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Che squadra tifare in questi Mondiali
21 nov 2022
21 nov 2022
Sei proposte dai nostri autori visto che non c'è l'Italia.
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.Perché tifare Argentina? Perché è passeggiare sull’orlo del baratrodi Fabrizio GabrielliHo analizzato rapidamente tutte le motivazioni che mi spingono a tifare Argentina in questo Mondiale che sta per iniziare, e che gli argentini (io incluso, che pure argentino non sono, almeno non sul passaporto) stanno aspettando da un anno, e niente: non ne ho trovata neppure una che possa essere, in qualche modo, lucida. Eppure, a conti fatti, sono tutte, come dire, solide. Mi viene in mente una parola soltanto, che è: locura. E anche una perifrasi, che forse spiega meglio – dà qualche sfumatura più puntuale, meno psicopatica – la faccenda, che è: un sentimiento, no traten de entender. Che significa più o meno: è un sentimento, non provate a capirlo.Nutro un amore sconfinato per ogni aspetto della vita, della cultura, della gastronomia, della musica argentina: amo così tanto Julio Cortázar da essermi fatto disegnare ad hoc un paio di Converse con la sua firma sulla linguetta, trovo il fernet y cola non solo bevibile ma addirittura gradevole; conosco i tagli dell’asado e ho convinto il macellaio sotto casa a tagliare il costato trasversalmente per farmi la tira che poi compro solo io; seguo la scena dei freestyler argentini che si sfidano nelle batallas de gallos, quando parto per un viaggio un po’ più lungo in macchina nella playlist metto sempre almeno una decina di pezzi della Mona Jiménez (sì, mi piace il cuarteto, anche se trovo kitsch il liscio), ho praticamente sostituito il caffè con il mate. Mi sono persino tatuato una calabaza da mate, quella strana tazza con la cannuccia con cui gli argentini bevono la loro bevanda preferita. Non c’è molto di lucido, nel tifo. A prescindere, non solo in questa mia psicosi argenta. Ho sempre seguito l’Albiceleste ai Mondiali, dacché mi ricordo i Mondiali. La squalifica di Maradona nel ‘94 ha spezzato il mio cuore adolescente, ho sofferto per la sconfitta di Ortega in Francia e per il fallimento miserabile del progetto di bellezza che era la Selección di Bielsa in Corea e Giappone. Sono stato innamorato di Riquelme, e vederlo naufragare in Germania è stato deprimente. Poi: poi è arrivata la luminescenza di Lionel Messi. Mi è dispiaciuto vederlo sfracellarsi contro la corazzata teutonica in Sudafrica, e ancor di più sfaldarsi in quello che doveva essere il Mondiale della sua consacrazione – della consacrazione Argentina, in Brasile, per tornare a dominare un continente che non la vedeva vincere da un decennio. L’ho seguita in Russia, dove difficilmente sarebbe riuscita a darmi una gioia, sostenendola con la fiducia cieca che solo l’amore, e il tifo, che ne è forse la declinazione più irriducibile, sa imprimere.

