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Dario Vismara
10 anomalie statistiche dell’inizio di stagione NBA
01 dic 2017
01 dic 2017
Il primo quarto di regular season ci ha regalato diverse conferme, ma anche tante sorprese.
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Dario Vismara
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Il raggiungimento della boa delle venti partite giocate rappresenta un piccolo momento di svolta per gli appassionati di pallacanestro, e in particolare quelli che hanno una particolare attenzione per le statistiche avanzate. Un quarto di stagione è un campione di partite non definitivo, ma abbastanza significativo per cercare di analizzare più in profondità quello che si è visto finora sui campi della NBA. Il momento in cui si può parlare di trend e non di semplici stranezze.


 

Alcune delle cose che si scoprono spulciando l’indispensabile stats.nba.com sono note: i Golden State Warriors hanno il miglior attacco e il miglior Net Rating della lega (maddai?); gli Houston Rockets li seguono a ruota (duh); Boston sta facendo le sue fortune grazie alla difesa (magari non pronosticabile prima della stagione, ma comunque evidente anche solo a uno sguardo disattento) e la difesa dei Cleveland Cavaliers fa acqua da tutte le parti (pur avendo messo a posto le cose con la recente striscia di vittorie). Alcune cose, però, sono veramente sorprendenti: qui abbiamo provato a raccogliere 10 anomalie statistiche particolari o del tutto assurde che però in un certo senso raccontano il primo quarto di stagione.


 

Il caso di Marcus Smart che non segna mai e dei Celtics che vanno comunque alla grande


Tra i casi più assurdi spicca il rendimento di Marcus Smart, un’anomalia statistica talmente strana da ricordare la famosa frase del calabrone che non ha la struttura alare adatta al volo, ma lui non lo sa quindi continua a farlo. Sostanzialmente la guardia dei Celtics non ha le doti di tiro per essere una guardia con impatto positivo su una squadra NBA nel 2017, specialmente nella metà campo offensiva, dove sta tirando a livelli storicamente bassi con il 38% di percentuale effettiva su 10 tentativi a partita. Eppure i Celtics in attacco volano con lui in campo: il rating offensivo nei 30 minuti a partita con lui in campo è di 107.1, mentre quando non c’è crolla a 100.7 — un vero controsenso, visto quanto sta tirando male. Inoltre, è assurdo notare che Boston va benissimo proprio nelle giornate peggiori di Smart: quando tira sotto il 30% dal campo il loro record è un immacolato 11-0, mentre quando va sopra lo score va a 5-4.



Anche nella miglior prestazione al tiro della stagione (6/9 da tre), i Pistons lo hanno lasciato completamente solo — anche perché paradossalmente è conveniente. La percentuale da tre di Smart, infatti, diminuisce tanto più è lontano l’avversario: tira con il 46% da tre quando l’avversario è entro un metro da lui, mentre la percentuale precipita al 28% quando è smarcato e al 24% quando ha più di due metri di spazio per tirare. Vallo a capire.


 

Di questa situazione hanno scritto tanto Matt Moore di CBS Sports quanto Chris Forsberg di ESPN, che hanno proposto interpretazioni ugualmente interessanti: il primo ha sottolineato quanto gli avversari, specialmente nelle prime partite, lo marcassero come un tiratore normale, uscendo su di lui o passando sopra i blocchi, offrendo quindi conclusioni ancora migliori per gli altri giocatori dei Celtics; il secondo ha sottolineato l’impatto assurdo di Smart nella metà campo difensiva (solo 96 punti concessi su 100 possessi con lui), dove tende ad impegnarsi ancora di più proprio quando le cose vanno male, ispirando i suoi compagni con la sua incredibile attività su ogni pallone. Fatto sta che coach Stevens anche nelle giornate in cui Smart non azzecca nulla — come la signature win di questa stagione, la vittoria casalinga contro i Golden State Warriors — si fida di lui incondizionatamente e non si giocherebbe mai un finale di gara senza il suo uomo-guida.


