Il calcio contemporaneo non è più fatto per le coppie di attaccanti. Come scriveva Fabio Barcellona in un vecchio pezzo, ci sono troppi moduli fluidi e troppo bisogno di universalità tra i giocatori in campo per permettersi due giocatori dedicati quasi esclusivamente a pensare all’area avversaria. È strano quindi che uno degli allenatori più contemporanei tra tutti, Antonio Conte, dia ancora grande importanza a una formula dal sapore così nostalgico, che sembra appartenere a un modo antico e obsoleto di fare gol.
Conte è un allenatore con principi chiari, così chiari da diventare quasi meccanici. Si sono evoluti nel tempo, ma non hanno mai fatto a meno di contemplare le due punte. E così dal 4-4-2 (o 4-2-4, se preferite) al 3-5-2 le coppie di attaccanti hanno rappresentato un elemento fondamentale del suo gioco offensivo. L’aspetto più retrò del gioco di Conte non è però l’affidare agli attaccanti grandi responsabilità di finalizzazione ma appoggiarsi a loro anche per la circolazione del pallone. Dai movimenti delle punte, dai loro giochi, dalla loro associazione dipende tutta la sostenibilità offensiva del sistema.
L’idea della coppia di giocatori in combutta per fare gol rimanda a un’idea precisa della nostra enciclopedia culturale: Batman&Robin, Bonnie&Clyde, Joe Pesci&Robert De Niro. Conte ha quindi preso l’idea anni ‘90 di due esseri umani agli opposti della fisiognomica – uno basso e tecnico, l’altro alto e potente – che mettono insieme le loro skills per fregare le difese.
Di pari passo con la scalata di Conte ai più alti livelli del calcio, le coppie di attaccanti a sua disposizione sono aumentate di potenza, velocità, atletismo, qualità tecnica. Fino ad arrivare al mostro bicefalo Lautaro Martinez-Lukaku, da cui partiremo per questo viaggio nel cervello del calcio di Antonio Conte, cioè nelle sue coppie d’attacco.