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Le migliori coppie d'attacco di Antonio Conte
07 feb 2020
Alcune davvero improbabili.
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15 min
(copertina)
Foto di Gabriele Maltinti/Getty Images
(copertina) Foto di Gabriele Maltinti/Getty Images
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Il calcio contemporaneo non è più fatto per le coppie di attaccanti. Come scriveva Fabio Barcellona in un vecchio pezzo, ci sono troppi moduli fluidi e troppo bisogno di universalità tra i giocatori in campo per permettersi due giocatori dedicati quasi esclusivamente a pensare all’area avversaria. È strano quindi che uno degli allenatori più contemporanei tra tutti, Antonio Conte, dia ancora grande importanza a una formula dal sapore così nostalgico, che sembra appartenere a un modo antico e obsoleto di fare gol.

Conte è un allenatore con principi chiari, così chiari da diventare quasi meccanici. Si sono evoluti nel tempo, ma non hanno mai fatto a meno di contemplare le due punte. E così dal 4-4-2 (o 4-2-4, se preferite) al 3-5-2 le coppie di attaccanti hanno rappresentato un elemento fondamentale del suo gioco offensivo. L’aspetto più retrò del gioco di Conte non è però l’affidare agli attaccanti grandi responsabilità di finalizzazione ma appoggiarsi a loro anche per la circolazione del pallone. Dai movimenti delle punte, dai loro giochi, dalla loro associazione dipende tutta la sostenibilità offensiva del sistema.

L’idea della coppia di giocatori in combutta per fare gol rimanda a un’idea precisa della nostra enciclopedia culturale: Batman&Robin, Bonnie&Clyde, Joe Pesci&Robert De Niro. Conte ha quindi preso l’idea anni ‘90 di due esseri umani agli opposti della fisiognomica - uno basso e tecnico, l’altro alto e potente - che mettono insieme le loro skills per fregare le difese.

Di pari passo con la scalata di Conte ai più alti livelli del calcio, le coppie di attaccanti a sua disposizione sono aumentate di potenza, velocità, atletismo, qualità tecnica. Fino ad arrivare al mostro bicefalo Lautaro Martinez-Lukaku, da cui partiremo per questo viaggio nel cervello del calcio di Antonio Conte, cioè nelle sue coppie d’attacco.

Romelu Lukaku-Lautaro Martinez

L’idea di questo articolo ci è ovviamente venuta pensando alla bromance tra Lautaro Martinez e Lukaku, a cui abbiamo già dedicato un pezzo a sé. Quindi non vogliamo ripeterci più di tanto, ma forse vale la pena aggiornarvi su un rapporto in cui la dimensione tecnica e umana sembra intrecciata da una connessione dal sapore cosmico.

Da quando abbiamo scritto l’articolo, in effetti, Lautaro Martinez ha trovato una spiegazione profonda all’intesa con Lukaku: «Io e Lukaku abbiamo avuto esperienze dure che ci hanno rafforzato». La loro efficacia in coppia del resto non accenna a scemare. Insieme hanno segnato 31 gol tra campionato e Champions, più del 60% delle reti complessive dei nerazzurri.

Lukaku e Martinez insieme ricordano le accoppiate offensive più divertenti degli anni ‘90, con un attaccante più grosso a lavorare da boa e l’altro esplosivo a girargli intorno. All’estero scrivono che stanno facendo tornare di moda un modo old school di attaccare.


Graziano Pellè-Eder

Sogno d'una notte di mezza estate, Pellè-Eder sono stati la coppia di Conte più improbabile, ma forse per questo la più amata (anche perché certamente la più nazional-popolare). Non era un buon momento storico per gli attaccanti italiani: la coppia Immobile-Zaza, che aveva iniziato il biennio di Conte in azzurro aveva praticamente fallito a livello di club e anche in maglia azzurra era stato Pellè il miglior realizzatore tra amichevoli e le qualificazioni (5 gol in 12 partite). I due avevano giocato insieme anche prima dell'Europeo del 2016, ma in qualche modo sono state quelle poche partite a crearne la mistica di coppia perfetta.

Un gol di Pellè in amichevole contro la Scozia, dopo una sponda non del tutto volontaria di Eder.