 

Le due facce dei Boston Celtics


I Celtics in questo momento hanno il miglior record della NBA grazie a una striscia di 16 vittorie senza alcuna sconfitta. La cosa davvero particolare della loro stagione è che hanno avuto andamenti da Dottor Jekyll e Mr. Hyde tra un tempo e l’altro: nei primi tempi i Celtics sono stati la 21esima squadra della NBA per Net Rating, con un attacco ampiamente sotto la media (97.2 punti su 100 possessi) e una difesa solo decente; al contrario, nei secondi tempi hanno obliterato il resto della lega inanellando una rimonta dietro l’altro, tanto che il loro Net Rating in questo inizio di stagione decolla fino a un assurdo +15.2, secondo solo a quello dei Golden State Warriors.


 

Il miglioramento è più offensivo che difensivo, e diventa ancora più accentuato nel cosiddetto crunch time (ultimi 5 minuti di partita, punteggio entro 5 punti): in questa stagione i Celtics si passano molto meno il pallone rispetto allo scorso anno (da 325 a 289 passaggi a partita), anche per accomodare la presenza di un passatore riluttante come Kyrie Irving che demanda le maggior parte delle responsabilità di playmaking ad Al Horford e nei finali di gara si concentra a distruggere le difese avversarie, riuscendoci in grande stile (primo davanti a LeBron James per punti totali in the clutch a quota 65). Nei 55 minuti di crunch time disputati finora l’attacco di Boston ha prodotto 123.7 punti su 100 possessi concedendone 102.7, posizionandosi al 8° posto con un Net Rating di +21.0. Considerando che molti di questi minuti sono arrivati rimontando scarti in doppia cifra, non è difficile capire l’assurdità e la grandezza di quello che stanno facendo i biancoverdi in questa stagione. La domanda è: può continuare così per 82 partite e i playoff?


 

Le difficoltà dei Thunder nel chiudere le partite


Una squadra che invece sta andando malissimo nei finali di gara tirati sono gli Oklahoma City Thunder, che solo lo scorso anno grazie al Russell Westbrook Show erano invece in cima alla classifica dell’efficienza quando la gara era agli sgoccioli (+19.9, solo gli Spurs meglio). In sede di pre-season era prevedibile che la coesistenza dell’MVP in carica con due giocatori del calibro di Carmelo Anthony e Paul George nella metà campo offensiva potesse presentare dei problemi (poi puntualmente verificatasi), ma se c’è una cosa che ha funzionato in queste prime 20 partite è la difesa, che li vede al terzo posto per rating pur avendo un attacco solo mediocre, ma abbastanza buono da avere l’ottavo miglior Net Rating della NBA (+2.4).


 

La cosa realmente preoccupante però è che quell’efficienza difensiva scompare totalmente quando si decide la partita, momenti nei quali la difesa di OKC si trasforma in uno scolapasta: i Thunder concedono la quota astronomica di 138.7 punti su 100 possessi agli avversari, con un Net Rating di -42.2 in 37 minuti. Avere problemi nel suddividere palloni, possessi e responsabilità è un processo lungo che tutte le squadre devono affrontare nel momento in cui decidono di mettere assieme tre stelle nella metà campo offensiva, ma è assurdo che una squadra così forte in difesa si scordi come si fa quando bisogna chiudere la gara. La percentuale di palle perse forzate agli avversari — il punto di forza di OKC grazie a una lunghezza di braccia sterminata e una generale superiorità atletica nei confronti dei diretti avversari su tutte le cinque posizioni — passa da 18.6 (primissimi) al 12.6 (sotto la media) non appena bisogna fare sul serio.


 

Una delle spiegazioni potrebbe essere in una banale questione di stanchezza: lo stile difensivo impostato da Billy Donovan è estremamente redditizio ma anche fisicamente massacrante, visto che bisogna cambiare continuamente e rimanere attivi contro i mismatch e le linee di passaggio. Quando funziona, i Thunder vanno alla grande e volano in contropiede; quando non funziona e devono giocarsela fino alla fine, vanno in apnea per via dello sforzo prodotto. Migliorare le rotazioni e gestire la fatica è un imperativo per Donovan tanto quanto trovare il modo di far coesistere quei tre in attacco.