Non c’è, in nessuno degli episodi che ho rievocato, gioia. O meglio: c’è nelle intenzioni, nelle premesse, nelle promesse. Perché in fin dei conti è questo, il tifo: una promessa di gioia, da una parte, e la condanna a una passeggiata più o meno lunga sulla mulattiera che conduce all’estasi, ma che scivola pericolosamente sull’orlo del baratro. Quest’anno di base c’è la convinzione di tifare una squadra che ha un’identità, una coerenza, uno spirito unito. Che può contare su una generazione pronta a vincere, e felice di provarci, guidata da uno spirito totemico che se lo merita, al quale la promessa di gloria, ecco, è quasi dovuta. È per questo che tifare Albiceleste, mai come quest’anno, può risolversi in una fragorosa implosione: più magniloquenti sono le premesse, più sanguinoso sarà l’atterraggio.Ma non è poi questo, in fin dei conti, che significa tifare? Entrare in un turbinio di spade sguainate senza sapere se una volta lasciate alle spalle sangue e macerie ci sarà una corona o una pira ad attenderti?Il Canada è troppo carino per non essere tifatodi Emanuele AtturoC’è una celebre battuta sui canadesi: «Come tiri fuori 50 canadesi da una piscina? Semplice: dicendogli “per favore, uscite dalla piscina”». Se questo tipo di ironia contiene molti stereotipi, e gli stereotipi costruiscono una storia attorno a una zoccolo duro di verità, dobbiamo ammettere che c’è un’innocenza particolare nell’aura che circonda il Canada o i canadesi. O almeno nel modo con cui gli statunitensi guardano i canadesi, filtrando la loro immagine nel mondo. La cosa peggiore che si può dire sui canadesi, pare, è che siano troppo educati. Il Canada è celebre per cose, come dire, cutie: lo sciroppo d’acero, il freddo, la socialdemocrazia, Justin Bieber e l’hockey su ghiaccio (ok, questo non è cutie). Il più noto attore canadese è Ryan Gosling e insomma, avete presente, è un amore. In una cerimonia di premiazione agli oscar Meryl Streep gli ha sistemato il farfallino che si era ammosciato, poi sul palco ha detto «Come tutte le persone carine, Ryan Gosling è canadese». L’ironia sul Canada somiglia a quella di Respectful Meme.Il Canada insomma negli anni si è costruito l’immagine del paese "buono" del continente nord-americano. Buono anche nel senso di scemo, ingenuo, noioso. Le battute degli statunitensi sui canadesi sottintendono sempre che è troppo facile fregarli, che sono troppo educati, che hanno un senso delle regole troppo alto, almeno rispetto allo spirito libertario che gli americani amano proiettare su sé stessi. Magari anche solo perché hanno dei regolamenti federali più stringenti sul possesso di armi da fuoco.La passione dei canadesi per il calcio rientra alla perfezione in questa immagine. In Nord America il calcio è uno sport per donne, mamme e progressisti. Se volete trovare le curve più a sinistra al mondo, oggi, dovreste andare in MLS. Negli ultimi anni in Canada il movimento calcistico ha conosciuto una crescita impressionante, culminata nell’oro olimpico vinto dalla Nazionale femminile a Tokyo. Tra i principali fautori della crescita della squadra femminile c’è John Herdman, CT inglese passato dalla Nazionale femminile a quella maschile, con cui è riuscito a centrare questa storica qualificazione col Canada.È una Nazionale giovane, che però arriverà al Mondiale già con una quantità di talenti che forse gli USA non si sono mai potuti permettere nella stessa squadra. Non c’è solo l’atletismo fuori scala di Alphonso Davies, per capirci. In attacco c’è Jonathan David, che è uno dei finalizzatori più interessanti in Europa oggi, e anche uno di quelli che personalmente trovo più appaganti guardare, per la calma e la pulizia del suo gioco. C’è Tajon Buchanan, ala che gioca nel Club Brugge di cui si parla un po’ meno rispetto a un paio d’anni fa, quando vinse il premio di miglior giocatore della Gold Cup 2020. Un altro giovane da tenere d’occhio è Ismael Koné, centrocampista dei Montreal Impact che magari vedremo in Italia con la maglia del Bologna a un certo punto. Il DS della sua vecchia squadra ha detto che forse Koné, per come è fatto, proverà a fare tunnel a Modric nella partita contro la Croazia. Non so, sinceramente vorrei vedere. Il mio preferito però è