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Dario Saltari
L'ultima parola è sempre la sua
05 ott 2023
05 ott 2023
Matias Vecino ha risolto i problemi della Lazio con un altro gol di testa.
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Dario Saltari
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IMAGO / Sportsphoto
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C’è un modo di colpire di testa in area che appartiene solo a Matias Vecino. Nel gol di ieri contro il Celtic, che ha aperto le porte all’epica della rimonta finale, si è visto bene. Forse il dettaglio più significativo è che il calcio d’angolo inizialmente pensato da Luis Alberto, e che lui ha provato a indirizzare di fronte piena verso la porta, è stato ribattuto dalla schiena del granitico Liam Scales - enorme difensore irlandese che sembra provenire da un’altra epoca. Il centrocampista uruguaiano aveva fatto tutto benissimo: si era staccato dalla marcatura fintando una traiettoria di corsa molto larga e, dopo che il difensore del Celtic ci era cascato, si era infilato alle sue spalle, arrivando perfettamente in orario sul cross di Luis Alberto. Ma non è in questo modo che segna Vecino, che preferisce surfare sulle onde del caos.

È una caratteristica di molti suoi gol. Se ve li guardate uno dietro l’altro lo noterete: raramente, quando la devia in rete, la palla era veramente diretta a lui. Ieri, per esempio, il rimpallo sul primo colpo di testa ribattuto si impenna in area come quando nel basket l’arbitro lancia la palla in aria per dare il via alla partita, e a quel punto da dietro arriva Romagnoli, che salta per rimetterla in mezzo di testa. E anche qui bisogna chiedersi: il suo colpo di testa era un tiro? O aveva visto Vecino, nel frattempo finito a pochi metri dalla linea di porta, e ha cercato di servirlo? O ancora, come credo: ha semplicemente ributtato la palla di testa in avanti, orientativamente verso la mischia in area, perché aveva senso fare così? Perché c’era più probabilità che potesse succedere qualcosa? Comunque Vecino era proprio lì dove Romagnoli ha indirizzato la palla, finendoci in maniera credo non casuale, seguendo un suo percorso inconscio fatto di piccoli salti sul posto che lo hanno portato fino a lì, appena dentro l’area piccola, a saltare come un salmone che cerca di risalire una rapida senza venire mangiato dall’orso.

Certo, si potrebbe aprire una parentesi più ampia su cosa sia l'intenzionalità nel calcio. Si parla troppo poco, ad esempio, di quanto raramente si pensano traiettorie per il movimento contingente di un singolo calciatore, e di quanto invece più spesso si pensi in astratto, alla luce di tutte le ore di allenamento e dei movimenti senza palla studiati e della conoscenza dei propri compagni e della memoria muscolare accumulata negli anni, sperando poi che una traiettoria si incastri effettivamente con i movimenti dei compagni e degli avversari, nella realtà. Non sempre si lancia per qualcuno in particolare, insomma, più spesso si lancia nella zona dove ci si immagina o ci si sente che ci sia qualcuno. E Vecino, in quella zona, ci abita.

Ieri Vecino è partito da titolare, per la seconda volta consecutiva in Champions League, da vertice basso di centrocampo, nonostante avesse dichiarato non troppo tempo fa di non essere entusiasta di quella posizione. C'erano altri due giocatori che si sarebbero dovuti giocare il posto per quel ruolo, cioè Cataldi e Rovella, ed entrambi sedevano in panchina. È una scelta difficilmente spiegabile da parte di Maurizio Sarri, che in quella posizione di solito preferisce registi canonici, centrocampisti in grado di difendere palla spalle alla porta, giocare in maniera pulita sul corto, o a parete sui difensori, trovare linee di passaggio per superare la pressione avversaria. Vecino non sembra essere nulla di tutto questo: non ha un primo controllo delicato, ha poca visione di gioco, il suo punto di forza sono gli inserimenti in area. Perché Sarri lo mette lì nelle partite più importanti? Non mi sembra che nessuno gliel’abbia chiesto ieri sera.

Una prima spiegazione tattica è la presenza accanto a lui di un giocatore sempre più attratto dalla prima costruzione come Luis Alberto. Ieri si è visto a sprazzi: il numero 10 biancoceleste si abbassava in mediana e Vecino compensava alzandosi su una linea leggermente più alta, per dargli una soluzione in diagonale. In questo modo il centrocampo della Lazio diventava meno leggibile e quindi più efficace contro squadre molto aggressive in pressing, come il Celtic di Brendan Rodgers ieri sera.

Poi, però, c’è l’interpretazione mistica, se vogliamo chiamarla così. Siamo arrivati ormai alla terza stagione di Sarri, un allenatore famoso per la struttura e per il gioco ordinato della sue squadre, eppure la Lazio rimane una squadra del caos, che prolifera dei momenti in cui l’ordine si sfilaccia e l’entropia comincia ad avere un ruolo. Insomma, forse non c'è bisogno di ricordarlo, ma era arrivata al Celtic Park con un punto conquistato con un gol di testa del suo portiere all’ultimo secondo.

Nelle ultime stagioni abbiamo imparato ad apprezzare questo lato della Lazio, che, al di là degli allenatori che si susseguono sulla sua panchina, sembra sempre avere un’ultima carta da giocarsi nelle partite che pesano di più. Anche ieri la vittoria è arrivato con un gol - di nuovo di testa - di Pedro al 95esimo, dopo che al Celtic era stato annullato un gol per fuorigioco poco più di una decina di minuti prima. Vecino da questo punto di vista non è solo un centrocampista attento nelle letture difensive, in grado di coprire ampie porzioni di campo, intelligente nei movimenti senza palla, è soprattutto l’uomo che sembra vivere per questi momenti.

