronte nazionale che su quello internazionale. Il primo campionato è però altalenante: il presidente rossonero non era mai stato pienamente convinto di Nils Liedholm tanto da esonerarlo ad aprile, a sole cinque giornate dalla fine e in piena corsa alla qualificazione Uefa (perfino più tardi rispetto all’incomprensibile

29 anni dopo).

 


Liedholm insieme a Galliani e Berlusconi in una delle sue ultime foto da allenatore del Milan.



 

L’allenatore in seconda, il giovanissimo Fabio Capello, era il traghettatore che doveva consegnare a Sacchi una squadra promossa in Coppa Uefa. A fine stagione c’è però da giocare uno spareggio in campo neutro, al Comunale di Torino, contro la Sampdoria.

 

Leggenda vuole che quella fu l’ultima partita della storia del Milan in cui i rossoneri marcarono a uomo: Liedholm era riuscito a impostare la squadra a zona ma Capello per l’occasione non era andato troppo per il sottile. Capello ha detto infatti qualche anno più tardi: «Eravamo sfavoriti al 100%. La Sampdoria di Boskov, con Vialli e Mancini era già una squadra fortissima, ma noi entrammo in campo con moltissima umiltà».

 

La traversa su un colpo di testa di Briegel aveva fermato la Sampdoria nel primo tempo regolamentare, ma un lampo di Massaro ai supplementari su cross di Tassotti ha spezzato l'equilibrio.

 



 

La vittoria in quello spareggio non fu tanto determinante ai fini di successi nella competizione dell’anno seguente (il Milan anzi uscì malissimo contro l’Espanyol), ma è stato piuttosto un episodio capace di sbloccare l’ambiente. Da più parti lo spareggio contro la Sampdoria viene ricordato come lo spartiacque capace di dare al Milan l’autostima necessaria ad aprire il nuovo grande ciclo.

 

 





 

La scalata verso la vetta del calcio europeo e mondiale è stata tuttavia piena di ostacoli e quello di Belgrado è stato senza dubbio il più duro di tutti, per mille motivi.

 

Nell’autunno 1988 il Milan tornava in Coppa dei Campioni dopo nove anni. Una passeggiata di salute sul Vitocha Sofia nel primo turno era soltanto il riscaldamento verso gli ottavi contro la Stella Rossa di Belgrado, di Savicevic e Prosinecki.

 

Uno striminzito 1-1 a San Siro, con Virdis che rispose un solo minuto più tardi al vantaggio di Stojkovic, obbligava il Milan a segnare al Marakana, sotto un pubblico nemico di 120.000 persone. Il 9 novembre i rossoneri furono accolti da una delle più fitte nebbie della storia del calcio: Bruno Pizzul non riuscì a commentare il gol di Savicevic a inizio secondo tempo («A giudicare dall’urlo della folla ci deve essere stato il gol della Stella Rossa. Io non ho visto assolutamente nulla.») e rimase celebre anche l’aneddoto di tutta la panchina del Milan (compreso Sacchi) stupita della presenza di Virdis negli spogliatoi al rientro dopo la sospensione. L’attaccante era stato espulso – per un fallo visto solo dal guardalinee – e nessuno se ne era accorto.

 


Il gol di Savicevic, nascosto nella nebbia.



 

La partita di ritorno si rigiocò dal primo minuto, sul risultato di 0-0 (secondo le regole di allora) il giorno seguente. A passare in vantaggio fu stavolta il Milan con Van Basten, subito raggiunto sul pareggio da Stojkovic. Un gol clamorosamente non concesso ai rossoneri, con la palla a terra ben oltre la linea di porta per almeno un metro dopo uno sciagurato intervento di Vasiljevic, è rimasto stampato nella memoria del popolo milanista.

 


Altro che Goal Line Technology.



 

Si arrivò invece ai calci di rigore e gli errori di Savicevic e Mrkela, di fronte ai quattro gol su quattro tiri del Milan, furono fatali alla Stella Rossa.

 


L'errore di Savicevic, che poteva essere il match winner del giorno prima sotto la nebbia.



 

Probabilmente quando si parla di

nella storia della presidenza Berlusconi (in

 Tuttomercatoweb parla addirittura di “cambiamento degli equilibri del calcio europeo”) il primo flash che viene in mente è proprio la consistenza fumosa della nebbia di Belgrado. Gli eventi degli interi grandi cicli del Milan sarebbero potuti cambiare se l’arbitro avesse proseguito la partita sotto la nebbia e se i rossoneri non fossero riusciti a pareggiare il gol di Savicevic in dieci uomini, se il regolamento fosse stato come quello attuale con il match che sarebbe ripreso sull’1-0 con circa mezz’ora da giocare e con Sacchi che avrebbe potuto comporre una squadra di soli dieci uomini. E poi i calci di rigore, che da sempre cambiano il destino delle squadre.

