Questa è la terza puntata di X&Os, la rubrica in cui analizziamo gli schemi più utilizzati e le situazioni di gioco create dalle squadre NBA. Qui potete trovare la prima e la seconda puntata.
Quando parliamo di centri, con ogni probabilità la prima cosa che ci viene in mente sono dei perticoni che stanno a prendere (e dare) botte sotto canestro, retaggio di un basket antico in cui i giocatori più alti scandivano i ritmi del gioco, in attacco ed in difesa, dominando nei pressi del ferro.
Nel 1998 l’arrivo in NBA di tale Dirk Nowitzki è stato un cambiamento epocale: il tedesco dei Dallas Mavericks è stato il primo di una lunga serie di giocatori oltre i 210 centimetri in grado di tirare da tre punti, passare, andare al ferro in palleggio e, in generale, avere un impatto innovativo sul gioco, facendo cose che fino a quel momento erano di competenza solo delle guardie.
Da quel preciso momento per un lungo NBA (ma anche a livello mondiale) avere questa doppia dimensione interna/perimetrale ha significato cambiare completamente le geometrie, i tempi e gli spazi del gioco, sia offensivi che difensivi, contribuendo a creare i presupposti per il basket moderno che strizza l’occhio alla sabermetrica dei tiri ad alta percentuale e punta ad avere le aree sgombre.
La nuova generazione di lunghi, emuli inconsapevoli del tedesco da Würzburg, può spingere il gioco in nuove direzioni, abbinando alle doti balistiche (oramai semi-imprescindibili per un lungo) un trattamento di palla idoneo a renderli una minaccia costante da oltre l’arco anche in fase di costruzione del gioco.
Nikola Jokic è l’erede tecnico di due grandi specialisti del passaggio come Vlade Divac e Arvydas Sabonis: la sua ascesa ai Denver Nuggets è stata perentoria e oggi non c’è più da stupirsi delle sue triple doppie dirigendo il gioco dal suo scranno localizzato sul post alto.
La palla ormai passa così tanto dalle sue mani che Mike Malone, per metterlo a suo agio, è ricorso alla 5 Out Motion che abbiamo già analizzato nel primo pezzo di X&O. Se i Celtics la utilizzano sostanzialmente per mettere dinamicamente la palla in mano a Thomas o per favorire il movimento di palla, i Nuggets di Malone giocano questa motion per muovere gli uomini ricorrendo ai principi cardine della Princeton Offense, ovvero i tagli verso la palla, ma soprattutto quelli backdoor.
Questo incessante movimento permette a Jokic di dare sfogo al suo QI cestistico, pescando il compagno libero con passaggi da “globetrotter” che, nella sostanza, sono la più banale forma di collaborazione offensiva: dei semplici dai-e-vai.
Le sue doti di passatore hanno permesso a Malone di dare una nuova dimensione all’attacco dei Nuggets sfruttando il talento serbo in una zona di campo che permette di liberare spazio in area portando lontano dal ferro un rim protector.
Jokic blocca per il bloccante del pick & roll e da quel momento si entra nel vivo del gioco: l’obiettivo di tale movimento è quello di far compiere alla difesa una scelta netta, e in entrambi i casi è inseguire sul primo blocco e fare “show” sul secondo, liberando un quarto di campo per il taglio a canestro di Danilo Gallinari. Una situazione preventivata dai Nuggets, che subito usano Jokic come sponda per una sorta di alto/basso dinamico concluso con due alley-oop.
A Boston Stevens ama gli attacchi di movimento in cui tutti e cinque i giocatori sono coinvolti, come questa Motion basata sulla Flex Offense con partenza Horns, tipico di molte squadre NBA.
Palla ad uno dei due lunghi al gomito, blocco cieco del lungo senza palla, passaggio gomito-gomito e si entra nella Flex che prevede un blocco cieco orizzontale sul lato debole con il bloccante che subito dopo sfrutta un blocco verticale.
