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La meglio gioventù del basket italiano
17 set 2025
Abbiamo parlato con alcuni dei ragazzi delle giovanili della Nazionale.
(articolo)
9 min
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Filippo Corsi
(copertina) Filippo Corsi
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Quest’estate Filippo Corsi è stato al seguito delle Nazionali italiane Under 18 e Under 20 durante l’Europeo di categoria. Tutte le citazioni che trovate in questo articolo arrivano da sue interviste, raccolte dopo le partite o gli allenamenti delle due Nazionali. Gli intervistati sono Francesco Ferrari, David Torresani, Achille Lonati, Diego Garavaglia. La stesura del testo è di Marco D’Ottavi.

È stata una bella estate per il basket italiano come movimento. In 43 giorni sono arrivate quattro medaglie europee: il bronzo della Nazionale maggiore femminile, l’oro dell’Under 20 maschile, il bronzo dell’Under 18 maschile e il bronzo dell’U20 femminile, in rigoroso ordine temporale.

Sono quattro medaglie che raccontano una storia. Una storia il cui senso non è necessariamente, o almeno non solo, quello delle vittorie, ma l’idea di un processo in divenire, di un futuro roseo nel senso più comprensivo del termine. A vedere quelle squadre giocare è stato evidente un senso di unità trasversale, che va oltre il genere, l’età o quello che sarà il futuro dei singoli protagonisti, la cui carriera, per alcuni, è ancora tutta da costruire.

La sensazione è che, come mai prima d’ora, la federazione stia riuscendo a lavorare in armonia nella formazione dei suoi migliori talenti. Come ha detto il Coordinatore delle Attività del Settore Squadre Nazionali maschili Luigi Datome in una recente intervista per Ultimo Uomo, «qualcuno di loro farà il giocatore per tutta la vita, altri no, ma questa cultura e questi valori rimangono per sempre, e la devono avvertire quando vengono in Nazionale. Non soltanto per la felicità di rappresentare l’Italia, ma per il clima di serietà, professionalità e valori. Cose che insieme formano una cultura che stiamo cercando di sviluppare». E ancora: «È far sì che il maggior numero possibile di giocatori arrivi dalle giovanili alla Nazionale A. Significherebbe che li stiamo formando nel modo giusto, insieme alle società. E se questo accadrà, troveranno un ambiente ben preciso con una cultura e un’identità a cui stiamo lavorando con Salvatore Trainotti».

ESSERE IL MOVIMENTO
Ma cosa vuol dire per loro rappresentare la Nazionale? Siamo in un momento storico in cui, per ragioni che vanno oltre lo sport, c’è poca fiducia nei giovani in Italia, e così i giovani hanno poca fiducia in quello che questo Paese può offrire loro. Certo, con i ragazzi e le ragazze del basket stiamo parlando di eccellenze sportive, ma è stato bello vederli così partecipi, così inseriti in un’idea più profonda di vestire l’azzurro.

Per Francesco Ferrari, il capitano dell’Under 20 campione d’Europa e miglior giocatore della competizione, «è ancora adesso un sogno poter indossare questa canotta, perché ci sono altre centinaia di migliaia di ragazzi che vorrebbero essere al nostro posto». Un privilegio che diventa una responsabilità: «quindi dobbiamo essere bravi a rappresentare il nostro Paese». Per David Torresani rappresentare l’Italia «è sicuramente una soddisfazione perché significa che il lavoro che fai paga». Ma non c’è solo un livello sportivo o personale, anzi, c’è un orgoglio comunitario, qualcosa che non è nazionalismo, ma è più vicino, semmai, al patriottismo, in una sua forma sportiva: «è bellissimo, è bellissimo, perché vabbè: è la Nazionale Italiana».

Non è facile capire il tipo di emozione che stanno cercando di esprimere, senza aver mai indossato una maglia azzurra. Per tutti però sembra venire prima il privilegio di poter rappresentare l’Italia come Paese, e poi il significato che ha per la propria carriera personale. Per Achille Lonati «ogni volta che scendo in campo, che sento l'inno, mi vengono i brividi. È come vivere un sogno tutte le volte. È difficile anche da metabolizzare quello che sto facendo».

