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Emanuele Atturo
Provedel, all'improvviso
20 set 2023
20 set 2023
Il momento più incredibile della prima giornata di Champions League.
(di)
Emanuele Atturo
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Sei il tifoso di una squadra che non gioca la Champions League da tre anni. L’ultima volta non potevi andare allo stadio perché c’era una pandemia globale. E allora gli anni di assenza dalla Champions League diventano 16. Ora sei all’Olimpico, in mezzo a cinquantamila spettatori, e stai guardando la Lazio perdere una partita faticosa e sfortunata. Hai accolto l’allenatore avversario con uno striscione caloroso, poi hai preso gol al primo tiro deviato. Un tiro velleitario che chissà dove sarebbe finito, se una gamba di Kamada non avesse spiazzato il portiere. È il 95’, l’ultimissimo minuto di recupero, e poco prima Danilo Cataldi aveva sfiorato il palo con un tiro secco che è stato deviato il minimo. Ora c’è questo calcio d’angolo che è l’ultimo calcio d’angolo di una sconfitta che hai già iniziato a digerire. Un’azione che è già in una specie di limbo, tra quella partita e una sconfitta già certificata. Il calcio d’angolo delle preghiere e della disperazione, un momento distaccato dalla grammatica della partita. Invochi coi tuoi vicini l’arrivo di Ivan Provedel, il portiere, in area di rigore, e Provedel in effetti compare. Lo inquadrano mentre si aggira incerto ai limiti dell'area, come quegli animali selvatici che si ritrovano di notte nei cortili dei paeselli a valle. E tu non sai perché ma quando vedi la sua maglia gialla, diversa da tutte quelle dei giocatori di movimento, diversa dai colori sociali del club come per rimarcare che il portiere è un’entità a sé stante («Era vestito meglio e stava fermo» dicevano i Bluvertigo), senti rinascere in te una vaga speranza. Una speranza insensata, certo, perché hai visto altre volte quella situazione e non è mai andata come speravi. Una speranza che nutri proprio verso qualcosa che sai che è impossibile, come una speranza ottusa che il mondo sappia smentire sé stesso. Il portiere non ha mai colpito quell’ultimo pallone, segnato quel gol enfatico e disperato, dimostrato che tutto è possibile. È successo, ma pochissime volte. Eppure sale quella speranza che ha più a fare con l’eccitazione, col fascino del caos, con l’idea che qualcosa di assolutamente imprevedibile e irrazionale ogni tanto può succedere.Guardi quel calcio d’angolo di Cataldi e speri fortissimo che la palla finisca a Provedel. In area di rigore il portiere si muove impacciato e spaventoso. Veste colori accesi e porta i guanti alle mani. In un ambiente non suo introduce i vantaggi dell’entropia. È un corner corto, però, che non si alza e viene respinto sul primo palo. Siamo dieci secondi oltre la fine tecnica di una partita ormai sfociata nel caos. La disperazione della squadra che sta perdendo ne affina la concentrazione all’estremo, mentre la squadra che deve difendere il risultato fatica a restare con la testa sul campo. È il momento in cui chi non ha più nulla da perdere cerca di sfruttare la paura di chi invece ha tutto da perdere. Il calcio non somiglia nemmeno più a sé stesso; ogni razionalità viene abbandonata e l’area di rigore è un groviglio di corpi stanchi e incerti che devono in qualche modo trascinarsi alla fine, reagire a un altro pallone che forse arriverà dalle loro parti.Isaksen chiede un calcio di rigore per un fallo di mano. C’è qualche protesta, i giocatori dell’Atletico alzano le braccia, per chiedere il fischio finale? Hermoso spazza in modo così stanco che la palla nemmeno esce. Cataldi la recupera e fa una cosa davvero difficile in quel momento: rifiuta il cross precipitoso, alza la testa e vede Luis Alberto solo al limite sinistro dell’area di rigore. Lasciare il numero dieci della Lazio libero con tutto quello spazio è una follia ammissibile solo in quel momento in cui ormai non vale più nulla. È allora che ti accorgi di nuovo di quel corpo giallo che si muove in area, ma non è più confuso, corre deciso e dimenticato da tutti verso il punto dell’area di rigore dove immagina gli arriverà la palla. Il cross di Luis Alberto è perfetto perché incrocia esattamente la sua corsa. «Di solito Luis Alberto da lì tira sul secondo palo, sono andato un po' alla disperata e sono stato fortunato». Provedel stringe il suo corpo per colpirla con la fronte e poi lo lascia andare per indirizzarla, in un lieve volo fatto senza usare le mani. Il tiro prende in controtempo l’altro portiere, Oblak - due pedine che non dovrebbero mai incrociarsi, come i re negli scacchi. La foto, da dietro, ha una sua potenza scenica.

Per gli amanti della numerologia: Provedel, col numero 94, ha segnato mentre il cronometro segnava il minuto 94. È alto un metro e 94 ed è nato nel 1994. «Il numero 94 rappresenta nuovi inizi e trasformazioni. Viene inviato dagli angeli a coloro che hanno una personalità forte, sono concentrati e motivati, ma sono anche profondamente spirituali». Così dice un sito che ricerca significati angelici nei numeri.