 

Lakers e Portland difendono alla grande


Scorrendo la classifica dei rating difensivi migliori è impossibile non notare i nomi di due squadre che sostanzialmente non dovrebbero trovarsi in top-10: i Los Angeles Lakers (ottavi) e i Portland Trail Blazers (secondi). Ma se per i primi si può giustificare il miglioramento da un anno all’anno con i cambiamenti che ci sono stati nel roster — specialmente sul perimetro, dove si è passati da D’Angelo Russell e Nick Young a Lonzo Ball e Kentavious Caldwell-Pope, migliorando quasi di default —, il caso di Portland è invece curioso.


 

Fino allo scorso anno la squadra guidata da Damian Lillard e C.J. McCollum era nota soprattutto per essere offensivamente molto buona (11esimi), con due giocatori in grado di piegare qualsiasi difesa al loro volere grazie a un range di tiro pressoché illimitato. Le mancanze difensive (solo 21esimi per rating) erano però il vero cruccio di chi li osservava, visto che sembravano incapaci di produrre un qualsiasi tipo di stop difensivo quando più ce n’era bisogno. Quest’anno invece i Blazers hanno il secondo rating difensivo della lega e nei finali di gara (che hanno giocato più di tutti con 61 minuti complessivi) tengono gli avversari a 91.8 punti su 100 possessi, buono per il 5° posto nella NBA.


 

Una delle spiegazioni, però, è da ricercare nel calendario, che fino a questo momento è stato il più semplice di tutta la NBA. I Blazers non hanno affrontato nessuno dei migliori attacchi della lega: né Minnesota, né Cleveland, né Houston, né Golden State. Solo una volta hanno affrontato Toronto, perdendo. La prova del nove sulla reale consistenza di Lillard e compagni arriverà la prossima settimana, quando affronteranno Rockets e Warriors in rapida successione.


 

La miglior squadra da tre della lega è… Indiana?


Rimanendo sul tema di “Squadre che pensavamo scarse in una metà campo e invece stanno mettendo a ferro e fuoco la lega”, il caso degli Indiana Pacers spicca particolarmente. Un po’ tutti li avevamo dati per morti dopo l’addio forzato a Paul George da cui erano riusciti a ricavare solamente Victor Oladipo e Domantas Sabonis, ma proprio loro due hanno avuto un impatto totalmente inaspettato, trascinando di peso i Pacers fino a un record positivo (12-10) ma sopratutto fino a un impronosticabile sesto posto per rating offensivo (107.7 punti su 100 possessi).


 

La cosa più carina che si poteva dire di Indiana dopo lo scambio di PG13 è che avrebbero potuto — forse, magari, con molta fortuna — mantenere l’anima difensiva che li aveva portati ai playoff, ma che mai avrebbero potuto mettere assieme abbastanza punti per essere competitivi nella metà campo offensiva. E invece Indiana è la miglior squadra da tre dell’intera lega, tirando un eccellente 40% di squadra grazie alle vene di Oladipo e Bojan Bogdanovic, i due tiratori dal volume maggiore che stanno mantenendo una percentuale attorno al 45% dall’arco, seguiti da Cory Joseph (47% su 2.5 tentativi) e Myles Turner al 38% (nonostante i problemi di infortuni), con i vari Darren Collison (37%) e Thaddeus Young (34%) a tenere comunque percentuali che costringono le difese a rispettarne il jumper.


 


 

 

Quando poi ti entrano anche cose del genere salendo a 11/11 per aprire la partita puoi anche permetterti di fare spallucce come Michael Jordan.


