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Daniele V. Morrone
Classici: Milan - Real Madrid '89
23 lug 2015
23 lug 2015
Nuova puntata di Classici, rubrica nella quale ri-analizziamo grandi partite del passato. Stavolta abbiamo riguardato la semifinale di Coppa dei Campioni manifesto del Milan di Sacchi.
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Daniele V. Morrone
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Per ogni squadra che ha rivoluzionato il gioco del calcio c'è stata la “partita della consapevolezza”. Ovvero, quella partita che segna un prima e un dopo per quanto riguarda la percezione del pubblico e dei giocatori sulla possibilità di esplorare territori mai raggiunti da altri.

 

Ad esempio, la vittoria per 3-6 da parte della Grande Ungheria a Wembley nel 1953, la prima partita del secondo turno dei Mondiali del 1974 dell’Olanda, con un 4-0 all’Argentina, o la vittoria per 2-6 del Barcellona di Guardiola al Bernabéu nell’anno del triplete. Per il Milan di Sacchi le partite sono addirittura due: l'andata e il ritorno della semifinale di Coppa dei Campioni contro il temibile Real Madrid del 1989. Dopo quel confronto i suoi giocatori, i tifosi e il mondo calcistico tutto hanno preso coscienza in modo definitivo del fatto che a Milano si stava scrivendo la storia del calcio.

 

Il risultato dell’andata (1-1) potrebbe far pensare a una gara equilibrata: in realtà la squadra di Sacchi domina a Madrid con un'esibizione di pressing organizzato e perfetti sincronismi della linea difensiva, che accorciando il campo in modo mai visto hanno impedito alla squadra dell’olandese Leo Beenhakker di girare il pallone. I madrileni trovano il gol solo grazie a un errore di lettura di Franco Baresi su calcio d’angolo (rimane attaccato al palo non facendo il fuorigioco).

 

Il Milan spreca tanto, gli viene annullato un gol e segna grazie a una invenzione di van Basten. Ma la cosa fondamentale è che torna a casa consapevole di aver dominato la partita in un campo dove le italiane difendevano intimorite, contro la squadra campione di Spagna da tre anni, alla terza semifinale di Coppa dei Campioni consecutiva e favorita per la vittoria finale, e con un record di imbattibilità di 27 partite consecutive. Proprio il capitano Baresi indica nell’1-1 contro il Madrid il momento in cui la rosa ha preso consapevolezza della sua vera forza.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ZZFuD6n4_ss

La stupenda invenzione di van Basten.



 



Due cose sono da segnalare nei giorni precedenti alla partita di ritorno: una è che un giovanissimo Demetrio Albertini in un contrasto duro mette fuori gioco Alberigo Evani, forzando Sacchi a spostare Frank Rijkaard a centrocampo e promuovendo al contempo Alessandro Costacurta titolare accanto a Baresi. La seconda cosa è più un aneddoto per dare l’idea della differenza di mentalità tra il Milan e il resto d’Europa ai tempi: Beenhakker chiede a un osservatore di andare a spiare gli allenamenti del Milan e l’osservatore torna a Madrid con la bocca spalancata. Il Milan, racconta l'osservatore, si allena senza pallone e senza avversari, con Sacchi che grida di volta in volta dove sta la palla immaginaria e la squadra che reagisce di conseguenza. Parliamo di un’orchestra che alla vigilia del concerto più importante prova senza strumenti.

 

La similitudine tra squadra e orchestra è ormai abusata nel linguaggio calcistico, ma in questo caso è perfetta per spiegare lo stile di Sacchi. Come dice lui stesso: «Il pressing non si basa sulla corsa o sul lavoro duro. Si basa sul controllo dello spazio», e per controllare lo spazio ci vuole la massima organizzazione. Da qui la necessità di provare fino allo sfinimento movimenti collettivi che risultano più velocemente assimilabili senza distrazioni esterne, come quelle di un avversario da tenere d’occhio, seppur in allenamento. L’idea che il pressing non si basi sulla forza fisica, ma sulla sagacia tattica nasce in Sacchi studiando l’Olanda degli anni ‘70: la squadra di Rinus Michels attuava una fase di recupero del pallone tremendamente efficace per l’epoca, grazie alla straordinaria capacità atletica di tutti i componenti della rosa: il giocatore più vicino alla palla si fiondava in pressione sul portatore riuscendo il più delle volte a uscire vincitore dal contrasto.