Forse c’è un brevissimo momento, che esiste solo nella sua scomparsa, in cui ti stai rendendo conto di quello che sta per succedere. Subito sprofondi nella felicità sconvolgente che solo lo sport, portato alle sue possibilità emotive estreme, può regalare. La sensazione che quell’incosciente speranza finale era in realtà ben riposta, che si è compiuta pur nella sua insensatezza. Un certo senso di benedizione che si prova quando la cosa più bella e pazza che può succedere su un campo è capitata proprio a te.La natura a basso punteggio del calcio è dove viene coltivata tutta la nostra noia, la nostra frustrazione. Un certo senso di irreversibilità delle cose. Al contempo però è anche dove coviamo la vaga fiducia che quella natura possa essere in ogni momento smentita, che qualcosa di inatteso possa arrivare a riscattare tutto - a ricordarci quello stupido detto che “la palla è rotonda”, e quindi rotola e fa succedere cose che non sono sempre in nostro controllo. Succede raramente ed è quella rarità che rende questi momenti così intensi, così rivelativi. Un risarcimento di tutto il tempo che buttiamo dietro a questo sport così indifferente ai nostri desideri di felicità. È quella speranza incosciente che ci fa immaginare rimonte impossibili mentre la nostra squadra sta facendo schifo e sembra non dare segni di vita. E mentre ci chiediamo perché stiamo dedicando così tante energie, così tanto entusiasmo a quegli undici esseri umani così indifferenti alla nostra sofferenza, una parte di noi non può smettere di produrre speranza. Almeno finché c’è tempo di raccogliere palla dalla porta, portarla a centrocampo e fare il percorso inverso. Ieri nella Lazio un centravanti navigato come Immobile ha sbagliato un facile gol a pochi metri dalla porta, e il portiere ne ha segnato uno difficile con un movimento da centravanti. «Per fare una battuta posso dire che ho studiato da Immobile», ha detto il portiere, con classe, a fine partita.Dopo che la palla è entrata ci sono solo uomini con la maglia a righe paralizzati e uomini in maglia celeste che corrono dietro a uno vestito di giallo che non sa che cosa fare. Cosa passa nella testa di Ivan Provedel mentre corre a zig zag come un cane sguinzagliato al parco, era minimamente preparato a quel momento? Cosa avrebbe pensato se cinque anni fa, quando giocava in Serie B col Pro Vercelli, gli avessero detto che avrebbe fatto gol al suo esordio in Champions League?Non è il primo gol della carriera di Ivan Provedel, che quattro anni fa aveva già segnato con la Juve Stabia un gol molto simile. Stesso minuto, stesso tipo di cross, un movimento in area meno fulminante. In quel caso se n'è stato fermo ad aspettare il pallone sul secondo palo, ma aveva comunque mostrato un invidiabile senso della posizione, e un gran colpo di testa.

È il secondo portiere della storia ad aver segnato in Champions League su azione. Butt ha segnato tre gol, tutti alla Juventus (!), e tutti su rigore. Sinon Bolat, con la maglia dello Standard Liegi, ne fece uno persino più bello.L’esordio di Provedel in Champions però va oltre il gol, per quanto possibile. È difficile che un singolo riesca a incidere su una partita più di quanto abbia fatto Provedel ieri. Poco prima di segnare aveva compiuto un miracolo e tenuto in piedi la Lazio. Mancavano venti minuti alla fine e l’Atletico aveva costruito una pericolosa superiorità numerica in area. Quando la palla arriva a Samuel Lino, Provedel si butta ai suoi piedi con una tempestività da pazzo. Lino se la prende comoda, si alza la palla e tira fortissimo, Provedel gliela para alzando le braccia in alto come in un muro da pallavolo, la faccia in avanti senza paura.Provedel è arrivato tardi ai livelli più alti. A 28 anni non era ancora mai stato il titolare di una squadra di Serie A. Lo Spezia, la squadra in cui giocava, aveva comprato Zoet, prima di rendersi conto che Provedel fosse speciale. È arrivato tardi forse anche perché ha iniziato tardi a fare il portiere. A 16 anni girava tra una squadra e l’altra chiedendo di fare il portiere. Ricorda uno dei suoi primi preparatori: «Voleva fare il portiere a tutti i costi, ma nessuno glielo permetteva. Ha passato tutte le società, ma dicevano fosse troppo tardi per iniziare. E lui era disposto a non giocare più. Aveva una buona struttura fisica, le braccia larghe, voglia di fare, voglia di imparare. Aveva tutte le caratteristiche per diventar bravo. I test che faceva erano in continuo miglioramento, i numeri non sbagliano». C’è anche un dettaglio fiabesco nella sua storia. La storia da cui partire in un eventuale film sulla sua vita. La madre di Provedel è russa e i suoi nonni erano vicini di casa di Yashin, ed erano loro amici.Per chi segue la Serie A il fatto che Provedel possa fare la differenza a questi livelli non è così sorprendente. Da due anni è uno dei migliori portieri italiani. Forse per rendimento e costanza è persino il migliore. Due anni fa lo inserivamo fra i giocatori più sottovalutati, visto che è soprattutto con le sue parate che lo Spezia di Thiago Motta riuscì a salvarsi. Lo scorso anno è stato, statisticamente, il miglior portiere del campionato, quello che è riuscito a evitare più gol e tiri pericolosi. La sua abilità nella gestione del pallone con i piedi è davvero di alto livello.

Delle sue possibilità in Nazionale abbiamo accennato qui, dove abbiamo parlato soprattutto di Donnarumma e Vicario.

Per questo aveva stupito la notizia estiva di una Lazio interessata all’acquisto di Hugo Lloris. Se aveva già uno dei migliori portieri del campionato perché prendere qualcuno che poteva contestarne il posto? Lloris, ex capitano della Francia, sarebbe davvero venuto a Roma per fare panchina a questo ragazzo di Pordenone diventato titolare in Serie A per la prima volta a 28 anni? C’era la teoria secondo cui Lloris sarebbe arrivato per giocare in Champions League, compensando la scarsa esperienza europea di Provedel. Come se Provedel non potesse davvero giocare ai suoi livelli nelle notti europee.Certe volte ci costruiamo dei problemi che in realtà esistono solo nella nostra testa.

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