Nella prima delle due sequenze Horford pesca Crowder sul primo blocco, nel secondo caso i Celtics usano una variante con un doppio blocco cieco di Thomas – prima orizzontale, poi verticale – per Brown che viene servito in alley oop. Al Horford è un centro moderno tuttofare, in grado di fare blocchi, avvicinarsi a canestro, tirare da fuori e aiutare nella costruzione del gioco, senza la fantasia di un Jokic nel pescare il compagno libero, senza la scioltezza tecnica di un Marc Gasol o un DeMarcus Cousins, ma facendo le cose in modo concreto, senza fronzoli come dimostrano queste due letture basiche effettuate con due banali passaggi sopra la testa. Che alla fine valgono sempre due punti come un assist no-look.
Con la pletora di lunghi perimetrali, complementari e dotati di QI cestistico che si ritrovano i Celtics è facile creare situazioni di vantaggio seguendo il flusso del gioco, senza chiamare schemi, semplicemente giocando negli spazi che si creano leggendo la difesa e reagendo di conseguenza. In due parole: “Read & React”.
Pick & roll laterale tra Bradley e Horford, gli altri tre giocatori spaziati in angolo. Gli Hornets fanno “ice” sul gioco a due, ovvero mandano il palleggiatore sul fondo per comprimere gli spazi dell’attacco ma Horford fa “pop”, ovvero si apre sul perimetro invece che tagliare a canestro. Questo innesca la rotazione difensiva dei calabroni che Olynyk legge per andare a rubare lo spazio lasciato libero in area. Quando Horford riceve, lontano dalla palla si presenta un 3 vs 2 con i giocatori di Boston perfettamente spaziati e l’alto/basso tra il centro da Florida e Olynyk produce un canestro facile.
I Pelicans appena dopo l’All Star Game disputato in casa, hanno piazzato il colpo più altisonante della trade deadline con l’acquisizione di DeMarcus Cousins che assieme a Anthony Davis forma una coppia di lunghi moderni e versatili in grado di giocare indifferentemente dentro/fuori.
I due sono amici da tempo e hanno condiviso la stessa alma mater, ma per sviluppare l’intesa cestistica ci vorrà del tempo: John Schuhmann, il guru delle statistiche di NBA.com, ha pubblicato un dato allarmante secondo cui i Pelicans rendono più quando Cousins è fuori che in qualsiasi altra combinazione. Se son rose fioriranno, ma nel frattempo Alvin Gentry per calare il nuovo arrivato negli schemi dei Pelicans lo sta utilizzando molto fronte a canestro come facilitatore dell’attacco.
Palla a Cousins al gomito alto della lunetta e movimento standard sul lato forte, con il play che scende a bloccare il giocatore in angolo. Ma quello che interessa a noi è ciò che accade sul lato debole, ovverosia l’indicazione che Gentry dà all’esterno che sfrutta il blocco di Davis: nelle due clip Solomon Hill sfila e gira a ricciolo sul blocco per dare modo a Davis di aprirsi verso la palla e duettare con l’amico, sfruttando gli spazi creati.
Doppio pick and roll alto sfruttato sul lato di Davis, che rolla a canestro sigillando dietro di sé il difensore sul cambio. Anziché andare subito a servire “The Brow” in una situazione di pessime spaziature con due difensori sul lato debole già “flottati” e pronti a intervenire, Holiday manda la palla in punta a Cousins che attira fuori dall’area il centro dei Mavs, rimasto a presidiare l’area. Solo in quel momento serve dentro il compagno di reparto che può giocare così un uno contro uno in situazione di vantaggio contro un difensore più basso.
Nonostante il passaggio da Dave Joerger a David Fizdale, i Memphis Grizzlies non hanno cambiato stile di gioco: sarebbe da folli rivoluzionare tatticamente una squadra che fa del gioco interno il proprio punto di forza ed ha in Gasol e Randolph una coppia affiatata. Ecco perché nel playbook dell’ex assistente dei Miami Heat sono privilegiate le situazioni di alto/basso. Qualunque gioco venga chiamato, uno degli obiettivi tattici dei Grizzlies è quello di ricreare le condizioni per un allineamento tra lunghi che permetta un gioco a due di questo tipo:
Passaggio in ala a un esterno a seguito di un blocco e Randolph che inizia subito lavorarsi il suo marcatore diretto per creare una linea di passaggio sicura che gli spiani la strada verso il canestro, ben sapendo che lo spagnolo occuperà il post alto e cercherà il passaggio sotto. Il lavoro di corpo e di piedi del numero 50 in maglia Grizzlies è un trattato di pallacanestro che induce il difensore in una posizione di svantaggio.