 

I Pacers sfruttano più la minaccia del tiro da tre che la reale esecuzione, visto che sono solo 24esimi per tentativi su 100 possessi, selezionando con cura quali giocatori possono tirare da lontano e quali no. Emblematico sotto questo punto di vista il caso di Sabonis, che fino allo scorso anno era utilizzato da stretch 4 a OKC (complice la presenza di Steven Adams da 5) e che invece quest’anno sta giocando alla grande da centro dinamico, eliminando quasi del tutto le conclusioni dall’arco (solo 0.6 a partita, pur realizzate con il 45%) e vedendo la sua percentuale impennare dal 45% al 57% effettivo dal campo, con ben tre partite immacolate in stagione (7/7 contro Minnesota ripetuto anche contro Brooklyn, con la ciliegina del 9/9 contro San Antonio).


 

Chicago alla caccia della parte sbagliata della storia


Per una squadra che sta riuscendo a sopravvivere dopo l’addio della sua stella, ce n’è un’altra sempre nella Central Division che invece è sprofondata negli abissi più profondi. I Chicago Bulls di Fred Hoiberg non solo stanno andando malissimo in classifica (peggior record della NBA con 3 vittorie e 16 sconfitte) o in difesa (108.4 su 100 possessi, terz’ultimi), ma è soprattutto in attacco che stanno cercando di iscriversi a un club esclusivissimo. Utilizzando l’imprescindibile motore di ricerca di Basketball-Reference.com — che ha una definizione di possessi leggermente diversa rispetto a quella di stats.nba.com, ma che con il suo database ci permettono di scavare nella storia della lega — si scopre che ci sono state solamente dieci squadre nell’era post-Michael Jordan (versione Chicago) in grado di andare sotto al 96.7 di oRtg dei Chicago Bulls di questa disperata stagione.


 

La cosa realmente assurda è che tra queste dieci squadre il nome dei Bulls appare ben quattro volte: le due stagioni post-MJ (e ci mancherebbe), quella del 2003-04 (in cui fece una comparsata persino il 38enne Scottie Pippen) e quella attuale. Come a dire: piove sempre sul bagnato — come dimostrato dalla presenza dei Philadelphia 76ers versione 2014-15 in piena era Sam Hinkie (aveva appena selezionato Joel Embiid e Dario Saric al Draft sapendo benissimo che non avrebbero giocato prima di un paio di anni) e degli immortali Charlotte Bobcats dell’Infamia, quelli dalla peggior percentuale di vittorie nella storia della lega su singola stagione (10.6%, salvandosi solo perché si trattava dell’anno del lockout con la stagione accorciata a 66 partite).


 

Quello che deve far sperare i tifosi dei Bulls affinché un giorno tutto questo dolore abbia senso, è che alcune delle squadre presenti in questa lista hanno poi trovato un bel regalo sotto l’albero del Draft. È il caso dei Cleveland Cavaliers, dei Denver Nuggets e dei Miami Heat, che nella storica annata 2002-03 hanno cercato di fare il più schifo possibile per arrivare a un ragazzino di Akron di cui forse poi avete sentito parlare. Ci riuscirono solo i primi, ma le altre due — ringraziando Joe Dumars e Darko Milicic — si consolarono con Carmelo Anthony e Dwyane Wade. Chiudono la lista i Toronto Raptors, che pur avendo un Chris Bosh al secondo anno in NBA andarono davvero male — trovando però solo l’immortale Rafael Araujo ad attenderli al Draft, così come i Bulls che selezionarono Ben Gordon con la terza assoluta. La speranza di questa versione di Chicago è di finire come le tre sopra invece di queste ultime due, ma il Draft non è mai una scienza esatta.


 

Pau Gasol ha il miglior Net Rating degli Spurs (sul serio)


Questa anomalia è stata trovata grazie a una mail di un nostro lettore, Stefano, che ringrazio perché mi era totalmente sfuggita: il miglior giocatore per Net Rating dei San Antonio Spurs non è LaMarcus Aldridge, come sarebbe facile visto il modo in cui sta tenendo su la squadra in assenza di Kawhi Leonard, ma il quasi 38enne Pau Gasol, il caro, vecchio, semi-immobile Pau Gasol. Sul serio: con lui in campo San Antonio passeggia sui suoi avversari con un margine di 8.6 punti su 100 possessi (107.1 in attacco e 98.4 in difesa), mentre quando non c’è vengono battuti di quasi 2 punti su 100 possessi (102.6 - 104.5). In generale, Basketball-Reference lo pone in top-20 per Defensive Rating e decimo per Defensive Box Plus-Minus.