Stephen Eustaquio che a 24 anni, dopo una carriera assolutamente media, è diventato uno dei migliori registi del campionato portoghese, dove gioca nel Porto.Il Canada è sorteggiato in un girone tosto, fra squadre verso cui è molto difficile provare empatia: Croazia, Marocco e Belgio. L’unica altra scelta possibile è tifare Marocco, e lo capirei benissimo. Però sarà bello sperare che il Canada riesca a vivere almeno una grande partita a questi Mondiali. Il Canada ha tutta l’aria della Nazionale-incubo per chiunque sia insofferente al politically correct, e questo di base può essere anche un buon motivo per tifarla.Luis Enrique è una persona troppo speciale per non tifare Spagnadi Daniele V. MorronePer quanto riguarda il tifo calcistico sono sempre stato poliamoroso. Fedele, ma incapace di concepire un legame monogamo. Ho trovato sempre troppo limitante concedermi totalmente solo ad una squadra, nel mio cuore di tifoso calcistico c'è tanto spazio e troppe cose mi fanno innamorare nel calcio, da quello che rappresenta una squadra, a come gioca. Anche la presenza di un singolo giocatore può portare il mio cuore a battere per dei colori. Ovviamente dopo i primi facili innamoramenti da ragazzino, ora è più difficile rubarmi il cuore, ma comunque ormai mi ritrovo con tante squadre quanto le dita della mano di cui mi considero a tutti gli effetti tifoso e almeno un'altra decina per cui ho almeno una preferenza. Lo stesso, per me, vale per le Nazionali: non essendo nazionalista non ho mai sentito un richiamo particolare e unico per la Nazionale in quanto italiano, ma la tifo comunque per via di mio padre con cui guardavo fin da piccolo le partite ai Mondiali. Accanto all'Italia, per i motivi che ho detto, si sono sommate altre Nazionali. Tifando Barcellona da anni, ad esempio, mi è risultato impossibile non tifare anche l'Argentina di Messi o la Spagna del ciclo di Xavi e Iniesta. Tifando l'Arsenal poi anche l'Olanda, che era la nazionale di Bergkamp. Tra queste stesse Nazionali, poi, inconsciamente riconosco una gerarchia basata prevalentemente sulla brillantezza del loro gioco e sulla classe dei loro giocatori. L'Italia con Totti in campo mi prendeva di più dell'Italia di Ventura e allo stesso tempo la Spagna di Xavi e Iniesta mi prendeva di più dell'Argentina di Messi. Se si fossero scontrati avrei saputo chi preferire. In tutto questo sistema già di per sé complicato è ancora più difficile spiegare il mio attaccamento al Giappone, che pure sta lì, spingendomi a guardare gli streaming improbabili delle dirette delle amichevoli pre Mondiali ad ottobre in pausa pranzo. Insomma, come potete capire non è facile per me scegliere all'interno di questo Mondiale una singola Nazionale da tifare.Eppure, pensandoci, mi sono reso conto che tra le Nazionali che tifo, per questa edizione ce n'è una che mi fa battere il cuore più di altre, e cioè la Spagna. Il motivo principale è di Luis Enrique. Un allenatore entusiasmante che ha creato un gruppo di giocatori provenienti principalmente dal Barcellona e che soprattutto incontra il mio gusto estetico da un punto di vista tattico. La Spagna è una squadra inequivocabilmente offensiva, dove la tecnica individuale si fonde con i movimenti collettivi. Una miscela, come l'ha definita lo stesso Luis Enrique, di "entusiasmo e fiducia in se stessi".Poi c'è la figura eccentrica di Luis Enrique di per sé, che a me fa impazzire. Un personaggio senza compromessi dentro e fuori dal campo. Il tipo di persona che, nel bel mezzo di un Mondiale, ha deciso di dedicare un'oretta al giorno dopo cena a rispondere alle domande dei tifosi su Twitch. Si mette lì e risponde a tutto: da quello che succede dietro le quinte, alle spiegazioni tattiche sulla sua nazionale, a curiosità varie come il giocatore spagnolo storico che schiererebbe in questa Nazionale (dopo avervi riflettuto un po' ha detto David Villa), fino al suo piatto asturiano preferito (dice la fabada, che sarebbe uno stufato con fagioli e salsicce). Non mi era mai capitato di avere un CT che si avvicina così tanto ai tifosi, quasi a volerli far sentire veramente parte della spedizione. Anche solo per vederlo il più a lungo possibile spero arrivi a giocarsi tutte e sette le partite.

