Impossibile ignorare oltre Zabit Magomedsharipov
di Gianluca Faelutti
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Il 2 settembre 2017, quando Zabit Magomedsharipov, al suo esordio in UFC, affrontò da perfetto sconosciuto Mike Santiago, la sua performance fu una folgorazione. Nonostante solo due incontri disputati in UFC si sapeva che sarebbe stato uno dei fighter da tenere d’occhio in questo 2018: innanzitutto per il suo striking, fatto piuttosto insolito per un daghestano. Spinning back kick velocissimi, o addirittura “showtime kick” sono fantascienza per i suoi compaesani, ma il talento di Zabit in piedi non offusca quello del suo grappling: qui risiede la sua grandezza e d’ora in avanti sarà sotto gli occhi di tutti.
Nell’incontro di sabato notte contro Brandon Davis, Zabit ha cambiato continuamente guardia nel primo round, togliendo le distanze a Davis, che è andato a segno con il suo stesso numero di colpi (21), ma a fronte di un volume di colpi e dunque di un dispendio di energie decisamente maggiore (63 colpi tentati contro i 31 di Magomedsharipov).
Davis è sembrato molto sicuro di sé, prendendo l’iniziativa e costringendo a parete Zabit, che ne ha approfittato per dare un po’ di spettacolo schivando con splendidi movimenti di corpo le lunghe sequenza di Davis e poi piazzando uno splendido gancio d’incontro mancino. Sul finire del round, Davis si è sbilanciato in un’offensiva ed è stato punito dal daghestano che gli ha preso la schiena, trovando la slam poco dopo.
La prima ripresa non ha visto un Magomedsharipov dominante, ma sempre in perfetto controllo, nella seconda però Zabit intercetta subito un body kick e prende di nuovo la schiena di Davis, da posizione eretta. Davis riesce a resistere da questa posizione a diversi tentativi di atterramento, ma quando sono passati esattamente due minuti sul cronometro del secondo round, Zabit accelera e lo porta a terra di prepotenza.
Le fasi di grappling di Zabit sono condite anche da diversi colpi, quando Davis riesce a riportarsi in piedi non ha più il ritmo che aveva inizialmente e dopo aver subito anche lo striking velocissimo e preciso di Magomedsharipov finisce di nuovo a terra grazie ad un sublime outside trip. Zabit a quel punto conquista la back mount e inizia a tartassare di colpi Davis che prova a rialzarsi, ed è qui che Magomedsharipov compie un gesto raro, ma - incredibilmente - già eseguito la notte stessa da Sterling.
Per semplificare: Davis assume una posizione a piramide, ossia sposta tutto il corpo in avanti e resta a testa in giù cercando di sbilanciare il suo avversario facendogli perdere l’equilibrio; Zabit non soltanto resta ben agganciato con le gambe al corpo di Davis, ma afferrandogli la gamba sinistra gli toglie dapprima l’appoggio e successivamente la manda in iperestensione con una leva alla gamba (i commentatori di MMA sembra siano indecisi se si tratti di "bananasplit" oppure di "Suloev Stretch", chi scrive propende maggiormente per questa seconda categorizzazione).
Nella botte piccola, i KO buoni
di Giovanni Bongiorno
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UFC 228 è stato penalizzato dalla perdita del suo co-main event, che vedeva in palio il titolo dei pesi mosca fra Nicco Montaño e Valentina Shevchenko: Montano, campionessa in carica dei pesi Mosca UFC, è stata portata d’urgenza in ospedale per problemi avuti durante il taglio del peso: la promotion, con la sua solita eleganza, l’ha privata della cintura e ha promosso come co-main event della serata un altro incontro femminile in programma, quello tra Jessica Andrade e Karolina Kowalkiewicz.
Andrade ha dimostrato di meritare lo spot da contendente numero uno dei pesi Paglia, puntando alla cintura di Rose Namajunas, annichilendo Karolina Kowalkiewicz. Per annullare la differenza d’altezza (è alta appena 157 cm) con l’atleta polacca, Andrade ha accorciato immediatamente le distanze con uno stile che ricordava il primo Wanderlei Silva, non troppo composto, ma dall’esplosività smisurata.
