40 fighter da seguire nel 2018
Il prossimo anno si annuncia ricco per le MMA, abbiamo scelto i 40 lottatori di cui non potete perdervi un incontro.
- James “The Texecutioner” Vick (12-1)
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Mike Stobe / Stringer
James Vick è uno dei prospetti più luminosi dei Lightweight, con un fisico che da solo lo rende un pericolo per qualunque avversario (191 cm d’altezza per 193 cm d’allungo). Vick ha partecipato nel 2012 al reality “The Ultimate Fighter: Live”, nel quale ha sconfitto tre avversari prima di dover cedere il passo a Michael Chiesa. Ottenuto comunque un contratto in UFC, il texano ha messo a segno 5 vittorie di fila, alcune delle sue vittime sono volti noti come Ramsey Nijem e Jake Matthews.
La sua scalata, però, ha subito un brusco contraccolpo quando è stato messo KO da Beneil Dariush. Dopo quella sconfitta, Vick si è ripreso nel migliore dei modi mettendo a segno tre vittorie importantissime contro Abel Trujillo, Marco Polo Reyes e Joseph Duffy. Il suo stile è davvero particolare: insolitamente veloce e morbido nei movimenti, nonostante le dimensioni, con un ground game e in generale un grappling eccezionali, ma sa essere altrettanto letale in fase di striking. Dallo stand-up, Vick è capace di gestire le distanze in maniera eccelsa e possiede un pugilato da far invidia a molti nella categoria.
Molto duro mentalmente, è tornato migliorato dalle sconfitte, mettendo a segno delle prestazioni in crescendo che meritano la vetrina dei Lightweight. È dotato anche di ottimo cardio e può portare il match ai punti, ma non disdegna la ricerca del colpo risolutore anche con l’avanzare delle riprese. Sarà interessante vedere, dopo la finalizzazione ottenuta ai danni di Joe Duffy chi gli metterà contro UFC, ormai certa di essere al cospetto di un talento unico, che a 31 anni è entrato nel pieno della propria maturità.
- Kevin Lee
Di Gianluca Faelutti
Foto di Josh Edges / Zuffa LLC
L’ascesa di Kevin Lee fino alla sfida titolata con Tony Ferguson è stata perentoria. Si è evoluto moltissimo da quando esordì, perdendo, nel Febbraio 2014 contro Al Iaquinta. Inizialmente azzardava una sorta di “shoulder roll” applicata alle MMA, che gli donava più grazia che elusività; nel tempo è passato saggiamente ad una guardia più ortodossa e, complice anche un affinamento generale, il suo striking è apparso in costante crescita. Ma è con il wrestling che sa essere travolgente, anche opposto a BJJ di altissimo livello come quello di Michael Chiesa.
Ha perso contro Tony Ferguson facendosi sottomettere per Triangle Choke alla terza ripresa, ma ne è uscito comunque a testa alta: finchè ha avuto energie infatti è riuscito a mettere in difficoltà il campione. Le energie si sono esaurite presto, complice il taglio del peso estremo per rientrare nelle 155 libbre e un’infezione da staffilocco. Dopo quel match, Lee ha deciso di passare alla categoria superiore dei pesi Welter, una scelta più che condivisibile che però porta a chiedersi se il suo impatto fisico sarà altrettanto devastante. Il 2018 ci darà una risposta, e non è detto che non sia positiva sorprendentemente.
- Cain Velasquez
Di Gianluca Faelutti
Foto di Rey Del Rio / Stringer
Non esiste un combattente più sanguinario di Cain Velasquez, forse il peso massimo più forte della Storia delle MMA, se non fosse che la sua carriera è stata costellata da gravi infortuni che ne hanno limitato l’enorme potenziale costringendolo a combattere soltanto tre match dall’Ottobre 2013.
Cain ha 13 incontri all’attivo in UFC e due sole sconfitte: la prima contro Junior Dos Santos, lavata con il sangue dalla conclusione vincente di una trilogia epica; e quella contro Fabricio Werdum, complice anche la scelta scriteriata del messicano di recarsi a Città del Messico solo pochi giorni prima del match, pagando così il mancato adattamento all’altitudine.
Velasquez ha innanzitutto un cardio stupefacente per un peso massimo, che gli consente di tenere altissima la frequenza di colpi per tutta la durata dell’incontro (va a bersaglio con la media di 6.38 colpi al minuto, un’enormità quasi da non credere per un fighter della sua categoria); inoltre il suo wrestling è devastante (ne sa qualcosa anche Brock Lesnar): ha grande facilità a trovare l’atterramento e una volta ottenuto diventa ineguagliabile per l’impeto e furia del suo ground and pound.