Fin da subito la coppia Pellè-Eder si ammantò di una patina di leggenda provinciale, una coppia «nata a cena», consigliata a Conte da Beppe Iachini, che per primo li aveva schierati insieme alla Sampdoria. Uno arrivato dal Brasile e con tutta una carriera in provincia, l’altro che era dovuto andare in Olanda per sbocciare. Eppure il tecnico azzurro aveva trovato un modo molto raffinato di metterli al servizio della squadra, lavorando sui loro punti di forza e nascondendo i limiti.

Insieme agli Europei hanno giocato contro Belgio, Svezia, Spagna e Germania, quattro partite che tutti ricordiamo bene. Al di là dei gol, 3 in totale, Pellè ed Eder funzionarono benissimo come “coppia di Conte”. Il primo dimostrò una capacità quasi innaturale di giocare di sponde, il secondo riuscì ad esaltare le proprie qualità atletiche giocando in maniera aggressiva sulle seconde palle e attaccando in un campo grande.

Il finale fu macchiato dall’errore un po’ ridicolo di Pellè durante i calci di rigore contro la Germania, ma la loro connessione rimase una delle cose più belle di quell’Europeo.


Carlitos Tevez- Fernando Llorente

Non stupisce che ancora oggi, a distanza di 6 anni, Conte abbia provato a portare Llorente all’Inter (e chissà se Tevez non fosse così lontano dal calcio ad alti livelli…). Tevez e Llorente sono stati la coppia d’attacco di Conte per una sola stagione, quella 2013/14, eppure sono stati in grado di coniugare alla perfezione le richieste del tecnico senza mancare di impreziosirle con le proprie qualità individuali.

Quella è stata sicuramente la Juventus più forte allenata da Conte e viene da chiedersi se, ad oggi, non sia la squadra migliore avuta in mano dal tecnico italiano durante la sua carriera. Se infatti Tevez e Llorente erano la punta, intorno a loro si muoveva una rosa al picco della propria maturità tattica, in grado di realizzare il record di punti in Serie A (102, ancora imbattuto), finendo però per cadere vittima di alcune ingenuità in Europa, come l’eliminazione dai gironi di Champions nella neve ad Istanbul, dopo aver tenuto testa al Real Madrid futuro campione, e una semifinale di Europa League giocata sottotono, forse per eccessiva sicurezza. Michael Cox, ad esempio, l’ha identificata come una delle squadre più iconiche del decennio.

Tevez e Llorente sembravano completarsi in tutto: uno alto, bello e algido; l’altro basso, brutto e infuocato. Anche a vederli in foto erano perfetti per essere una coppia, in un film d’azione come su di un campo da calcio.

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Davide Spada / LaPresse

Alla prima partita giocata insieme segnarono tutti e due e in maniera molto democratica. Tevez fece gol con un destro secco e violento sul palo lontano, Llorente di testa: avrebbero segnato molti gol così nei mesi successivi. Dopo due anni in cui erano stati i gol dei centrocampisti a sostenere l’attacco (caratteristica comune nelle squadre di Conte), i due riuscirono a contribuire non solo nella costruzione del gioco della squadra (quindici assist in due alla fine di quella stagione), ma anche a livello personale, chiudendo la stagione con un totale di 39 gol.

Il loro inserimento nell’attacco di Conte ha permesso alla Juventus di limitare il numero di errori nelle ricezioni spalle alla porta delle stagioni precedenti (fondamentale in cui tutti e due brillavano) e di migliorare quindi la risalita della squadra, aumentando l’efficienza dell’attacco (per la prima volta dopo anni la Juventus fu il miglior attacco del campionato). Al di là di queste sfumature tattiche, però, Tevez e Llorente verranno ricordati dai tifosi perché erano due dei migliori attaccanti della Serie A.

Ancora più onestamente, se Llorente era perfetto per il gioco di sponda di Conte e sapeva muoversi bene in area di rigore, Tevez era semplicemente un fenomeno, la cui voglia di riscatto dopo alcuni anni bui si sposava alla perfezione con l’idea di calcio del suo allenatore. L’argentino portava in campo quel furore agonistico che Conte adora: durante una partita con il Milan, come raccontato dallo stesso tecnico, non faceva altro che ripetergli che «era un leone». Tevez con Conte è rinato, diventando uno dei giocatori più amati dello scorso decennio juventino, anche ad una seconda stagione con Allegri ancora più eccezionale.