 


 

 

Gasol si muove in area in maniera quasi ridicola, con queste braccia sempre alzate, ma provate voi a tirare quando avete la vista oscurata dai rami di un albero.


 

La cosa che mi fa storcere il naso riguardo a queste statistiche è che alla prova degli occhi Gasol non sembra così determinante per le sorti dei suoi, risultando anzi a tratti più un danno che un fattore. La risposta secondo me è da ricercare nei minutaggi: pur partendo in quintetto e avendo come riserva King Joffrey Lauvergne, Gasol è solo il quinto giocatore più utilizzato da Popovich, che lo ha tenuto in campo per 539 minuti e accanto a sé per 469. Di sicuro c’è un po’ di attenzione riguardo la sua salute fisica, aspetto sotto il quale gli Spurs sono da sempre attentissimi, ma la mia deduzione è che il coaching staff di San Antonio stia selezionando con estrema attenzione quando tenerlo in campo e quando no, di fatto facendogli giocare solo i minuti in cui è sostenibile in difesa — metà campo nella quale deve sostanzialmente fare il vigile del traffico in mezzo all’area, facendosi trovare con le braccia alzate per sfruttare tutta l’estensione dei suoi 216 centimetri di altezza e forzare gli avversari all’errore sfruttando la sua superiore intelligenza cestistica.


 

Non appena l’accoppiamento diventa insostenibile, Gasol viene tolto immediatamente dal campo, il che succede principalmente quando gli avversari sono più pericolosi e/o talentuosi (da cui si spiega il rating difensivo peggiore). L’assenza prolungata di Parker e Leonard, poi, ha indebolito la panchina, che dovendo fare a meno di Patty Mills e Kyle Anderson è risultata molto meno incisiva rispetto al passato, perdendo un maggior numero di punti rispetto a quanto succedeva fino all’anno scorso quando era la migliore della NBA — facendo risplendere ancora di più i minuti in cui Gasol osserva dalla panchina.


 

Charlotte finisce nel Sottosopra senza Kemba Walker


Quello del Net Rating con o senza un giocatore in campo è uno dei temi più interessanti quando si cerca di andare in profondità nella spiegazione delle squadre, anche solo per scoprire il perché di certe variazioni. Il caso di Kemba Walker e degli Charlotte Hornets, in particolare, spicca per la sua particolarità anche se non si tratta di una vera e propria novità, visto che succedeva già lo scorso anno. In questo primo quarto di stagione, però, si stanno sbloccando nuovi livelli di assurdità: con il prodotto di UConn in campo la squadra di coach Clifford va alla grande, con un attacco da top-5 (109.9 su 100 possessi) e una difesa più che accettabile (102.2) per un solidissimo Net Rating di +7.8. Non appena Walker va a sedersi per il meritato riposo, però, gli Hornets si trasformano in Will Byers che viene posseduto dal Mind Flayer del Sottosopra, sprofondando negli abissi di un Net Rating di -18.3, frutto di un pessimo 93 di rating offensivo (con un terrificante 43% di percentuale effettiva) e concedendone 111.4 in difesa.


 

Di sicuro sulla situazione influisce la mancanza di una vera e propria alternativa nel suo ruolo (il rookie Malik Monk si è rivelato ancora troppo acerbo per farne le veci e Michael Carter-Williams, beh, è Michael Carter-Williams) e l’assenza prolungata di Nicolas Batum, che ha saltato il primo mese di regular season e ancora adesso, dopo una ricaduta, è alle prese con un gomito malconcio. Come se non fosse abbastanza, anche Walker è alle prese con un infortunio alla spalla che lo ha tenuto fuori nelle ultime partite: le tre sconfitte consecutive degli Hornets e il loro record di 8-12 non promettono bene per riuscire a sconfiggere il Mind Flayer del Sottosopra.