Gli anni scorsi questo ruolo era stato ricoperto soprattutto da Milinkovic-Savic, il faro a cui la Lazio guardava quando le opzioni tattiche erano terminate. Erano i momenti in cui la squadra di Sarri rimaneva tranquilla perché a quel punto bastava alzare il pallone verso il petto del centrocampista serbo. Ci avrebbe pensato lui a bullizzare la difesa avversaria, farla a pezzi, permettere ai suoi compagni di scorrazzare tra le sue macerie. Quest’anno, con la sua partenza e l’arrivo a centrocampo di giocatori più ordinati e associativi (come Rovella, Kamada e Isaksen), la Lazio sembra aver perso una parte di questa carica irriverente. Forse è per questo che Vecino ha assunto un ruolo più significativo nelle partite importanti, o contro avversari (come il Torino, contro cui è partito titolare) che cercano di paralizzarti con le marcature a uomo. C'è sempre bisogno di qualcuno che porti un po' di disordine.

Poche settimane fa, a mercato già chiuso, la Lazio aveva ricevuto un’offerta molto convincente per lui dalla Turchia. «Ero con mia moglie a preparare il primo giorno di scuola dei bambini, mi hanno chiamato perché il Galatasaray voleva comprarmi», ha raccontato Vecino, che forse, visto anche l’arrivo di Guendouzi, ci ha pensato seriamente. Inaspettatamente, però, Sarri ha bloccato tutto. «Lui mi ha detto che non c’erano possibilità, perché voleva che restassi. Da quel momento in poi non ho avuto altro da fare». Da fuori non è facile capire la scelta dell'allenatore toscano, se è solo perché l’offerta del Galatasaray è arrivata troppo tardi, o se è perché voleva comunque avere un’opzione in più a centrocampo a dispetto dell’attenzione maniacale di Lotito per i suoi conti. Vecino è quel tipo di giocatore che ti torna sempre utile in un modo o nell'altro, e uno di questi è segnando gol decisivi.

Vecino devia traiettorie sporche in rete, preferibilmente di testa, fin da quando è cominciata la sua carriera in Uruguay. Pur non essendoci prove video, Transfermarkt segnala ad esempio un gol del 2-2 al 90esimo contro il Peñarol nel 2011 e uno dell’1-0 contro i Wanderers al 95esimo nel 2013. Si può ricostruire la sua carriera solo raccontando i suoi gol. Nel 2015 all’Empoli, con un Sarri quasi identico in panchina, segnò al 93esimo il gol dell’1-1 contro la sua ex squadra, il Cagliari - un cross basso inevitabilmente bucato da Pucciarelli che Vecino si è andato a riprendere dall’altra parte dell’area con un movimento iniziato in un punto fuori dall’inquadratura, probabilmente dentro il cerchio di centrocampo. Con la maglia della Fiorentina, il centrocampista uruguaiano ha segnato due doppiette, entrambe contro le sue due future squadre: la prima contro la Lazio nella stagione 15/16, la seconda contro l’Inter nella stagione 16/17, in un incredibile 5-4.

L’apice è arrivato tra la fine della stagione 2017/18 e l’inizio della 18/19, con la maglia dell’Inter. Prima il gol del 2-3 all’81esimo contro la Lazio (tra l’altro anticipando Milinkovic-Savic) che portò di fatto i nerazzurri in Champions League. Poi quello contro il Tottenham in Champions League, in quello che è l’uber gol di Vecino, quello della garra charrua, dell’ultima parola degli uruguagi, dell’artiglio che graffia. Ancora una volta su una sponda (di de Vrij) messa in mezzo nella speranza che succeda qualcosa, ancora una volta dopo un movimento ad attaccare il primo palo finito quasi per caso in area piccola. Vecino, come dicevo, ha questo modo di colpire di testa in area tutto suo: letteralmente in testa a un avversario, anticipando forse sempre troppo il movimento, piegando il collo all’indietro per schiacciare la palla, come se ogni volta si dimenticasse di non aver bisogno di salire così in alto. Ogni volta atterra all’indietro sul sinistro, con una citazione inconsapevole di Kobe Bryant, tenendosi in equilibrio per miracolo.

La scorsa stagione Vecino è rimasto sostanzialmente ai margini della rosa di Sarri, ma non così lontano da essere ininfluente. A inizio stagione ha segnato due gol contro il Feyenoord, il secondo dei quali ricevendo un filtrante che in realtà era diretto a Immobile. Poi, in campionato, ha segnato contro la Fiorentina (ancora contro una sua ex o futura squadra), di testa, su calcio d'angolo, nascondendosi davanti al primo palo, e contro il Napoli, con un bellissimo tiro da fuori di contro balzo su una respinta troppo pigra di Kvaratskhelia. Di questi giocatori si dice che sono sempre al posto giusto al momento giusto ma a volte l’unica qualità di Vecino sembra semplicemente esserci, lì dove le cose accadono.

Vecino è ormai in Italia da più di dieci anni e non c’è mai stato un momento in cui è stato davvero protagonista. Non è certo il primo giocatore che viene in mente quando si pensa all’Empoli di Sarri o alla Fiorentina di Paulo Sousa, e anche all’Inter negli anni successivi ha avuto un ruolo sostanzialmente marginale. Eppure Vecino c’è sempre stato, le lucine di Natale mai tolte su quel balcone che guardiamo ogni giorno sulla strada che ci porta al lavoro. Da anni il suo lavoro è principalmente questo: trasformare in gol i palloni che non sono di nessuno. Gli allenatori se lo tengono accanto sperando che la sua sola presenza faccia accadere qualcosa, lui sembra giocare solo per questo. «Segnare in momenti così importanti mi rende felice», ha detto ieri sera.

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