Il video con le interviste.

GUARDARE L’AZZURRO
Ma come si costruisce questa appartenenza in maniera reale, oltre la bandierina italiana sui documenti? Ho sempre pensato che “guardare la Nazionale” abbia un grande impatto nella costruzione di una comunità, e in questo senso le parole di Ferrari, Torresani, Garavaglia e Lonati sembrano confermarlo. «Io da bambino, con i miei amici, con la mia famiglia, con i miei fratelli, guardavo sempre gli Europei o il Mondiale, o quello che era» dice Ferrari. «In campo c’erano Hackett, Gentile, c'era il Gallo, c'era il "Mago" Bargnani. E vederli giocare era wow, perché rappresentavano il Paese e c'erano altri ragazzi come me che erano sul divano a guardarli, che non vedevano l'ora che giocassero».

L'Azzurro è anche un ricordo, una memoria che si stratifica: «era estate, quindi io ero all'Elba. Mi ricordo che la guardavo nel mio televisorino piccolino» è il racconto di Lonati. «Mi ricordo che guardavo un sacco di basket femminile, Nazionale femminile. E anche ovviamente Nazionale senior. Mi ricordo ovviamente Gallinari, Belinelli, quelle grandi partite». «C'erano ancora Datome, Belinelli, Gallinari. Non so dirti che partita esattamente, ero piccolo. Mio papà la vedeva e io la vedevo con lui» (Torresani).

Alcuni di questi nomi, particolarmente in questa estate, rimandano a un forte senso di continuità tra questa generazione e quella che l’ha preceduta. Belinelli ha appena dato l’addio al basket, per Gallinari l’Europeo è stato l’ultimo torneo in azzurro, mentre Datome è già passato dall’altra parte e si sta impegnando a formare questi ragazzi. Loro non sono riusciti a portare trofei all’Italia, ma i traguardi che hanno raggiunto hanno avuto un impatto evidente nel formare una nuova classe di giovani giocatori di basket italiani, convinti di poter ambire a raggiungere i più alti livelli della loro professione in Italia e all'estero. «Forse mi ero innamorato di Hackett e Belinelli, mi piaceva troppo come giocano, tutt'ora, che sono clamorosi» dice Garavaglia, che da piccolo era «un appassionato della Nazionale Italiana».

FARE GRUPPO
Ma come è stato fare il salto? Passare da vedere l’Italia in TV a indossare la maglia Azzurra? «Vedere il cognome scritto sulla casacca Italia è stata veramente un'emozione unica», dice Ferrari ricordando la sua prima convocazione. Per quanto può sembrare assurdo vedendolo giocare oggi, «la prima volta che ho indossato la maglia della Nazionale non me l’aspettavo», continua, «c'erano altri ragazzi della mia età, molto forti». In tutti i loro racconti esce fuori un genuino stupore, un’emozione: «Sentire, vabbè, vedere proprio la convocazione, l'arrivo sulla mail, che faccio parte dei 12 giocatori della Nazionale della mia età, è stata una vera gioia» è il ricordo di Garavaglia.

«Dopo lo scudetto Under 15 con l’Olimpia Milano non ero stato chiamato al primo raduno di 2006 e 2007», dice Lonati «Ci sono rimasto un po' male, diciamo. Poi però, qualche settimana dopo c’è stato il raduno solo Under 15 e lì mi hanno chiamato. Ci siamo divertiti un sacco: abbiamo creato subito un grande gruppo, è stato fantastico».