Portogallo, per vedere il mondo bruciaredi Marco D'OttaviNella recentissima intervista a Piers Morgan, Cristiano Ronaldo ha accennato alla possibilità di ritirarsi qualora vincesse la coppa con tripletta in finale a battere la doppietta di Messi. Non è sembrato convintissimo e poco prima ha parlato di voler giocare fino a 40 anni (e che questa sarà «probabilmente» la sua ultima Coppa del Mondo), ma anche solo l’idea di vederlo vincere mi ha dato una scarica di adrenalina che credo sia quella dei cattivi di James Bond nel momento in cui i loro piani sembrano andare in porto. Immaginatevi la scena: CR7 che strappa la Coppa del Mondo dalle mani di Infantino in uno stadio in mezzo al deserto, in una Nazione fatta di plastica e diamanti come lui, con un elicottero che lo viene a prendere al centro del campo per portarlo chissà dove (forse su un trono d’oro che nel frattempo avrà fatto installare sull’isola di Madeira). Questa visione mi esalta e mi spinge a tifare Portogallo. Forse sarà che sono in un periodo un po’ scuro della mia vita, soprattutto nel mio rapporto col calcio, però non riesco a non pensare a quanto sarebbe incredibile questa cosa, a quanto - tutti - saremmo costretti a fare i conti con questa realtà.La vittoria nel Mondiale lo metterebbe sopra tutti, renderebbe la sua idea di calcio (e di mondo) quella vincente. Meglio di Messi? Difficile dire il contrario a quel punto. Meglio di Maradona e Pelé? Forse il vostro cuore potrebbe pensare di no, ma i trofei stanno lì a strapparvi il cuore e farlo a pezzi. Certo, ci sarebbero anche dei motivi meno meschini per tifare il Portogallo. È una squadra zeppa di calciatori fichi, in quel senso che ti spinge a rimanere davanti alla tv per guardarli anche se potresti fare altro. Bruno Fernandes, Joao Cancelo e Bernardo Silva sono tre tra i giocatori che preferisco; Leao non posso amarlo davvero per motivi campanilistici, ma insomma: si lascia guardare anche lui; Ricardo Horta del Braga magari giocherà poco ma è uno dei miei feticci dell’Europa League. Ci sono anche motivi extra-calcistici: quella vacanza fatta a 20 anni, le note del Fado, i belvedere di Lisbona. Ma la realtà è che Fernando Santos farà giocare il Portogallo come se fosse l’Italia del catenaccio e il baccalà neanche mi piace. Allora il motivo rimane solo uno: Cristiano Ronaldo che vince il Mondiale e il mondo che brucia. Come ho imparato a tifare Olanda iniziando ad apprezzare la sua cucinadi Dario SaltariHo fatto il mio Erasmus ad Amsterdam e in Olanda si sono trasferiti molti dei miei migliori amici. Da dieci anni ci vado minimo per un weekend almeno una volta ogni anno e su Whatsapp ho un gruppo con le persone che conosco lì, con cui parlo inevitabilmente spesso di cose olandesi. Dentro questo gruppo uno degli argomenti principali è poco sorprendentemente l’assenza in Olanda di una cucina decente. Ricalco a tal punto lo stereotipo dell’italiano medio che in questi dieci anni la mia ironia è stata puramente ideologica: fino a quest’anno non avevo mai assaggiato un piatto tipico, a parte quella volta a Marken, un’isola che sembra un parco giochi creato ad arte dall’ufficio del turismo olandese, in cui mangiai il broodje haring, il tipico panino con l’aringa affumicata e la cipolla cruda (un’esperienza che consiglio a chiunque voglia scoprire quanto basti mangiare poco per sentirsi pieni). Le cose sono cambiate quest’anno, come ho detto, quando la coppia di amici che mi ospitava a Eindhoven mi ha cucinato lo stamppot, un piatto alla base di cavolo riccio e patate schiacciate con sopra una salsiccia. Non la cosa più raffinata del mondo, me ne rendo conto, ma comunque la prima volta che assaggiando qualcosa di olandese, in maniera sincera e senza alcuna sovrastruttura più o meno ironica, ho pensato: buono. Questa lunga introduzione emotivo-gastronomica mi serviva a dire una cosa semplice, e cioè che l’Olanda - ovvero un Paese che è diventato celebre nel mondo esportando un’immagine fatta di droga e sesso, ma che al suo interno per secoli ha dovuto sopravvivere schiacciando gli unici due ortaggi che riuscivano a crescere nel suo freddo inverno - l'Olanda, dicevo, non