Insomma, per rimanere al campo, Llorente è stato il centravanti giusto in un sistema che lo valorizzava - come il gol segnato in questo Milan-Juve - mentre Tevez è stato l’estro, l’assurdo, la forza e la bellezza - come il gol segnato sempre in questo Milan-Juve.


Paul Vitor Barreto - Francesco Caputo

A perfetta rappresentazione di come nel calcio il successo e il fallimento si alternino nella vita degli atleti, quando Paulo Barreto e “Ciccio” Caputo giocavano per Conte era il primo a essere un fenomeno mentre il secondo un giovane che sembrava stare a malapena nella categoria.

Oggi Barreto gioca nel Gozzano, una società in provincia di Novara che milita in Serie C. Secondo Wikipedia ha ripreso quest’anno a giocare dopo quattro anni di inattività e dodici mesi fa si raccontava a Gianluca di Marzio per trovare una squadra. Quando arrivò al Bari, all’inizio di quella stagione, Barreto era la ciliegina sulla torta nella costruzione di una squadra che ambiva alla promozione diretta. Il telecronaca del video sotto lo presenta come una specie di fattore magico aggiunto al Bari. Il giocatore che risolve le partite, l’uomo in più.

Al suo esordio in effetti Barreto si cala nei panni del deus-ex-machina e vince praticamente da solo la trasferta contro il Vicenza. “L’indemoniato Barreto” lo apostrofa il commentatore. Fa un gol su punizione alla prima palla toccata e segna il gol vittoria dribblando ultimo difensore e portiere avversario. Pare troppo forte, tecnico e veloce per la categoria. Segnerà 23 gol, dopo i 17 della stagione prima con la maglia del Treviso. Caputo ci metterà di più a sbloccarsi, ma al Grosseto - una partita importante dopo un passo falso - segna una tripletta fondamentale per la cavalcata del Bari.

Caputo ha 21 anni, porta i capelli lunghi, è sbarbato e a vederlo oggi sembra semplicemente un’altra persona. Viene da Altamura, fino ai 19 anni era nei dilettanti finché il Bari non ha deciso di prenderlo dal Noicattaro. Insomma, non mi viene una definizione migliore di “bomber di provincia”.

Il telecronista la definisce “La partita che apre la carriera di ‘Ciccio’ Caputo”, che dopo aver segnato la tripletta si accascia a terra in lacrime.

Da quel momento Barreto e Caputo diventano titolari, associandosi in maniera interscambiabile. Entrambi sono attaccanti completi, con Caputo più bravo nei movimenti senza palla e Barreto più a cucire il gioco e a partire anche da lontano in conduzione. Caputo più finalizzatore, Barreto più creatore di gioco negli ultimi trenta metri.

Il Bari farà 80 punti e verrà promosso in Serie A. Antonio Conte invece darà vita alla prima delle sue rotture clamorose con la società; «Volevo giocare in A con le mie idee, secondo il mio progetto». Finirà all’Atalanta a fine settembre e alla prima partita in Serie A verrà espulso per proteste. Si dimetterà a gennaio dopo 13 punti in 13 partite. Una di quelle pagine nere della sua carriera che oggi abbiamo praticamente cancellato.

Barreto quell'anno segnerà un gol in meno di “Ciccio” Tavano nella classifica marcatori e l’anno dopo in Serie A farà meraviglie nella squadra di Ventura, che essendo il maestro di Conte non toccò più di tanto per far funzionare “i galletti”. Caputo invece rimase in Serie B, alla Salernitana. Tornerà al Bari, verrà squalificato nella storia del calcioscommesse, per poi andarsene di nuovo: «Ho fatto tanti gol, ma dopo la squalifica la società era cambiata e quando mi offrirono la fascia di capitano alcuni tifosi ipotizzarono che l’avessi voluta io. Capii che il rapporto si era rovinato e chiesi la cessione. Non provo rancore, solo dispiacere».