 

Da quella nebbia è nato invece il grande Milan di Sacchi, capace di imporre la propria idea diversa di calcio, in particolar modo nel

 e successivamente nella finale contro la Steaua Bucarest dominata per 4-0.



 





 

All’alba della stagione 1990-91 il Milan era reduce da due trionfi consecutivi in Coppa dei Campioni ed è tuttora l’ultima squadra ad essere riuscita a ripetersi per due anni consecutivi.

 

Passati direttamente agli ottavi di finale della nuova edizione della Coppa dei Campioni – perché detentori del titolo – i rossoneri piegarono a fatica il Bruges con un gol di Angelo Carbone nella partita di ritorno. Ai quarti di finale il Milan trova l’Olympique Marsiglia del nascente ciclo di Abedi Ayew “Pelé” e di Jean-Pierre Papin che solo due anni più tardi si arricchì del portiere Barthez, di Angloma, Desailly, Deschamps e di Rudi Völler.

 

Papin pareggia il vantaggio di Gullit a San Siro, Chris Waddle porta in vantaggio al Vélodrome un Marsiglia virtualmente qualificato anche con lo 0-0.

 



 

Poi il caos. L’impianto di illuminazione dello stadio francese ha un guasto e l’arbitro svedese Karlsson interrompe la partita a pochi minuti dalla fine. Quando il guasto rientra parzialmente ed è palese che l’illuminazione residua sia comunque sufficiente per terminare la partita, Galliani chiama a gran voce e con ampi gesti incita la squadra ad abbandonare il campo. L’arbitro prende atto di questa clamorosa decisione e sospende la partita.

 



 

A distanza di anni Sacchi ha dato questa versione: «Galliani ci disse “non giochiamo più” e nessuno ebbe la forza e la personalità di dire “no, è giusto che si giochi”». Costacurta

 di pochi mesi fa si è spinto più in profondità e con una versione leggermente diversa, forse più realistica: «Eravamo convinti che fosse una scelta condivisa col delegato Uefa. Eravamo pronti a giocare, poi Galliani ci disse di rientrare negli spogliatoi. Abbiamo scoperto l’amara verità dai giornalisti, dopo la doccia. Ricordo ancora la faccia scura di Arrigo Sacchi. Eravamo consapevoli di aver preso parte a un’imbarazzante sceneggiata».

 

Costacurta ha poi aggiunto: «Diciamo che Galliani si è sacrificato prendendosi tutte le colpe, ma io ho un’altra idea: l’ordine arrivò da Arcore. Anche altri miei ex compagni la pensano così. Se avessimo saputo che quella era una scelta unilaterale, avremmo finito la gara. Gente come Baresi, Maldini, Gullit non aveva paura di andare contro la dirigenza, specie se era convinta di fare una cosa giusta».

 

Il Milan pagò quella figuraccia con l’eliminazione da un torneo che avrebbe potuto vincere (il Marsiglia batté lo Spartak Mosca in semifinale e perse in finale solo ai rigori contro la Stella Rossa) e per di più in una finale “in casa”, a Bari, che non raggiunse. Ma soprattutto fu escluso dalle coppe europee (dalla Coppa Uefa, vista la sua posizione finale in campionato) per la stagione successiva.

 

Il ciclo di Sacchi era già in fase discendente e si concluse di fatto in quel momento. Una figuraccia del genere non fece altro che incupire ulteriormente un ambiente che appariva saturo dell’intensità richiesta dal suo allenatore. Forse il passaggio del turno avrebbe rappresentato una sorta di accanimento terapeutico verso un ciclo destinato a finire a breve. Le celebri tensioni tra Sacchi e Van Basten sfociarono a quanto pare in un vero e proprio ultimatum, dal quale la spuntò l’attaccante olandese. Fabio Capello tornò sulla panchina del Milan nell’estate del 1991, dopo la breve parentesi a fine stagione 1986-87 e il celebre spareggio contro la Sampdoria.

 

Capello ereditò un gruppo che aveva solo bisogno di una voce diversa per riprendere a vincere. L’esclusione dalle coppe, causata dalla sceneggiata di Marsiglia, diede paradossalmente una mano al tecnico friulano a compattare di nuovo lo spogliatoio attorno a prerogative tattiche differenti per natura ma uguali per risultato.