è come sembra. Questo ovviamente si può dire di qualsiasi Paese si approfondisca più di un weekend da turista (nel caso specifico ad ammazzarsi di canne e a mangiare patatine fritte lungo un canale di Amsterdam), ma è un discorso che può diventare interessante se si proietta sul calcio. Sono abbastanza sicuro si possa dire che ci si innamora del calcio olandese per due ragioni: per il calcio totale, e quindi per la Nazionale 1974, per l’Ajax degli anni ‘70 e Cruyff, oppure per i suoi giocatori più fenomenali, van Basten, Gullit, Bergkamp, Rijkaard, e così via. Ecco, queste due cose stanno all’immagine dell’Olanda quanto van Gogh e i tulipani. Il problema è che la Nazionale attuale non è né l’una nell’altra cosa: gioca bene ma senza essere rivoluzionaria, e non ha giocatori che possono davvero rubare il cuore (a meno che non siate sufficientemente pazzi da avere come feticcio Memphis Depay). Persino le magliette disegnate da Nike per questo Mondiale non sembrano del solito arancione, ma sono più tendenti al giallo, come se fossero appassite. Perché tifare questa Nazionale allora? Sinteticamente direi perché assomiglia all’Olanda tanto quanto il calcio totale e van Basten. Lo so che può sembrare un punto di vista forzato - e sicuramente lo è, come tutti i punti di vista - ma guardate l’incredibile video con cui la federazione olandese ha deciso di pubblicare la lista dei convocati. La musica drammatica, l’assoluta mancanza di autoironia nell’espressione di van Gaal, il modo spettacolare con cui la sua lingua fa scontrare consonanti inconciliabili: tutto questo è incredibilmente olandese.

Van Gaal è una delle ragioni per cui dovreste per lo meno seguire questa Nazionale. Un allenatore che ha dato al calcio più di quanto il calcio oggi sia disposto a riconoscergli, un personaggio che nella sua follia oscura è affascinante anche nella sua antipatia, o addirittura nella sua mancanza di empatia. Nella sua rigidità intellettuale involontariamente comica. “Van Gaal è olandese, e per le stesse circostanze che hanno reso possibile l’esistenza dei Paesi Bassi (modificare la natura, strappando la terra al mare) il genio olandese presuppone una fiducia assoluta nella capacità dell’uomo di intervenire sulla realtà che lo circonda, piegandola al proprio disegno. La frase sulla porta dell’ufficio di van Gaal ai tempi dell’Ajax rispecchia in maniera esemplare questa concezione: «La qualità è l’esclusione della coincidenza»”, ha scritto Valentino Tola in uno dei pezzi dell’Ultimo Uomo più belli di sempre. Van Gaal oggi ha 71 anni e si presenta nella forma più accettabile per il pubblico italiano. Dice di amare il 3-5-2, in panchina a volte porta degli occhiali che ne addolciscono l’inquietante sguardo da volatile e uno dei suoi assistenti è Edgar Davids. Non bisognerebbe nemmeno dare per scontata la sua passione, visto che alla sua età sta allenando la Nazionale con un tumore alla prostata. Mi rendo conto che però van Gaal rimane una storia grande - in fin dei conti è uno dei più importanti allenatori della storia del calcio olandese - mentre tutto questo contributo è pensato per convincervi a tifare l’Olanda per le sue storie piccole. L’epilogo della stranissima carriera di Memphis Depay, che gioca nel modo meno olandese possibile (cioè con i calzettoni abbassati e il numero 10 sulle spalle). Il possibile riscatto di Frenkie de Jong, umiliato dal baratro finanziario del Barcellona dopo essere stato accolto come il nuovo profeta del calcio totale. L’incredibile approdo a questi livelli di Remko Pasveer, arrivato a esordire per l’Olanda e poi a giocare un Mondiale sulla soglia dei quarant’anni dopo una vita passata nelle retrovie. Lo strano mix di giovani prospetti, alfieri della grande cultura calcistica giovanile olandese (Tyrell Malacia, Xavi Simons, Jeremie Frimpong, Kenneth Taylor, Cody Gakpo, Noa Lang), e piccole leggende di provincia (Luuk de Jong, Vincent Janssen, Wout Weghorst). Mi rendo conto che non sono storie con cui si possono riempire i poemi epici e devo ammettere che fino a non troppo tempo fa non avrebbero detto niente nemmeno a me. Non so cosa sia cambiato nel frattempo, ma