 

Sacchi però sa di non poter contare solo sullo strapotere atletico, anche per la rosa che ha a disposizione, e pensa di conseguenza che l’unico modo per aggirare la questione sia quella di restringere il più possibile il campo e di utilizzare un pressing di squadra invece che una pressione individuale. Nell’equazione della fase difensiva che comprende la palla, la squadra avversaria e la propria squadra, inserisce quindi un altro elemento: lo spazio. La fase difensiva giusta, secondo lui, non può prescindere da questi quattro cardini. Prima di lui lo spazio veniva inteso solo in fase offensiva, adesso anche la squadra che si difende deve avere un atteggiamento proattivo, controllando lo spazio, le distanze tra i reparti e l’ampiezza della squadra per poter lanciare una pressione collettiva. Una vera arma psicologica, visto che il Milan è in controllo sia quando ha il pallone che quando ne è privo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=JMRyFdrO8d8

Se avete tempo guardatela tutta, o almeno mostratela ai vostri figli e nipoti, quando ne avrete.



 

Il Real Madrid in quel momento, come già detto, è una delle squadre più forti al mondo. È diverso rispetto a quello a cui siamo abituati dall’arrivo di Florentino Pérez: quello anni '80 è costruito in casa con la “quinta del Buitre”: un gruppo di giocatori cresciuti nelle giovanili attorno al più famoso Butragueño, che formano la spina dorsale anche della Nazionale. A completare la squadra ci sono due stelle straniere: il tedesco Schüster a centrocampo e la punta messicana Hugo Sánchez.

 

La squadra di Beenhakker gioca un calcio di semplice possesso che non prevede alcun sistema organizzato in fase di recupero del pallone. Si esalta quando può manovrare a centrocampo con i tecnici Míchel, Martín Vázquez e Schüster in attesa della verticalizzazione giusta per la coppia Butragueño-Sánchez. I ritmi di gioco sono blandi e le gare sembrano quasi una partita di scacchi in cui a turno si attacca fin quando la squadra che trova la combinazione giusta di mosse in campo va a vincere.

 

Dal punto di vista tecnico c’è poca distanza tra Milan e Real, ma dal punto di vista tattico quella milanista sta scrivendo il futuro. Rispetto alle previsioni iniziali, a San Siro Sacchi decide di non attuare una pressione alta, lasciando l’impostazione del gioco agli abili difensori centrali del Madrid (Gallego è addirittura un regista e gioca col 10 da libero e Sanchís, oltre a essere tecnico, spicca anche per velocità di esecuzione, riuscendo in ben 3 dribbling durante la partita). Si cura però di bloccare il centro del campo, lasciando ai difensori avversari, come opzione facile, la verticalizzazione alle punte. I dati SICS confermano questo approccio rossonero, con la linea media di recupero della palla che si attesta sui 33 metri e solo tre palle recuperate nella trequarti offensiva.

 



Così il centro del campo diventa la zona dove si decide la partita e dove arrivano le prime sorprese per uno spettatore del 2015: la posizione in campo al tempo veniva rispettata molto meno e poteva succedere che un giocatore si spostasse dalla propria posizione originaria, ma con mia grande sorpresa per lunga parte dell’inizio di partita a giocare a fianco a Rijkaard non c’è Ancelotti, ma l’ala Roberto Donadoni.