Ma Velasquez non è ancorato soltanto al ground game, il suo lavoro a parete e la sua “dirty boxe” lo rendono asfissiante, ed è proprio questa costante alternanza fra lavoro a parete e fasi di striking che finiscono per togliere ritmo e misura a striker migliori di lui, come è appunto accaduto a JDS, letteralmente demolito nei match che seguirono la sua prima vittoria.
Infine, Velasquez può contare su uno striking di tutto rispetto grazie ad una kickboxing solida e molto potente, caratterizzata da combinazioni di braccia talvolta fatali.
Dopo troppi infortuni, nel 2018 Velasquez potrebbe finalmente trovare un po’ di continuità, e se così fosse potrebbe davvero tornare ad essere il dominatore di un tempo: 35 anni non sono poi così tanti e se da una parte le le lunghe assenze gli hanno impedito di continuare ad accrescere la sua grandezza, lo hanno anche preservato dai colpi, e sappiamo quanto sia importante in uno sport come questo. Insomma la sua rinascita non è pura utopia.
- Rory “Red King” MacDonald
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Derek Leung / Stringer
Nella jungla scacchistica che è la categoria dei Welter, ne spicca uno (per adesso fuori dalla UFC) che nella serata giusta sarebbe capace di battere chiunque. Precedentemente conosciuto come “Ares”, il dio della guerra, MacDonald ha cambiato il suo soprannome in “Red King” in occasione del leggendario e sanguinario match contro Robbie Lawler. Ha 28 anni, è canadese ed ha lasciato UFC nel 2016, dopo aver collezionato due sconfitte e, probabilmente, non aver trovato un accordo economico che lo soddisfacesse.
Nel frattempo è diventato forse l’atleta più completo in assoluto a 170 libbre ed è l’unico uomo, insieme a Jake Shields, a poter dire di aver battuto l’attuale campione di categoria in UFC, Tyron Woodley: con la differenza che la vittoria di Shields fu di misura, quella di MacDonald invece fu schiacciante in ogni suo aspetto. È persino riuscito a mettere a segno un upset incredibile su Demian Maia, dopo aver subito nelle battute iniziali. L’esordio in Bellator, nel maggio 2017, è stato strabiliante: con un dominio esagerato su un contendente più che credibile come Paul Daley, sottomesso nel corso della seconda ripresa per ottenere la title shot contro Douglas Lima, il 20 gennaio 2018.
Il jab secco che calcola la distanza e va praticamente sempre a segno, la chiusura con colpi di braccia potenti e chirurgici, MacDonald è un fighter totale: vanta 7 vittorie per KO o TKO e 7 per sottomissione in carriera. Fa della gestione delle distanze e del grappling furibondo le sue armi migliori. Non è riuscito ad imporsi contro un mago delle distanze quale è Stephen Thompson per via della strategia perfetta del karateka americano, ma ha dimostrato di poter competere e sconfiggere chiunque nella categoria, con le giuste condizioni.
Il motivo più interessante per cui Rory va tenuto d’occhio anche in Bellator è perché ha rivelato di voler vincere la cintura in più di una categoria: non quella dei Welter ma anche – fra le altre, forse – quella dei Middleweight. E lì, in teoria, potrebbe esserci ad aspettarlo un altro rimpianto UFC, Gegard Mousasi. Per un incontro di Bellator che, se mai si farà, varrà davvero come i migliori match titolati UFC.
- Volkan “No Time” Oezdemir
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Sean M. Haffey / Getty Images
“I’ve got no time!”, ha detto il ventottenne svizzero Volkan Oezdemir, vera e propria rivelazione nella categoria dei Light-Heavyweight nel 2017. Il prossimo 20 gennaio affronterà il campione in carica, Daniel Cormier, per determinare chi è il migliore nella divisione delle 205 libbre. Protagonista di una rapida scalata, iniziata con la vittoria del match contro Ovince St-Preux preparato in appena una settimana a febbraio, lo svizzero ha poi battuto con due KO fulminei Misha Cirkunov e l’ex contendente Jimi Manuwa.
Dotato di grande forza fisica, potenza in clinch, esplosività nei colpi e una sorprendente velocità, Oezdemir sembra davvero il nuovo prodigio di categoria. A seguito delle vittorie da parte di Cormier contro Anthony Johnson e Alexander Gustafsson, e dopo l’allontanamento di Jon Jones, la categoria sembrava aver smarrito il suo antico splendore, ma è arrivato il giovane colosso a mischiare le carte in gioco. Con 12 finalizzazioni su 15 vittorie in carriera, Volkan promette di scioccare il mondo nel primo evento UFC numerato del 2018.
Davanti a lui una vera e propria leggenda della categoria, Daniel Cormier, fermato finora solo da Jon Jones (ma in un match che è già No Contest a causa dei problemi con l’agenzia anti-doping degli Stati Uniti). Se non abbiamo inserito DC in questa lista è solo perché una sua vittoria potrebbe uccidere definitivamente la categoria e quello con Oezdemir è il classico incontro in cui uno dei due fighter ha tutto da perdere. Ma se lo svizzero si dimostrasse all’altezza, vincendo magari la cintura, sarebbe il solitario salvatore di quel cuscinetto che separa i Middle dagli Heavyweight.