Chi segue il basket delle Nazionali sa quanto per l’Italia creare un gruppo sia stato fondamentale per centrare i migliori traguardi o comunque andare oltre le aspettative. Entrare a far parte del giro della Nazionale di basket vuol dire passare, più o meno, un’estate su due in ritiro con il resto dei compagni, ritiri lunghi spesso più di un mese. Riuscire a costruire un gruppo affiatato, capace di convivere insieme fuori dal campo, aiuta anche poi nel momento della prestazione sportiva. È un dato di fatto e un punto su cui l’Italia ha spesso lavorato bene, soprattutto nelle ultime stagioni con le gestioni di Sacchetti e Pozzecco, per rimanere all’Italia maschile.

Creare un gruppo è un processo che parte da lontano, e che questi ragazzi stanno attraversando: «Ovviamente l'Europeo è una cosa bellissima, ma farlo giocando con i tuoi amici, perché alla fine i tuoi compagni di squadra sono amici, è una cosa ancora più bella». «Stai in gruppo per un mese, un mese e mezzo, quindi ti fai nuovi amici, conosci altre persone, altri giocatori come te», «le amicizie secondo me sono la cosa più bella di questo sport. Ho avuto la fortuna che in Nazionale, anche con la mia squadra, ma in Nazionale è un po' diverso, perché c'è gente da tutta Italia, abbiamo sempre creato un gruppo fantastico ed è stata questa forse la nostra forza agli Europei Under 16, al Mondiale Under 17 e per ora anche in questo Europeo. Quindi sicuramente le amicizie sono cose che ti rimangono dentro per sempre».

Come detto, per forza di cose, non tutti i ragazzi impegnati in questa bella estate finiranno per far parte della Nazionale maggiore maschile e femminile. È il lato selettivo dello sport, una competizione che hanno imparato a conoscere fin da piccoli. Eppure, per quanto retorico, come dimostrano le loro parole le esperienze di queste estati con le Nazionali giovanili finiranno per formarli come giocatori e giocatrici, ma anche come uomini e donne capaci di vivere all’interno di una società.

Lo si è visto con l’Under 20, la cui improvvisa esposizione mediatica ha portato a uno di quegli episodi che raccontano delle spinte conservatrici all’interno di un Paese come il nostro che, con difficoltà, sta provando a cambiare. Alcune persone sui social hanno commentato in maniera razzista la presenza di ragazzi neri a rappresentare l’Italia, pur essendo tutti loro italiani. Come risposta il gruppo si è stretto ancora di più, mostrando cosa vuol dire rappresentare una Nazionale, con la sua identità e i suoi valori, fino ad arrivare all’oro.

Si torna sempre lì: rappresentare Italbasket è qualcosa che va oltre il campo, si tratta di identificarsi con una cultura e un’identità, dentro e fuori dal campo. «Rappresenti 60 milioni di persone, quindi essere tra quei 12 che rappresentano tutte queste persone è un onore. Più o meno tutti noi stiamo capendo questo valore che è la Nazionale», «è un bel peso, ma è bellissimo. È il sogno di tutti quelli che giocano a basket. Poi secondo me l'Italia ha un forte senso di appartenenza verso la propria nazione» è l’idea di Garavaglia a riguardo. Un pensiero esposto da Ferrari in un discorso al Quirinale, nel recente incontro con il Presidente della Repubblica Mattarella.

Sono parole che ripetono tutti, a modo loro, parole che non sono solo gusci vuoti, ma che sembrano sentite. Tutti loro hanno passato quest’estate dietro all’Italia, l’estate dei 16, 17, 18 anni, una delle ultime che avrebbero potuto dedicare alla loro giovinezza prima di diventare adulti, entrare a piedi uniti nel professionismo, con tutte le sue pressioni e le difficoltà. La loro disponibilità, l'umiltà e la capacità di fare gruppo, di rispondere alle richieste della federazione non saranno importanti tanto quanto il loro talento, le scelte di carriera che faranno, la fortuna o la sfortuna che avranno nello scrivere il futuro dei risultati delle nostre Nazionali. Eppure a vederli oggi non possiamo che essere fiduciosi.

Come ci dice Ferrari al termine della sua intervista: «È un movimento speciale, che sta crescendo sempre di più e noi vogliamo fare qualcosa di speciale».

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La meglio gioventù del basket italiano