 

Lo scambio di posizioni tra i due avviene in modo talmente naturale e fluido da risultare impercettibile se non si osserva singolarmente la coppia. Una possibile spiegazione è che si volessero chiudere tutti i corridoi di passaggio all’avversario: con il Madrid che ha il centro bloccato da tre linee di giocatori (i due attaccanti, i due centrocampisti centrali e i due difensori) l’azione naturale per far respirare il possesso ovviamente è quella di allargare il gioco. La presenza però di Ancelotti e di Colombo sulle fasce aiuta enormemente la fase di recupero, date le doti di contenimento dei due giocatori. Lo scambio è continuo e toglie al Real Madrid anche l’opzione di allargare il gioco, lasciandogli solo i lanci lunghi per le punte.

 


Questa immagine del secondo tempo rende benissimo l’idea: Donadoni viene a giocare a centrocampo e Ancelotti (numero 11) gli lascia spazio di manovra allargandosi verso l’esterno.



 

L’idea alla base del meccanismo di recupero del pallone sull’esterno è simile a quella usata oggi da Simeone e Klopp. La bellezza di questo meccanismo, poi, sta nella velocità e fluidità del passaggio alla transizione offensiva. Con Míchel che allarga il pallone con un rasoterra (suo marchio di fabbrica), subito Baresi si allarga sull’esterno, aiutato dal ritorno di Maldini nelle vicinanze, e recupera la palla con un intervento deciso, passando immediatamente alla transizione offensiva appoggiando per Donadoni.

 


Gullit invece di attaccare l’uomo rimane a debita distanza proteggendo il centro. Van Basten solo davanti già sa che l’opzione che sceglierà l’avversario è quella del passaggio al compagno di reparto e non lo perde di vista. Decisamente un approccio diverso dal pressing alto a cui siamo abituati a pensare con Sacchi.



 

Il Real Madrid non riesce a trovare una risposta credibile a questo Milan meno “sacchiano” di quanto forse si sarebbe aspettato dopo la partita d’andata, ma che sta cancellando ogni opzione di gioco mantenendo un ritmo troppo veloce per gli spagnoli. Per riuscire a servire in modo pulito le due punte il centrocampo si spacca, con Schüster che finisce per abbassarsi pensando di poter aiutare in fase di impostazione e Martín Vázquez a giocare nella trequarti tra le linee, cercando l’imbucata giusta e di non isolare troppo Míchel nel suo mondo fatto solo di passaggi rasoterra nello spazio.

 



Schüster è il più deludente dei centrocampisti: è un giocatore tecnico che pensa spesso giocate difficili, ma la sua poca reattività e concentrazione lo portano a essere realmente troppo lento rispetto ai ritmi in campo, conducendolo così a errori anche facili. Proprio con Schüster come protagonista negativo arriva il gol del Milan, con Gullit, che allargatosi sull’esterno a ricevere, supera in modo apparentemente semplice Hugo Sánchez, passando la palla poi ad Ancelotti. Con il controllo, Ancelotti manda a vuoto l’intervento chiaramente in ritardo di Schüster (che voleva essere un anticipo) e con un altro tocco si allarga rispetto a Martín Vázquez accorso in copertura, prima di scaricare un tiro di collo pieno da 30 metri. Incomprensibilmente il portiere Buyo si trova ben lontano dalla linea di porta e non riesce a intervenire in tempo, cosa che porta il Milan in vantaggio.

 

Il gol è chiaramente un’invenzione di Ancelotti, ma la complicità del Real Madrid c’è tutta. Dell’azione la cosa che più ruba l’occhio però è stata l’eleganza dei movimenti di Gullit: l’olandese è un giocatore fuori categoria per l’epoca, si muove in modo sinuoso, ma potente e ha la tecnica per realizzare ogni tipo di giocata. Fino al gol il Milan lo aveva sfruttato più che altro per le doti aeree, con Baresi lesto a sfruttarne la posizione per le sponde aeree, ma nel primo gol esce fuori tutta la classe dell’ex Pallone d’oro.