ho il sospetto che abbia a che fare con lo stamppot.L'Inghilterra, ovvero dell’irresistibile fascino della nobiltà decadutadi Alfredo GiacobbeMa perché mi ritrovo a tifare Inghilterra in tutte le competizioni per Nazioni? Sarà per il colore delle maglie, la rossa più bella della bianca, che però sopra ai pantaloncini scuri mi riporta immediatamente a Italia ‘90, al Mondiale che ricordo meglio tra quelli della mia infanzia e alle lacrime di “Gazza” Gascoigne, che aveva perso il suo sorriso sguaiato e contagioso alla fine della semifinale. Forse sarà per i tifosi che cantano anche quando la loro nazionale perde, che si lasciano alle spalle le antipatie tra i rispettivi club che per un anno intero erano sembrate insanabili. Sarà perché aspetto davanti allo schermo che ne inquadrino finalmente uno steso a terra tra i gradoni dello stadio, abbattuto dall’alcol e con la pancia all’aria, per il divertimento di tutti quelli intorno a lui. Sarà che mi affascina la loro incrollabile certezza che le cose sarebbero andate bene nonostante andassero male, l’Inghilterra negli anni Novanta ha avuto una banter era mica da ridere. E le cose non è che siano state migliori negli altri anni, perché a parte il Mondiale del ‘66 l’Inghilterra non ha vinto nulla. Eppure è una Nazionale che mantiene intatto il suo fascino, nonostante tutto. È l’Inghilterra che ha dato il calcio al resto del mondo e poi non se n’è fatta niente. Se non è nobiltà questa.Sarà allora per gli incredibili giocatori di culto che l’Inghilterra ha sempre potuto schierare in ogni epoca. Alan Shearer e la sua esultanza col braccio alzato. L’imprendibile Michael Owen nel suo prime. Robbie Fowler e i suoi occhi da pazzo. Il centrocampo con Scholes, Beckham, Gerrard e Lampard, tutti insieme. Non so cosa aspettarmi da questo Mondiale. In generale, figuriamoci poi dalla Nazionale dei tre leoni. Sulla squadra del CT Gareth Southgate – uno con un nome così non vi sembra uscito da una serie in costume? – vi ha già raccontato tutto Daniele Manusia nella sua guida. Io mi limito a dire che non ho così fiducia dopo aver visto l’Inghilterra all’ultimo Europeo. Eppure il raggiungimento della finale è stato uno dei migliori risultati di sempre, mi direte. E l’Inghilterra ha dimostrato anche una certa flessibilità tattica, alternando una difesa a tre o a quattro a seconda del valore dell’avversario e di quante punte metteva in campo, e giocando con ali pure sul piede forte, per aprire le difese più chiuse. Ma a me era piaciuta di più la squadra del Mondiale precedente, con lo schieramento in possesso, quella piramide invertita che nell’Inghilterra non si era mai vista. Southgate scimmiottava Guardiola, dicevano. Mi sembrava più coerente così con i programmi promossi dalla Football Association, attraverso i quali stavano tentando di crescere giocatori associativi, innamorati del pallone, sfrontati nella fase offensiva portata con tanti uomini. L’Inghilterra speculativa di Euro 2020, che segnava quasi solo su calci piazzati, non mi è piaciuta, mi è sembrata un passo indietro. Il Mondiale russo era il primo step di un programma più ampio, mi piacerebbe vedere l’Inghilterra riportarsi in quell’alveo, ma credo che ne resterò deluso.In difesa questa squadra ha tanti problemi. Si è dibattuto per mesi sulla presunta superiorità di Reece James su Trent Alexander-Arnold, e ora si arriva al Mondiale con il primo a casa per infortunio e il secondo presente ma con il morale a pezzi. Bell’affare. Al centro della difesa ci sarà ancora Harry Maguire, che al Manchester United è la terza, se non la quarta scelta di Erik ten Hag. I giovani non hanno fatto abbastanza per meritarsi il posto, ha detto Southgate, ma cos’altro deve fare Tomori, più dell’essere titolare nella squadra campione d’Italia e alla fase finale di Champions League? Dietro si ballerà, ma davanti c’è tanto talento. Se vuole avere una speranza di andare in fondo, Southgate deve alzare il piede dal freno. Per l’Inghilterra in Qatar può andare molto bene o molto male, non ci può essere via di mezzo. È nel DNA di questa squadra. God save us all.

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