«Da questo momento, hai la responsabilità di far parte di questa squadra leggendaria». Quando lo scorso settembre Florentino Perez ha presentato alla stampa Eduardo Camavinga ha passato in maniera fin troppo violenta il messaggio che quasi tutti i grandi club vogliono che i loro nuovi giocatori ascoltino. Un messaggio che alcuni club cercano di passare imponendo tagli di capelli, strappando orecchini troppo vistosi oppure infilandoli in completi scuri da buttafuori. Alle brutte, costringendo i giocatori stessi, si presume talentuosi, a un purgatorio più o meno lungo, in attesa che si formi la giusta mentalità. Il messaggio in sostanza è questo: no, non è vero che certe magliette vincono da sole la partite, piuttosto vedi di essere all’altezza di chi ti ha preceduto, di chi l’ha indossata in passato.
Un ricatto morale che è anche un’investitura e che, francamente, con giocatori come Camavinga non sembra necessario. Pensa a Zidane, a Figo, a Ronaldo, a Cristiano Ronaldo. Pensa a Modric, Benzema, Toni Kroos, Casemiro. Ma certo, è chiaro che Camavinga ci pensa dal primo giorno in cui ha messo piede a Madrid. Forse anche da prima, anzi. Forse da quando - dopo che la sua famiglia ha lasciato l’Angola e dopo che, in Francia, un incendio gli aveva distrutto la casa - il padre gli aveva detto: «Eduardo sei te che ci risolleverai».
Forse per questo, il secondo giorno dopo aver messo piede a Madrid, Camavinga ha segnato il suo primo gol. Per la precisione, cinque minuti dopo essere entrato in campo per la prima volta con la “camiseta blanca” indosso, raccogliendo la respinta del portiere del Celta Vigo su un tiro di esterno di Modric. E il terzo giorno dopo aver messo piede a Madrid - in realtà si trovava a Milano - per la precisione otto minuti dopo essere entrato in campo, si è lanciato in area alle spalle di Vecino e ha servito al volo di sinistro l’assist per il gol vittoria di Rodrygo contro l’Inter.
«Conoscevamo già le sua qualità, fisiche e tecniche», ha detto Ancelotti dopo quelle prime partite. «Poi in campo ci ha mostrato la sua personalità, e quella non la conoscevamo. Quello che succede in campo non lo preoccupa, è sicuro di sé».
Camavinga ha sempre bruciato le tappe, è sempre stato un passo avanti rispetto a dove ci si aspettava fosse. È stato il più giovane esordiente dello Stade Rennais a sedici anni, quattro mesi e qualche giorno, il primo 2002 in campo in Europa. Ha esordito in Ligue 1 più giovane di Kylian Mbappé. E poi, tre anni dopo, è stato acquistato dal Real Madrid per una trentina di milioni, nell’ultimo giorno di mercato - si diceva - per fare una ripicca al Paris Saint-Germain che si era rifiutato di vendergli proprio Mbappé.
Anche in Nazionale ha segnato il suo primo gol nella partita d'esordio - in rovesciata - il più giovane a segnare dai tempi della Prima Guerra Mondiale. Ma al tempo stesso la sua seconda stagione in Ligue 1 è stata difficile, Julien Stéphan, l’allenatore del Rennes, gli aveva dato la 10 e insostenibili responsabilità creative. La sua evoluzione ha avuto un piccolo rallentamento, che gli è costato anche la fiducia di Deschamps. Persino l’Europeo Under 21, lo scorso marzo, è andato male (titolare solo nella partita di esordio, Francia eliminata agli ottavi) e forse quel periodo ci è servito per ricordare che Camavinga aveva pur sempre diciotto anni.
Oggi che non ne ha molti di più, però, (ne fa venti il prossimo novembre), rischia di venir ricordato come un giocatore chiave nell’incredibile cammino del Real Madrid in questa Champions League. Un cammino fatto di rimonte pazze, avvenute quando il Madrid sembrava ormai morto e sepolto, con sempre meno tempo a disposizione per mettere la testa fuori dalla fossa che si era scavato in parte da solo. Tutte rimonte avvenute, quindi, quando Camavinga era in campo.
La tripletta di Benzema che ha sparecchiato il tavolo del Paris Saint Germain nell’ultimo quarto d’ora della partita di ritorno; i due gol con cui Rodrygo e Benzema hanno cancellato la rimonta del Chelsea al Bernabeu quando mancavano dieci minuti; i tre gol con cui il Real ha strappato l’invito di Pep Guardiola per la finale di Parigi quando ormai mancava solo il recupero.
Contro il Chelsea partecipa in modo invisibile al primo gol di Rodrygo, andando in pressione su Kanté che lancia lungo - Alaba recupera, Marcelo scarica a Modric e il resto è storia. È però direttamente responsabile del secondo, recuperando palla su un passaggio di Thiago Silva a metà strada tra Kanté e Loftus-Cheek, giocando immediatamente nel buco dietro Reece James per Vinicius Junior - che crossa per Benzema e il resto è, di nuovo, storia.
