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Dario Saltari

Come l’ingresso di Paquetá ha trasformato il Milan

Contro la Roma il brasiliano ha cambiato la partita.

Con le squadre costrette a giocare al caldo e con una condizione fisica inevitabilmente imperfetta per via delle lunghe settimane di stop dovute alla pandemia di Covid-19, anche in Serie A le sostituzioni stanno aumentando sempre di più il proprio peso all’interno dell’economia delle singole partite. Un cambiamento innescato dalla nuova regola approvata in fretta e furia dall’IFAB, che fa passare i cambi permessi nei 90 minuti da tre a cinque (più uno ulteriore in caso di eventuali supplementari) e che teoricamente era stata pensata per permettere alle squadre di giocare molte partite di fila in questo periodo senza sfibrare eccessivamente i giocatori. 

 

Un effetto collaterale di questo cambiamento regolamentare è stato che gli allenatori, con cinque cambi a disposizione, possono adesso rimodellare profondamente la propria squadra con un doppio o addirittura un triplo cambio senza dover aspettare i minuti finali della partita per paura che un infortunio lasci in dieci la squadra senza più sostituzioni a disposizione. Quindi, in sostanza, con un potere di cambiare l’andamento della partita ingigantito rispetto al calcio pre-covid. In questo contesto, saper leggere la partita e cambiare la squadra in corsa a seconda delle condizioni contingenti sta diventando una qualità sempre più importante, forse addirittura più importante della preparazione del piano gara iniziale. 

 

Ieri, per esempio, dopo un primo tempo interlocutorio, il Milan si trovava in una situazione complicata. All’ultima chiamata per una qualificazione diretta in Europa League, contro una diretta avversaria come la Roma, aveva trascorso i primi 45 minuti senza avere idea di come far arrivare la palla in area avversaria. Certo, la squadra di Fonseca non aveva creato molto di più, se non un cross deviato sprecato malamente da Dzeko di testa ai limiti dell’area piccola, ma era sembrata più in controllo, o per lo meno con le idee più chiare su come superare la prima linea di pressione del Milan e arrivare sulla trequarti in maniera pulita e soprattutto palla a terra. 

 

Forse la più bella azione della partita della Roma nasce da un dribbling incosciente di Mirante su Rebic che attira il pressing del Milan in avanti e permette alla Roma di bucare le linee di pressione avversarie in maniera relativamente semplice.

 

Il Milan, invece, aveva sofferto particolarmente l’atteggiamento senza palla della Roma, con la squadra molto stretta al centro e molto alta sul campo, che le aveva impedito di passare per i corridoi centrali del campo. A mancare, per il Milan, è stata soprattutto la connessione tra l’asse centrale del suo centrocampo, quella composta cioè da Bennacer e Bonaventura. Contro il blocco compatto e alto della Roma, infatti, il regista algerino veniva ben schermato da Dzeko e Pellegrini e non riusciva a ricevere alle spalle della prima linea di pressione avversaria. Per favorire la costruzione del Milan era quindi costretto ad abbassarsi in difesa, o in mezzo o a fianco dei centrali, ma così facendo finiva per spezzare a metà la squadra. I suoi movimenti non venivano compensati né da Kessié, che comunque non aveva la qualità per far risalire il pallone, né soprattutto da Bonaventura, che rimaneva ancorato a Rebic e agiva praticamente da seconda punta. 

 

Proprio l’atteggiamento del numero 5 del Milan è stato uno dei fattori principali di debolezza della squadra di Pioli nel primo tempo. Finché è stato in campo Bonaventura ha cercato di ricevere sulla trequarti nel mezzo-spazio di destra, quindi dalla parte opposta rispetto al triangolo composto da Romagnoli-Bennacer-Theo Hernandez dove il Milan di solito fa partire l’azione per via della qualità dei suoi vertici, e si è mosso soprattutto in profondità, nonostante i rossoneri avessero già al centro dell’attacco una punta dedita quasi esclusivamente agli strappi alle spalle della difesa avversaria, e cioè Ante Rebic. Senza alcuna possibilità di trasformare la circolazione bassa in un attacco posizionale nella metà campo avversaria, quindi, il Milan ha deciso di bypassare il centrocampo, affidandosi soprattutto ai lanci lunghi di Romagnoli, Theo Hernandez o Bennacer direttamente per gli scatti in profondità di Ante Rebic. 

 

Due esempi di lanci direttamente per Rebic, con Calhanoglu schermato dal blocco centrale della Roma e Bonaventura isolato a destra.