 

L’improbabile duo Kyle Korver-Dwyane Wade


A proposito di panchine e di veterani, chiudiamo con quest’ultimo dato non esattamente prevedibile. La miglior coppia della NBA per Net Rating in questo momento sono James Harden e Eric Gordon, cosa comprensibile visto che giocano nella squadra col miglior record nella Western Conference e in un sistema fatto apposta per esaltare le loro caratteristiche, oltre che conoscersi già dall’anno scorso. Ben più impronosticabile è però il secondo posto occupato da Dwyane Wade e Kyle Korver, che quando giocano insieme producono un Net Rating di +21.3 per i Cleveland Cavaliers che, su base stagionale, sono solamente a +2.1, cercando di risollevarsi dopo un inizio complicato.


 

Una delle motivazioni per cui sono riusciti a rimettersi in carreggiata, oltre ovviamente a LeBron James, è da ricercare proprio nelle prestazioni e nella chimica dei due veterani — che prima di questa stagione, pur essendo dello stesso Draft, si sono affrontati solo 36 volte da avversari (peraltro con record di 20-16 in favore di Korver). Wade, dopo aver capito in fretta che non aveva senso partire da titolare, si è calato molto bene nella parte di playmaker di fatto del secondo quintetto: la maggior parte dei sui passaggi finisce ovviamente nelle mani di LeBron James (8.7 a partita) e un’altra buona fetta delle sue assistenze va a Jeff Green (6.2), ma il giocatore a cui fa più assist (0.9 a partita) è proprio il vecchio Korver, che alla soglia dei 37 anni tira ancora con il 47% in catch&shoot, risolvendo ben più di un problema con il suo continuo movimento lontano dalla palla — e venendo puntualmente servito da Wade, con cui ha sviluppato una grande intesa.



Uno degli schemi classici della second unit dei Cavs: passaggio consegnato di Green per Korver, che se non ha un tiro facile la lascia a Wade e aspetta il blocco di un altro grande tiratore come Channing Frye, mettendo in difficoltà la difesa che non può lasciare spazio a nessuno dei due. Il passaggio di Wade arriva con tempi perfetti: dalla punta Korver tira con il 56% in stagione, il risultato è automatico.


 

I quintetti assurdi dei Detroit Pistons


I Detroit Pistons sono una delle storie più interessanti di questa stagione visto che stanno andando ben oltre le aspettative grazie a un record di 14 vittorie e 6 sconfitte (buono per il secondo posto a Est), oltre a giocare in una nuova arena in cui non va nessuno a vederli. Andando a vedere i loro quintetti più utilizzati, poi, si scopre una verità sorprendente: il loro quintetto base, quello formato da Reggie Jackson, Avery Bradley, Stanley Johnson, Tobias Harris e Andre Drummond, non solo ha giocato 291 minuti (223 più di qualunque altro), ma ha anche un Net Rating fortemente negativo con -5.9, concedendo 113.5 punti su 100 possessi in difesa. Inserendo Ish Smith al posto di Jackson, poi, vanno ancora peggio con un incredibile -35.9 su 100 possessi, andando peraltro malissimo a rimbalzo pur avendo sempre in campo Drummond. Come fanno allora ad avere il secondo miglior record a Est con un andamento del genere su così tanti minuti?


 

La risposta è da ricercare nella panchina, e in particolare nelle prestazioni di tre giocatori insospettabili come il giramondo Langston Galloway, il veteranissimo Anthony Tolliver e il rookie Luke Kennard. Loro tre infatti vantano dei Net Rating assurdi, rispettivamente di +16.7, +12.6 e +9.6, i migliori di tutta la squadra tra i giocatori con almeno 100 minuti giocati. Le loro prestazioni hanno permesso alla panchina della squadra di Stan Van Gundy di posizionarsi al quarto posto nella lega, dietro solamente a quella di Toronto, Golden State e Houston, mentre i titolari si posizionano solamente a un mediocre 17° posto.


 

 

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