Ieri, quando il Manchester City sembrava aver fatto abbastanza - ma abbastanza non è sufficiente contro il Real Madrid e questo Guardiola avrebbe dovuto saperlo - è Camavinga a mettere la palla in area per Benzema. Una palla difficile, che richiede coraggio e fiducia nel compagno che fa quel movimento profondo allontanandosi dal secondo palo, finendo quasi fuori dal campo; sapendo cioè che Benzema può avere un’intuizione geniale anche in quel fazzoletto di campo. E l’ha avuta, così come Rodrygo ha avuto - ancora una volta, dopo che ce l’aveva avuta con l’Inter e dopo che ce l’aveva avuta con il Chelsea - l’intuizione che permette agli attaccanti di razza di ricavare mezzo metro di spazio, o mezzo centimetro, in questo caso, per anticipare il difensore e calciare in porta.
Poi, nei supplementari, è Camavinga a prendere palla nella propria metà campo difensiva, direttamente da Courtois, muovendosi alle spalle di Bernardo Silva, e a portarla fin dentro la trequarti del City, prima di scaricarla a Rodrygo all’altezza dell’area di rigore - Rodrygo crossa basso per Benzema e… quante volte si può fare la storia in tre partite?
Quando Ancelotti lo ha messo in campo, due minuti dopo il gol di Mahrez, in campo non c’erano più né Casemiro né Kroos, e lui stava entrando al posto di Modric. Ancelotti, cioè, si stava giocando l’ultimo quarto d’ora, in cui il Real Madrid doveva segnare due gol per andare ai supplementari, con un centrocampo Valverde-Camavinga. Ma Valverde - uno di quei coltellini svizzeri che ogni allenatore vorrebbe in squadra - giocava su una linea di campo più avanzata e il centrocampo, di fatto, era tutto in mano a Camavinga e alla sua personalità.
Un esempio. Al 76esimo si abbassa dietro la linea dei difensori a prendere palla e, pressato, si gira verso Courtois che aspetta un po’ e poi gliela ripassa. Camavinga a quel punto è al limite dell’area e ha davanti Foden che, quando con il sinistro si gira verso Militao, corre in quella direzione per tagliargli la linea di passaggio. Camavinga rinuncia al passaggio ma, approfittando del metro che Foden gli lascia a disposizione fa una piccola accelerazione e, se Bernardo Silva non stringesse verso il centro, potrebbe anche condurre palla verso il centrocampo. Bernardo Silva lo chiude ma così facendo libera Nacho, a cui Camavinga scarica il pallone con leggerezza.
Un altro esempio, due minuti dopo. Il Real è sempre sotto 0-1 e la pressione del City non gli permette di uscire dalla metà campo. Nacho scambia con Mendy e si sovrappone internamente, Mendy scarica la palla a Camavinga che prova un filtrante da ultimo uomo che Rodri intercetta. Appena persa palla, invece di scappare all’indietro, Camavinga parte in pressione solitaria per recuperarla. Rodri la passa a Mahrez che però si ritrova Camavinga alle spalle e gliela ripassa, Camavinga continua la sua corsa e con la punta del piede destro intercetta il tentativo di Rodri di tornare indietro conquistando un fallo laterale preziosissimo.
Provate a immaginare cosa significa entrare in campo in una semifinale di Champions League, a diciannove anni, e giocare in mezzo ai propri centrali difensivi per far avanzare il pallone contro una squadra come il Manchester City. In quasi ogni passaggio di Camavinga, ieri, c’era una scelta difficile. Nel lancio con cui, all’81esimo, ha mandato in porta Benzema (partito in leggero fuorigioco) come in quello con cui permette a Benzema di fare l’assist per Rodrygo; ma anche in quelli con cui semplicemente cercava un compagno di libero di giocare in direzione della porta di Ederson.
Camavinga ha fatto l’ascensore, trasportando la palla lungo l’asse verticale del campo; ha fatto da medium mettendo in collegamento i quattro attaccanti con il resto della squadra; in poche parole ha tenuto insieme il Real Madrid. Chiudendo, oltretutto, dove c’era da chiudere, su Bernardo Silva, su Graelish, su Sterling - nel primo tempo supplementare il Bernabeu è esploso in un’ovazione dopo un suo tackle nella trequarti d’attacco.
Sarebbe moltissimo anche per un veterano, in una partita del genere, che poi il Madrid ha svoltato sugli episodi, con quella forza psicologica e tecnica che gli permette di creare occasioni nel caos disperato degli ultimi minuti. Senza Camavinga, un’impresa come quella di ieri magica, assurda, senza senso, non sarebbe stata possibile. Come ha fatto il Real Madrid a rimontare il Manchester City segnando tre gol oltre il 90esimo? Se c’è una risposta razionale, deve comprendere Eduardo Camavinga.