 

Nacque il Milan degli Invincibili che senza impegni internazionali si aggiudicò lo Scudetto nella stagione 1991-92 non perdendo una partita. Di quelle basi sono il frutto anche l’attuale record (ancora imbattuto) di 58 partite consecutive in serie A senza sconfitte – interrotto da una magica punizione di Asprilla a San Siro nel marzo del 1993, sotto gli applausi – e l’imbattibilità di 929 minuti consecutivi di Sebastiano Rossi durante il campionato 1993-94, superata solo nel 2016 da Gigi Buffon a quota 974 minuti.

 



 

Dal 1991 il Milan ebbe modo di dare avvio a un nuovo ciclo di vittorie: quattro scudetti in cinque anni e l’unica accoppiata campionato-Champions League della storia rossonera, nel 1994.



 





 

Fabio Capello aveva dato l’addio al Milan dopo il quarto scudetto ottenuto in cinque anni, il 28 aprile 1996 vincendo per 3-1 a San Siro contro la Fiorentina. Una rovesciata di Pasquale Luiso condannò il Milan alla quarta sconfitta nelle prime undici partite del campionato 1996-97 e all’esonero del nuovo allenatore, l’uruguaiano Oscar Washington Tabarez. Sacchi fu richiamato ma si rese immediatamente protagonista di una delle più tristi pagine della storia del Milan: l’eliminazione dalla fase a gironi della Champions League per colpa di una sconfitta a San Siro contro il Rosenborg, quando al Milan bastavano due risultati per passare il turno. Sacchi disse poi che dopo il Mondiale del 1994 «come allenatore avevo finito. Non avevo più quell’intensità, quella motivazione, quell’attenzione che avevo prima. Tornai nel 1996 per l’affetto e l’amore che avrò sempre per questa società».

 

L’undicesimo posto in classifica al termine del campionato 1996-97 aveva solleticato a Berlusconi l’idea di un altro grande ritorno, proprio quello di Fabio Capello. E se il campionato 1997-98 non andò molto meglio del precedente, con un decimo posto, Capello riuscì a concedere al Milan l’occasione per poter riportare in via Turati la Coppa Italia dopo 21 anni di digiuno.

 

La finale di andata, a San Siro contro la Lazio, fu decisa da uno

di Weah, nato direttamente da un rinvio di Sebastiano Rossi. Al ritorno all’Olimpico una punizione di seconda di Albertini (che sfruttò un buco nella barriera) a inizio secondo tempo sembrava aver congelato l’esito finale: la Lazio in meno di un tempo avrebbe dovuto segnare tre gol.

 



 

L’ingresso di Gottardi al minuto 50 cambiò la partita: dopo otto minuti l’italo-svizzero aveva già realizzato il gol del pareggio e si era procurato il rigore del 2-1. La rimonta veniva completata con il gol decisivo di una futura colonna milanista, Alessandro Nesta, appena dieci minuti dopo il pareggio di Gottardi.

 



 

La disfatta nella finale di Coppa Italia del 1998 rappresentò la conclusione del lunghissimo ciclo Sacchi-Capello, che Berlusconi cercò in tutti i modi di riattivare. Un eventuale successo in Coppa Italia avrebbe probabilmente gettato del fumo negli occhi dei tifosi del Milan e del suo presidente sul fatto che il Capello-bis fosse ancora la soluzione ideale per il futuro del Milan, che necessitava invece di nuove figure sia in campo che in panchina. Boban disse in seguito: «Il ritorno di Capello fu una scelta davvero sbagliata».

 

La finale di Coppa Italia 1998 rappresenta una sliding doors anche nella storia della Lazio: le conseguenze di quel successo furono la qualificazione alla Coppa delle Coppe e la successiva vittoria nel secondo torneo continentale e nella Supercoppa Europea nel 1999, fino allo scudetto del 2000 proseguendo sull’onda lunga dei successi delle annate precedenti.







 

Berlusconi decise di portare Alberto Zaccheroni a Milano dopo due splendidi campionati alla guida dell’Udinese conclusi con un quinto e un terzo posto. I bianconeri Oliver Bierhoff (eroe a Euro 1996) e Thomas Helveg seguirono Zaccheroni a Milanello e si aggregarono a un gruppo formato da un mix di giocatori ormai diventati senatori (oltre a Costacurta, Maldini e Donadoni anche Albertini, Boban, Sebastiano Rossi) e alcuni astri nascenti come il giovane terzo portiere Christian Abbiati e il centrocampista Massimo Ambrosini.