 

Il gol è una mazzata psicologica enorme per il Real Madrid, che risponde in modo confusionario al nuovo contesto, con perdite di palloni elementari (una cosa che si nota subito guardando una partita ormai vecchia è la facilità con cui si perde la palla anche da soli per tocchi sbagliati, evidentemente scarpini e pallone non aiutavano come adesso il controllo, o forse c'è stata un'evoluzione nei metodi di allenamento) e addirittura arrembaggi solitari. Uno su tutti, quello di Sanchís, che partendo senza palla dalla difesa, si ritrova a un certo punto a dribblare gli avversari al limite dell’altra area, una scena che pensata al giorno d’oggi porterebbe alla sostituzione immediata da parte dell’allenatore.

 

Il Milan amministra in tranquillità il proprio controllo della gara finendo quasi involontariamente a segnare il secondo gol con un semplice cross di Tassotti, nato da un calcio d’angolo battuto corto, in cui Rijkaard svetta su tutti, quasi fosse contro le giovanili della propria squadra. Due a zero con il Real Madrid che ancora si deve riprendere dal primo gol e già ha un piede fuori dalla partita. Forse due giocatori si salvano in fase offensiva: uno è Gordillo, dai caratteristici calzettoni abbassati (che credo fosse il modo dell’epoca per far vedere quanto si era duri), l’unico a vincere i duelli in modo continuato (8 vinti su 13), bloccando quindi le avanzate di Tassotti e Colombo.

 

L’altro è il già citato Martín Vázquez, un centrocampista tecnico che sembra avere una determinazione maggiore rispetto ai più noti compagni di squadra, andando a muoversi anche senza palla e che, oltre a finire con più dribbling di tutti (5 riusciti su 6), vince anche 7 duelli.

 


Il centro del campo è ben protetto e Schüster viene costretto a servire Chendo a destra. Donadoni, letto il passaggio, si fionda in pressione, ma non per rubare palla. Sta attuando quello che Sacchi chiama pressing parziale: solo alcuni giocatori della squadra vanno in pressione (in questo caso van Basten e appunto Donadoni) mentre gli altri prendono posizione (Ancelotti e Gullit a centrocampo).



 



La squadra di Sacchi è chiaramente padrona degli spazi del campo ed è ben felice di lasciare il pallone a un Madrid incapace di creare azioni veramente elaborate, finendo per perdere il pallone dopo non più di quattro passaggi consecutivi. Beenhakker prova a cambiare le carte chiedendo a Paco Llorente di giocare più esterno a destra, per giocarsela contro il sistema di recupero sull’esterno degli avversari.

 

C’entra poco la fortuna nel terzo gol del Milan, che arriva allo scadere del primo tempo e che mette in mostra tutte le armi della squadra di Sacchi, chiudendo definitivamente la partita. Un altro errore in fase di possesso da parte del Madrid, con Míchel che sbaglia un appoggio di prima per il compagno, serve su un piatto d’argento la palla ad Ancelotti (a fine partita saranno 8 le palle recuperate dal centrocampista emiliano), che passa la palla a Donadoni davanti a lui. L’ala della Nazionale chiama un triangolo con Gullit per sbarazzarsi di Sanchís e andare al cross per van Basten, ma il risultato non è dei migliori, con Gullit che passa la palla leggermente lunga. Indomito Donadoni arriva per primo sul pallone vicino alla linea di fondo, con un paio di finte salta Sanchís e arriva a un cross calibrato benissimo per la testa proprio di Gullit, che intanto si era mosso senza palla fino al limite dell’aera piccola. Il colpo di testa è perfetto come sempre per l’olandese e Buyo può solo raccogliere la palla dalla rete mentre gli avversari festeggiano. Il gol mostra la rapidità con cui riesce a passare alla transizione offensiva il Milan, la capacità tecnica dei propri giocatori che anche singolarmente riescono a superare l’uomo e la lettura perfetta degli spazi per attaccare la porta. Il pacchetto completo.