Calaiò-Reginaldo-Mastronunzio-Larrondo

Dopo il fallimento all’Atalanta, Antonio Conte ha dovuto ricostruirsi una verginità in Serie B. Una stagione in cui ha compiuto un’impresa forse persino superiore a quella del Bari. Perché il Siena veniva sì dalla Serie A, ma con una squadra da reinventare per una categoria per cui molti calciatori non avevano stimoli. Conte si era presentato gridando “Sono carico a pallettoni”, e in poco tempo aveva messo a ferro e fuoco la categoria. Il Siena chiuderà al secondo posto dietro l’Atalanta di Colantuono, che aveva alcuni giocatori palesemente fuori categoria, ma la squadra di Conte ripristinerà la magia del 4-4-2 fatto di catene laterali brillanti e danze delle punte.

La coppia Calaiò-Reginaldo suona come la più sgangherata di questa lista, ma è stata anche tra le più strane e divertenti. Emanuele Calaiò, detto “L’arciere”, che a 28 anni stava meglio in Serie B che in Serie A; Reginaldo che faceva parte di quella strana categoria di attaccante misteriosamente repellenti al gol. A fine anno segneranno 25 gol in 2, 18 Calaiò e 7 Reginaldo, che del resto partiva lontano dalla porta e lavorava tanto per la squadra. Il brasiliano a dire il vero spesso partiva esterno a centrocampo e quindi più che di una coppia dovremmo parlare di un quartetto d’archi, peraltro raffinatissimo, a cui aggiungere Salvatore Mastronunzio, detto “La vipera” e Marcelo Larrondo, protagonista di una delle carriere più incomprensibili di sempre (oggi gioca in Cile ma è di proprietà del River Plate). Per favorire la loro convivenza in quella stagione Conte passò sporadicamente al 4-3-3, che a ripensarci oggi non ci si crede.

Questo genere di video non smetteranno mai di farmi ridere, mi dispiace.

Per il girone d’andata bisogna anche segnalare la presenza in quella squadra di Ciro Immobile, poi passato al Grosseto nel mercato invernale, e Antonio non ne era felicissimo a quanto pare. Del suo passaggio va ricordato il gol del 4-1 segnato contro il Portogruaro: una rete piuttosto incredibile e che sembra poter leggere nel futuro.

Quell’annata certificherà il valore di Conte, e convincerà la Juventus nella decisione forse più azzeccata dal 2000 in avanti. Ma di quella stagione dobbiamo per forza ricordare l’epica conferenza stampa in cui Conte ha parlato solo in terza persona. Se oggi pensate che Conte sia sopra la righe dovreste rivedervi questo video, forse il vertice della sua retorica.


Diego Costa - Eden Hazard

Fra le coppie di Conte quella Diego Costa-Hazard forse è la meno “contiana”. Quella che più si discosta dal nostro immaginario di due “partners in crime” che ci sono stati più o meno in tutte le squadre. Del resto nell’esperienza al Chelsea Conte ha mostrato una flessibilità nelle sue idee che non aveva precedenti, e che sembra aver abbandonato all’Inter. All’inizio Conte aveva persino abbandonato la difesa a 3, per poi tornarvi folgorato sulla via di uno 0-3 alla fine di un primo tempo contro l’Arsenal. Da quel momento il Chelsea si è schierato con un 3-4-2-1 in cui i due trequartisti, Hazard e Willian, erano formidabili a smarcarsi nei mezzi spazi mentre Diego Costa era la classica portentosa trivella verso la profondità.

Hazard, dopo una stagione in flessione, aveva ritrovato tutta la sua brillantezza e chiuse la stagione con 16 gol e 5 assist, oltre a un’influenza sul gioco incommensurabile. È difficile immaginare per lui un compagno più diverso da Diego Costa, che alle sue conduzioni raffinate e morbidissime opponeva corse selvagge e ultrafisiche contro le difese avversarie.

Un calciatore caotico e impreciso, che a un certo punto trova un grande gol.