 

La stagione del Milan seguì l’andamento dei suoi portieri. Il nuovo arrivato dallo Schalke 04, Jens Lehmann, si rese protagonista di alcune incertezze nelle prime partite e – sostituito da Rossi con il Milan sotto di un gol a Cagliari – perse il posto da titolare dopo neanche quattro partite, con due sconfitte in mezzo. La stagione del Milan decollò tuttavia quando a prendere in mano la porta fu proprio Abbiati, dopo la follia di Rossi nell’ultima di andata contro il Perugia che gli costò cinque giornate di squalifica.

 



 

Con il giovane portiere a coprirgli le spalle per tutto il girone di ritorno il Milan acquista sicurezza, perde soltanto all’Olimpico contro la Roma e si rende protagonista di una rimonta entusiasmante.

 

Alla trentunesima di trentaquattro giornate la Sampdoria di Spalletti, con Montella centravanti, si presenta a San Siro con una classifica pericolante (sarebbe poi retrocessa). Il Milan stava vincendo 2-1 con una magia di Leonardo su punizione quando, a quattro minuti dalla fine, Marco Franceschetti in girata riporta il match in equilibrio.

 



 

Con la Lazio capolista comodamente in vantaggio a Udine, il Milan tenta negli ultimi minuti il disperato assalto alla vittoria. Ganz fallisce una facile incornata, ma su uno degli svariati contropiedi concessi dai rossoneri Caté spreca un clamoroso due-contro-Abbiati che avrebbe forse potuto salvare la Samp dalla retrocessione, a posteriori. Il destino decise che il Milan avrebbe dovuto vincere quella partita e quel campionato quando, al minuto 95, Marcello Castellini devia (di mano) la splendida girata di Ganz spiazzando Ferron.

 



 

Quella rocambolesca vittoria era la quarta delle sette consecutive di fine campionato per il Milan, che dopo la penultima giornata si presentò in vantaggio di un punto sulla Lazio fermata a Firenze. Prima di quelle sette vittorie i rossoneri avevano sette punti di ritardo dalla Lazio. Il Milan vinse il suo sedicesimo scudetto grazie alla vittoria di Perugia dopo una miracolosa parata di Abbiati su Christian Bucchi nei minuti finali.

 

Il tricolore consentì al Milan di aprire un mini-ciclo di Zaccheroni che gettò le basi per quello successivo di Ancelotti. Nell’estate del 1999 arrivarono infatti Gattuso, Serginho e soprattutto Andriy Shevchenko. Berlusconi non digeriva la difesa a tre di Zaccheroni ma non poteva esonerarlo dopo un insperato scudetto: in questo modo il Milan riuscì ad amalgamare lo zoccolo duro di giovani destinati a diventare i campioni e i senatori del periodo di Ancelotti.

 

 





 

Il Milan aveva ingaggiato nel 2001 la “bestia nera” Fatih Terim come allenatore. Il turco alla guida del Galatasaray aveva eliminato i rossoneri dalla Champions League 1999-00 e al timone della Fiorentina li aveva estromessi dalla Coppa Italia nel 2000-01 in semifinale, battendoli due volte anche in campionato e con un secco 4-0 a Firenze.

 

La roboante presentazione dell’”Imperatore” rispecchiava il suo smisurato ego. Tra le sue dichiarazioni spicca questa pietosa autocelebrazione, ancor più ridicola se vista col senno del poi: «Ho questo vizio: sono sempre desiderato, difficilmente vengo cacciato. Con il Milan ho due anni di contratto ma sono convinto che tra due mesi Braida e Galliani verranno da me non per mandarmi via ma con nuove proposte».

 

Non è stato tanto il suo calcio ad aver deluso quanto il suo atteggiamento poco rispettoso della sacralità che lo spogliatoio del Milan emanava a quei tempi. Gattuso disse che Terim era «uno che non aveva capito in quale società era capitato», il direttore organizzativo Umberto Gandini disse che «aveva voluto fare l’Imperatore anche al Milan». Costacurta lo definì «presuntuoso», «fuori luogo» e sul giudizio del difensore pesa anche un episodio in cui non venne convocato per la trasferta di Perugia, neanche per andare in tribuna: «Concettualmente è stata una decisione giusta, perché lui ha preferito che rimanessi a Milanello ad allenarmi invece che affrontare un viaggio inutile. Però c’è stata mancanza di comunicazione e ho scoperto solo alla lavagna che sarei stato fuori. Terim avrebbe potuto fare meglio, anche se questo episodio non ha comunque rovinato un ottimo rapporto».