 

Il primo tempo si chiude con i milanisti che hanno appena festeggiato il gol del 3-0 e possiamo dire che anche la partita dal punto di vista del gioco finisce qui, anche perché con la ripresa arriva praticamente subito anche il quarto gol di van Basten. Con il 4-0 il Milan finisce quasi involontariamente con l'abbassare i ritmi, aiutando gli avversari a giocare in un contesto più favorevole, anche se la partita è ormai senza storia.

 


Il centrocampo del Real Madrid è spezzato in due dall’inizio della partita: il capitano Baresi ha un’autostrada davanti per poter avanzare e ricevere palla addirittura al limite dell’area.



 



Con i ritmi ormai blandissimi e il Real Madrid che pensa solo a quando finirà la partita, arriva all’ora di gioco il quinto e ultimo gol della gara, con un tiro rasoterra di Roberto Donadoni dall’angolo alto di sinistra dell’area. Il numero 7 è stato il migliore in campo, oltre a risultare presente in ogni zona del campo, sempre attento ai movimenti dei compagni per dare copertura, era un giocatore completo e dominante palla al piede. Atleticamente imprendibile per gli avversari per tutti i 90 minuti, tecnicamente è perfetto, riuscendo a calciare con entrambi i piedi senza problemi, chiudendo la gara con 4 cross riusciti e 3 dribbling. Con ben 10 duelli vinti terrorizza il povero Chendo, che non è riuscito mai a superare la metà campo.

 

Alla tecnica nel tiro e nel cross si aggiunge una visione di gioco eccellente per il ruolo, tanto da registrare ben 5 passaggi chiave e 3 assist. Si tratta di un giocatore molto versatile, imprendibile e creativo palla al piede, ma tremendamente attento tatticamente.

 


In una scena quasi surreale, Baresi aspetta il movimento dei compagni per lanciarli in porta. Alla fine sceglierà un’opzione non contemplata dalla telecamera, con un filtrante alla sua sinistra per un compagno che accorre sulla fascia. Usando le parole del telecronista: «Quando Baresi avanza così lontano sai che la gara è finita».



 



Il quinto gol cambia poco per la dinamica della partita: con mezz'ora ancora da giocare anche il telecronista decide di giustificare i ritmi bassi ricordando quanto fosse stato divertente il primo tempo. Il Real Madrid trova in Paco Llorente l’ultimo ad arrendersi, con l’ala che si sposta a sinistra e decide da solo di provare a segnare almeno un gol, ma è un tentativo stile Don Chisciotte. La difesa del Milan infatti non si scompone minimamente davanti ai tentativi di Llorente di superare l’uomo palla al piede: con i ritmi in campo le posizioni vengono tenute con grande facilità. I tifosi del Milan addirittura partono con la ola.

 

Al fischio dell’arbitro nasce ufficialmente la leggenda del Milan di Sacchi, molto probabilmente la squadra più influente per lo sviluppo del calcio contemporaneo. La finale di Barcellona contro lo Steaua sarà solo una formalità e l’anno successivo arriverà un rarissimo bis in Coppa dei Campioni (l’ultimo nella storia della competizione). A livello di gioco, la partita d’andata è stata forse un segnale ancora più forte delle potenzialità del Milan, ma il risultato del ritorno ha premiato una versione meno utopica della sua creatura.

 

Per il Real Madrid, invece, la sconfitta segna la continuazione di un digiuno europeo che durerà fino all’arrivo di un altro fenomeno dalle giovanili, che erediterà il numero 7 del Buitre: Raúl. In Spagna però la quinta del Buitre riuscirà a vincere ancora, e nella stagione successiva collezionerà addirittura il quinto campionato consecutivo, a riprova del fatto che si trattava effettivamente di uno squadrone per la sua epoca. Ma la squadra di Sacchi giocava un altro calcio.

 
 



 
 

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