Al primo scambio, Andrade ha centrato Karolina con un gancio secco sulla mandibola, un chiarissimo segnale che la bagarre sarebbe stata favorevole a lei: la polacca è una fighter molto attenta, una macchina da punti nel corso dell’incontro, ma non è rinomata per la propria potenza da KO, quanto invece per l’ottima capacità da incassatrice. Kowalkiewicz si è fidata della sua resistenza ai colpi, accettando gli scambi selvaggi con Andrade, cercando di respingerla con numerosi uno-due fatti di jab e diretti e finte nel cambio di livello.
Ma combattere con Andrade - lo sa bene anche l’altra polacca Joanna Jedrzejczyk - è come provare a fermare un carro armato in miniatura, e non è un caso che il suo soprannome sia “Bate-Estaca”, battipalo (lo strumento o la macchina che serve per infilare i pali nel terreno).
Karolina Kowalkiewicz ha piazzato qualche buon colpo al volto, ma la brasiliana non ha accusato nulla. Per evitare le mine vaganti che sono i ganci corti della brasiliana (Jessica non colpisce quasi mai con colpi dritti, preferisce accorciare la distanza e piazzare combinazioni di due o tre ganci), la Kowalkiewicz prova a rispondere colpo su colpo ma l’intensità della brasiliana ha fatto la differenza: in uno scambio a poco più di un minuto e mezzo dall’inizio del match, Karolina ha abbassato la testa andando incontro a uno dei violentissimi ganci di Jessica Andrade.
Con Joanna che ha tentato da poco la riconquista del titolo, fallendo, l’UFC adesso potrebbe proporre un incontro esplosivo tra Jessica Andrade e Rose Namajunas. Chi ha detto che le donne non sono pericolose?
Dare a Woodley quel che è di Woodley
di Giovanni Bongiorno
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Quando si ha a che fare con il migliore della propria categoria non è mai facile. Era una sensazione con cui si dovevano confrontare, ad esempio, per restare nei pesi Welter, quelli che provavano a strappare il titolo a Georges St-Pierre anni fa. Ed è una sensazione che inizia a essere tangibile quando c’è di mezzo Tyron Woodley.
Più di tutti negli ultimi anni Woodley ha dimostrato di dominare la categoria al limite delle 170 libbre, cercando sempre sfide più stimolanti, avversari più forti che gli consentissero di imprimere il suo nome sulla tavola dei più grandi di sempre.
Darren Till è la promessa più affascinante della categoria, un giovane di Liverpool che si è fatto le ossa in Brasile, che si presentava ancora imbattuto, fiero, fortissimo. Enorme, dieci centimetri più alto del campione.
Woodley è spesso accusato dal pubblico di offrire match noiosi, ma sono per lo più i fan casuali a muovere contro di lui questa critica. Quattro difese titolate all’attivo - il numero maggiore per i campioni regnanti - e uno stile intelligente che fa tornare in mente usando una frase di Bruce Lee: “Be water”. Woodley non ha moltissime armi nel suo arsenale, ma ha forse quella più importante di tutte: la capacità d’adattamento.
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T-Wood si adatta perfettamente a qualunque avversario si presenti davanti a lui: può gestire fighter well-rounded (Kelvin Gastelum), imbrigliare i grandi striker (Stephen Thompson), bloccare i grandi grappler (Demian Maia) e far valere la propria esperienza sugli atleti più giovani e talentuosi di categoria di cui Darren Till si era fatto principale portavoce. La prestazione di Woodley contro Till è un capolavoro di intelligenza tattica e pazienza.