Non sembrano esserci tipi più diversi, eppure andavano incredibilmente d’amore e d’accordo, al punto che in un momento in cui il brasiliano era finito ai margini della rosa si era esposto pubblicamente per un suo ritorno: «Io e Diego Costa abbiamo giocato insieme per tre anni, abbiamo vinto tutto eccetto la Champions League. È un piacere giocare con lui, è un top player e una grande persona. Vorrei tornasse ma non decido io». Internet è pieno di loro foto in momenti di tenerezza. Questa foto in cui Hazard lo accarezza con occhi divertiti e innamorati. Questa in cui Diego Costa lo rincorre nell’esultanza e Hazard lo aspetta con la coda dell’occhio. Questa in cui si spiegano le istruzioni tattiche ridendo come una coppietta.

Come per le altre coppie presente in questo pezzo, il contributo di Costa-Hazard alla vittoria della Premier 2016/17 è stato decisivo. È stato stimato che la loro influenza sui gol ha portato 30 punti al Chelsea, con il 48% di reti prodotte.


Mirko Vucinic - Alessandro Matri

Vucinic e Matri esordiscono uno accanto all’altro nella seconda partita della “Juventus di Conte”, dopo essersi avvicendati come spalla di Del Piero nello storico esordio allo Juventus Stadium contro il Parma. In quel momento il nuovo allenatore della Juventus è ancora legato al suo 4-4-2 e schiera ai lati dei due attaccanti Pepe e Giaccherini. I bianconeri vincono per 1-0 e il gol è confezionato proprio dai due: Vucinic riceve un pallone in area, salta un avversario, arriva sul fondo e mette dietro dove Matri può segnare praticamente a porta vuota.

Conte però si accorge presto che Vidal non può restare fuori e dalla quarta giornata decide di passare al 4-3-3, per avere Pirlo davanti alla difesa, e il cileno e Marchisio ai suoi lati. Questo modulo preclude l’idea di “coppia”, visto che accanto ad un centravanti giocano due ali. In quelle settimane Conte ruota molto gli interpreti, tra cui gli stessi Vucinic e Matri, che si alternano come centravanti titolare oppure giocano insieme, con Matri al centro e Vucinic a sinistra.

Le cose per i due - e per tutta la Juventus - cambiano nel recupero della partita contro il Napoli a fine novembre: per la prima volta Conte schiera la squadra con il 3-5-2 e Matri e Vucinic sono i due attaccanti. L’italiano andrà anche in gol, sfruttando proprio un movimento del compagno.

Da quel momento sono loro due a guidare l’attacco di una squadra granitica, che finisce per vincere un improbabile titolo grazie soprattutto alla difesa. Matri e Vucinic in seguito verranno ricordati come gli eroi sgangherati di quel primo scudetto, perché se già il reparto difensivo e quello di centrocampo lasciavano intravedere una qualità altissima negli interpreti, loro due vengono continuamente messi in discussione, mai abbastanza forti per portare la Juventus nel futuro. Del Piero, Giovinco - l’unico che in parte ci riesce il secondo anno - Quagliarella, Borriello, Bendtner, Anelka; tutti tentativi della dirigenza di migliorare la coppia di Conte, tutti falliti o comunque rimasti comprimari, decisivi per un gol o per un altro, ma seconde scelte nei primi due anni di Conte, fino all'arrivo di Tevez e Llorente, giocatori di un'altra categoria.

Matri e Vucinic hanno rappresentato la prima coppia d’attacco di Conte sotto i riflettori. Se infatti i più impallinati potevano aver studiato i movimenti in sincrono del suo Bari o del Siena, per molti vedere due attaccanti giocare così vicini e muoversi in maniera così simbiotica è stata una novità assoluta. I due, con i loro difetti, hanno rappresentato perfettamente gli ideali di Conte: da una parte un centravanti con un discreto gioco spalle alla porta e capacità di finalizzazione in area di rigore, dall'altra una seconda punta con un set di movimenti più raffinato e il talento, quando è in giornata, di risolvere le partite con le sue giocate.

A livello realizzativo non raggiunsero mai l’eccellenza, anzi: il primo anno finirono tutti e due con 10 gol, gli stessi di Marchisio; mentre il secondo andò un po’ meglio (15 e 14 gol segnati in tutte le competizioni), ma comunque non riuscirono a segnare più di Vidal, miglior marcatore di quella stagione.




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