Restando a Memphis, Tony Allen è il giocatore che identifica e impersonifica lo stile Grit & Grind dei Grizzlies ed è un caso più unico che raro: è una guardia di 193 cm con un tiro da fuori pressoché inesistente che non dovrebbe aver diritto di cittadinanza in una lega in cui il tiro da tre punti è così importante. Eppure riesce a produrre circa 9 punti a partita tirando il 75% delle sue conclusioni al ferro, perchè è un tagliante a livello di élite NBA. Ma ogni grande tagliante ha bisogno di essere servito da un grande passatore.
Partenza Horns con Gasol al gomito, il secondo lungo in angolo sul lato del centro spagnolo, un tiratore all’altro gomito e Allen in angolo sul lato debole. Come la palla finisce nelle mani del catalano, Allen sprinta a portare un blocco in allontanamento per il tiratore, poi taglia backdoor a canestro per ricevere libero in area sfruttando il “bug” difensivo che questo tipo di giocata provoca nelle difese avversarie. Fidzale è conscio del fatto che gli avversari fanno riposare i loro peggiori difensori su Allen che quindi, oltre ad essere coinvolto nel gioco, espone il suo marcatore diretto al centro dei riflettori. Non vi sorprendete se da questo Gasol-to-Allen i Grizzlies riescono a rubare almeno un canestro a sera.
I San Antonio Spurs fanno del dialogo tecnico tra lunghi uno dei propri punti di forza da quando coach Popovich siede sulla panchina dei texani. Il doppio drag è un movimento nato per mettere un esterno razzente nelle condizioni di nuocere nei primi secondi nelle azioni. Non è altro che un doppio blocco sulla palla che indirizza il palleggiatore a canestro e provoca una serie di situazioni letali per la difesa: innanzitutto il difensore sulla palla deve difendere su più blocchi, poi necessariamente si devono innescare una serie di rotazioni difensive che hanno il fine di mostrare un punto debole da poter colpire.
Gli Spurs hanno “convertito” questo gioco per essere fonte proficua di alto/basso tra i due lunghi coinvolti nel doppio blocco sulla palla.
Nelle due sequenze della clip l’ordine di scuderia di coach Lue è inseguire sui blocchi il portatore di palla e sull’ultimo blocco fare contenimento. Lee, l’autore del primo blocco, rolla a canestro, mentre Aldridge dopo il secondo blocco fa pop e mette quanta più distanza possibile tra sé e il suo marcatore, creando il vantaggio decisivo per l’attacco: in pratica una situazione di doppio pick and roll è diventato un 2 vs 1 tra i due lunghi e LeBron James, che prima esce su Aldridge lasciando l’area sguarnita per il passaggio alto/basso, poi – memore del risultato precedente, resta a metà strada – ma rimane comunque tagliato fuori dal gioco senza palla di Lee su cui deve spendere un fallo.
Giocatori così completi che uniscono ai pregi dei lunghi, le caratteristiche proprie dei playmaker come la visione di gioco, la capacità di creare gioco ed innescare i compagni, sono una risorsa che apre orizzonti finora poco esplorati e ricchi di nuovi sentieri di tecnica e tattica da percorrere.
Il ruolo di playmaker 5 al momento è in mano ai vari Horford, Cousins, Gasol, in un futuro (nemmeno tanto prossimo) sarà Jokic ad ereditare il testimone: i suoi lampi di talento sono accecanti, ma deve ancora toccare il prime della propria carriera e completare il suo gioco.
Noi in questo pezzo abbiamo solo grattato la superficie di un ruolo, quello di centro, che in molti davano per morto, e semplicemente si è dovuto adattare ad un basket diverso a quello con cui siamo cresciuti. Su questo argomento torneremo in futuro, per parlare dei Joel Embiid, Karl Anthony Towns, Kristaps Porzingis e Myles Turner – aka gli Unicorni che spingeranno ancora più avanti l’evoluzione del ruolo.