La pazienza è una di quelle doti difficili da riscontrare in un fighter, ma nel main event di UFC 228 ha avuto un ruolo importante per entrambi i fighter. A inizio incontro Till ha portato spalle a parete Woodley, che ha reagito con pazienza, distendendosi. Nel match contro Rory MacDonald, la sua ultima sconfitta, risalente a più di 4 anni fa, Tyron Woodley aveva utilizzato una stance molto frontale che lo aveva costretto ad alzare un ginocchio e chiudersi a riccio, per non accusare i colpi nel cambio di livello. Un errore che Woodley non ha ripetuto stavolta, mantenendo la calma anche davanti a un Welter estremamente fisico, con una stance più laterale che gli permetteva di colpire in counterstriking.
Il primo round è stato una fotocopia dei match titolati di Woodley: studio, clinch a parete qualora si palesasse l’opportunità, controllo, gestione delle distanze, misure. L’arbitro Dan Miragliotta separa i contendenti due volte, innescando anche dei commenti di disaccordo fra i commentatori. Il primo round vede pochi colpi significativi, anche se il totale è a favore del campione (16-1 per i colpi totali; 11-0 per i colpi significativi). Quello di Woodley è sì un dominio, ma tattico. Till non ha ancora trovato il range giusto, ma sa di dover essere accorto, a Woodley basta un colpo solo per chiudere la contesa.
Nel secondo round, però, la pazienza dell’inglese viene meno. Va detto che nonostante l’altezza il suo allungo è identico a quello del campione e, dopo appena dieci secondi dall’inizio della seconda ripresa Till forza l’uno-due. L’inglese è mancino, il suo jab destro avanza, Woodley schiva a sinistra e risponde col suo iconico diretto corto, ma largo, in counterstriking, centrando la mandibola e portando l’inglese a terra. Da quel momento diventa lui il padrone del gioco.
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Ancora una volta, nonostante il match possa terminare in pochi secondi coi colpi giusti, Woodley preferisce controllare per poi scatenarsi. La pioggia in ground and pound, pugni e gomitate, è violentissima, ma Till non si arrende. Aggiusta la full-guard e tira a sé Woodley. Con la mano sul collo dell’inglese, Woodley cerca di mozzare la respirazione. Till è già in debito, cerca di sopravvivere, fa fede sul proprio jiu-jitsu, ma appena è lui a cercare di calare il ritmo, ancora una volta Woodley lo sorprende: passa in half-mount, superando la gamba destra di Till e controlla. Il ground and pound può ricominciare.
È come stare sotto a un rullo compressore. Till prova a divincolarsi, ma è tutto inutile. Il controllo, la gestione del peso di Woodley, si fanno asfissianti. Non c’è spazio. Till comunque resiste e Woodley capisce che gli serve qualcos’altro per vincere subito l’incontro.
La half-mount passa sulla gamba sinistra dello sfidante, Woodley accorcia ancora lo spazio e dopo qualche altro colpo, a meno di un minuto dalla conclusione del round, mette a segno una splendida “D’Arce choke”.
Il bilancio finale nella discrepanza dei colpi è imbarazzante: il secondo round vede 50 colpi totali a zero per Woodley, di cui 46 significativi. Quello totale è di 74 colpi totali (di cui 57 significativi) a 1. È la prima sconfitta da professionista per Darren Till, ed è arrivata in uno scontro titolato. Proprio come era successo a Woodley anni prima in Strikeforce, per il titolo dei pesi medi contro Nate Marquardt.
I due si ritroveranno dietro le quinte: “Avevo 10 vittorie e nessuna sconfitta quando ho combattuto per la prima volta per un titolo del mondo”, ha detto Woodley a Till. “Senza quella sconfitta, oggi non sarei qui. [...] Dobbiamo perdere tutti, prima o poi, no?”.
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Woodley rimane impassibile dopo aver messo a segno la sottomissione, ma si commuove quando riceve la cintura nera di BJJ dal suo coach Din Thomas. Un’emozione sincera che supera quella della cintura UFC, che Dana White senza troppa felicità gli mette ancora una volta intorno alla vita.
È stata la notte di Tyron Woodley, la conferma che è lui il miglior welter al mondo oggi, la cementificazione di uno status che Tyron sa di meritare e che in molti gli negavano. Dopo questa notte, è difficile continuare a dire che Woodley è un fighter noioso.