 

Il derby vinto all’ottava giornata non cancellò i dubbi sollevati dalla sconfitta di Perugia e dal pareggio casalingo contro il Venezia. Un successivo pareggio a San Siro contro il Bologna mise ancora più in crisi la posizione di Terim. Al Delle Alpi, alla decima giornata, Cristiano Lucarelli portò in vantaggio il Torino contro i rossoneri: nel secondo tempo Inzaghi ebbe una clamorosa occasione davanti a Bucci, poi a tre minuti dalla fine calciò fuori un rigore condannando il Milan a una dolorosa sconfitta.

 



 

Terim fu esonerato praticamente subito e Galliani bloccò immediatamente Carlo Ancelotti: «Chiamai Ancelotti il lunedì mattina. Lui stava andando a firmare per il Parma ma gli dissi: “Carlo fermati perché il Milan chiama, tra un’ora sono a casa tua”. Arrivai a casa sua e venne immediatamente al Milan». Come con Sacchi, anche con Ancelotti quattordici anni più tardi Galliani sfruttò l’ascendente del Milan per bloccare un allenatore già in accordo sulla parola con un altro club, e in procinto di firmare di lì a poche ore.

 

Ovviamente se Inzaghi avesse capitalizzato quelle occasioni il Milan avrebbe pareggiato o addirittura vinto al Delle Alpi e Ancelotti sarebbe diventato l’allenatore del Parma. Una parte dell’opinione pubblica lo aveva etichettato come “perdente” dopo l’esperienza alla Juventus: la sua esperienza al Milan non sarebbe forse mai iniziata e avrebbe lasciato i rossoneri orfani del loro ultimo ciclo vincente.



 





 

Il campionato 2001-02, nonostante l’arrivo di Ancelotti, fu comunque travagliato per il Milan. Ai lunghi infortuni di Inzaghi e Rui Costa, per i quali Berlusconi aveva speso oltre 160 miliardi, si aggiunse un drastico calo della prolificità di Shevchenko nella seconda metà della stagione, con tanto di rigore sbagliato nella sconfitta casalinga contro l’Udinese per 3-2. Si parlava di distrazioni dovute all’interessamento del Real Madrid nei suoi confronti, mentre altri attribuivano le colpe all'inizio della relazione con la modella Kristen Pazik.

 



 

Nelle fasi finali del campionato il Milan recuperò condizione psico-fisica e punti in classifica sul Bologna di Guidolin, incredibile candidato al quarto posto utile ai preliminari di Champions League, obiettivo minimo dei rossoneri dopo le fortissime spese di Berlusconi e le altissime aspettative della coppia-gol Inzaghi-Shevchenko.

 

A due giornate dalla fine Milan e Bologna erano appaiate al quarto posto, con uno spareggio in vista qualora fossero arrivate a pari punti a fine campionato. Il Bologna ospitò la Lazio e vinse 2-0, costringendo contemporaneamente il Milan a vincere a Verona contro l’Hellas per rimanere agganciato.

 

Una prodezza di Adrian Mutu porta in vantaggio il Verona. In apertura di ripresa Serginho sbaglia un rigore, poco dopo Vincenzo Italiano viene murato da Kakha Kaladze che evita il 2-0 che avrebbe probabilmente chiuso la partita e il discorso per la qualificazione alla Champions League.

 



 

Il pareggio di Inzaghi al minuto 65 non basta. Il Milan cerca disperatamente la vittoria e un clamoroso filtrante di Kaladze trova Pirlo solo davanti a Ferron a otto minuti dalla fine: il bresciano, in un’azione che a rivederla oggi suona stranamente inedita, salta il portiere e segna a porta vuota il gol vittoria.

 



 

All’ultima giornata i risultati di Milan e Bologna sono piuttosto netti: i rossoneri vincono 3-0 in casa contro il Lecce con Shevchenko che ritrova il gol dopo dodici partite di digiuno, la formazione di Guidolin perde invece con lo stesso punteggio a Brescia sotto i colpi di Roberto Baggio. Ma se il Milan si fosse presentato con due o addirittura tre punti di svantaggio prima dell’ultima giornata, il Bologna avrebbe potuto affrontare la trasferta del Rigamonti con uno spirito diverso e raggiungere lo spareggio o addirittura la qualificazione diretta ai preliminari di Champions.

 

Il Milan raggiunse con i denti il suo obiettivo minimo e si aprì le porte per qualcosa di grandissimo, da ottenere però con ancora tantissima fatica.



 





 

Dopo uno stentato preliminare contro lo Slovan

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