 

Nei 54 minuti in cui è stato in campo, Bonaventura ha toccato il pallone appena 17 volte (cioè poco più della metà di quanto lo abbia fatto Donnarumma, 29) con un’accuratezza di passaggio molto bassa del 73%. 54 minuti in cui il Milan non ha mai tirato in porta e ha creato appena 0,4 Expected Goals dei 1,7 totali creati a fine partita.

 

Le cose, come credo avrete capito, sono cambiate radicalmente quando al 54′ Pioli ha deciso di togliere Bonaventura per mettere Paquetà. Il brasiliano viene da una stagione difficile e deve ancora raggiungere i mille minuti di gioco complessivi in stagione, ma ha qualità uniche all’interno della rosa rossonere tra cui un istinto associativo che sembra migliorare istantaneamente il palleggio basso della propria squadra, anche in spazi stretti e sotto pressione. 

 

Paquetà si è mosso in maniera opposta rispetto a Bonaventura, avvicinandosi sempre al pallone e agendo da moltiplicatore di linee di passaggio. Istintivamente, quindi, ha iniziato a orbitare intorno al centro gravitazionale di costruzione del Milan, aggiungendo un vertice al triangolo Romagnoli-Bennacer-Theo Hernandez e permettendo al Milan di arrivare sulla trequarti avversaria in maniera ordinata.

 

 

Oltre a una scelta del proprio posizionamento migliore, Paquetà ha migliorato il Milan anche con la propria sensibilità tecnica associandosi ai compagni con uno stile minimale, a uno massimo due tocchi. Un gioco che ha iniziato a inclinare il campo verso la porta di Mirante e di cui hanno beneficiato quasi tutti i giocatori di Pioli, a partire da Calhanoglu, che grazie alla sua influenza ha trovato lo spazio per ricevere sulla trequarti centralmente e fronte alla porta, e soprattutto Bennacer, che finalmente è riuscito a liberarsi in zone più avanzate di campo dove le sue progressioni hanno messo in imbarazzo l’impacciata difesa giallorossa.

 

 

Nel caso delle immagini qui sopra, per esempio, per due volte nella stessa azione Paquetá si muove con la palla come unico riferimento liberando a due tocchi Bennacer, che poi gli restituisce palla di prima poco dopo. Attraverso la connessione minimale tra questi due giocatori il Milan ha trasformato così una pigra circolazione bassa in un attacco posizionale condotto per vie centrali, ai limiti dell’area della Roma.

 

In questo senso, è strano che Paquetá venga percepito come un giocatore “brasiliano” (come lo rimproverò Giampaolo a inizio stagione), cioè secondo lo stereotipo dedito alla bellezza fine a sé stessa, quando invece la sua principale qualità sembra stare proprio nell’intelligenza dei movimenti e nell’essenzialità con cui sembra riuscire a dare un senso con un singolo tocco anche a squadre disfunzionali come il Milan attuale. Nei 36 minuti in cui è stato in campo, Paquetá ha toccato il pallone 30 volte con un’accuratezza di passaggio del 94%, realizzando due tiri (di cui uno in porta) e un dribbling. Il suo talento è sembrato far lievitare improvvisamente il gioco del Milan, come se il brasiliano avesse finalmente permesso ai migliori giocatori di Pioli di comunicare tra loro. 

 

 

Ovviamente sarebbe ingenuo dire che il suo ingresso da solo abbia fatto vincere la partita al Milan, che ha sfruttato due errori marchiani in costruzione della Roma, ma è vero che il suo gioco ha cambiato il contesto tattico all’interno del quale i giocatori si muovevano. Qualcosa di cui invece non si è accorto Fonseca, che con i cambi si è mosso tardi e male, tenendo inspiegabilmente in campo Zappacosta, responsabile su entrambi i gol del Milan e in sofferenza dall’inizio alla fine soprattutto per via del mismatch fisico con Theo Hernandez, e sostituendo a giochi ormai fatti Pellegrini, che al contrario di Paquetá non è mai riuscito a connettere la difesa con l’attacco. 

 

Milan-Roma, insomma, ha confermato quanto nel calcio contemporaneo sia importante non solo cucire il proprio gioco sulle caratteristiche dei giocatori a disposizione, ma anche capire quando e come metterle a disposizione della squadra a seconda dei momenti contingenti della partita. Se è vero che con la regola dei cinque cambi avere molti giocatori a disposizione in panchina inevitabilmente aiuta, è anche vero che a volte basta un singolo cambio fatto al momento giusto per cambiare una partita.

 

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Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.