- Justin “The Highlight” Gaethje
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Gregory Shamus / Getty Images
Anche Justin Gaethje, come Moraes già presente in questa classifica, è ex campione WSOF, ma nei Lightweight. Nel 2017 si è presentato in maniera a dir poco esplosiva in UFC: ha affrontato l’allora numero 5 di categoria Michael Johnson, ottenendo un KO tecnico durante la seconda ripresa in un match burrascoso, uno dei più divertenti e assurdi dell’anno; e con quell’incontro ha ottenuto la possibilità di bussare alla porta della top 3 con Eddie Alvarez, perdendo per KO una battaglia che da un certo punto di vista (il suo, a giudicare dalle dichiarazioni post-match) valgono quanto le vittorie. Dei 18 incontri vinti, ben 16 vittorie sono arrivati per finalizzazione, quella con Alvarez al momento è la sua unica sconfitta.
Evoluzione naturale del vecchio brawler, Gaethje incassa in maniera eccellente praticamente qualsiasi colpo, una qualità di cui ha fatto sfoggio nel match contro Johnson (nel quale ha guadagnato anche i premi Performance of the Night e Fight of the Night). Ha delle mani velocissime e potenti e il suo soprannome non è “The Highlight” per caso: combatte avanzando e colpendo duramente, con ganci, montanti e low kick, senza badare troppo a evitare di subire i colpi di rimessa.
Con la sua naturale predisposizione allo striking riesce ad ottenere quasi sempre posizioni vantaggiose durante gli scramble, e persino in fase di clinch. Col 74% di colpi a segno, è senz’altro un brutto cliente ad oggi per l’intera categoria. Justin Gaethje è uno street fighter prestato alle MMA, un duro della old school, anche se ha solo 29 anni. Non lo fermerà la sconfitta con Alvarez e il 2018 saprà fare luce sulle sue reali ambizioni. L’unica cosa certa è che Gaethje affronterà il suo prossimo avversario dandogli la solita, violenta accoglienza.
- Zabit Magomedsharipov
Di Gianluca Faelutti
Foto di Hu Chengwei / Stringer
Ok, Zabit è sconosciuto ai più, ha combattuto soltanto due volte in UFC ed ha soltanto 26 anni, ma vale la pena segnarsi il suo nome, anche in virtù di quelle due prestazioni da lustrarsi gli occhi.
Si tratta di un fighter straordinariamente fantasioso e dinamico nelle fasi in piedi. Ha mani velocissime, un ottimo clinch di Thai dove assesta ginocchiate violente, ma varia molto anche con colpi come i calci al corpo, oppure scissor kick, spinning back kick, spinning heel kick e altri colpi girati eseguiti a velocità supersoniche. Sfrutta bene anche con il jab il suo buonissimo allungo (73”) e colpisce bene d’incontro, come ha dimostrato anche un gran montante contro Mike Santiago.
È molto aggressivo e, soprattutto, è sempre attivo, ma l’alta frequenza di colpi sembra non incidere sulla sua precisione e va a bersaglio con il 58% di questi. Qualche volta azzarda soluzioni rare, complicate e incredibilmente spettacolari, come lo “showtime kick” (omaggio a Anthony Pettis) andato di poco a vuoto sempre contro Santiago. Ma anche i colpi più strani non appaiono così pretenziosi, perché sempre accompagnati da una certa grazia e una notevole rapidità d’esecuzione.
La descrizione di uno striker così talentuoso dovrebbe concludersi elencando qualche limite più o meno rilevante a livello di grappling, invece Zabit è l’opposto, perché è essenzialmente un grappler prima di essere uno striker. L’estro del suo striking lo rende un dagestano atipico (il Dagestan è una delle più grandi fucine di grappler d’elite per le MMA, spesso però anche di fighter abbastanza monodimensionali seppure talvolta straordinariamente efficaci come è il caso di Khabib Nurmagomedov), ma Zabit ha un wrestling potente, energico e al contempo molto tecnico. È fluido nel muoversi a terra e paziente nelle fasi di stabilizzazione transizione, estremamente rapido in quelle di transizione e con una predisposizione alle sottomissioni notevole, come confermano le due ottenuti in altrettanti match in UFC.
Zabit potrebbe diventare la punta di diamante della nuova generazioni di talenti provenienti dall’Est Europa (Mirsad Becktic, Mairbek Taisumov, Bojan Velickovic etc…): per ora ha dimostrato pochissimi limiti e quasi soltanto scorci di grandezza. Certo, si attendono per lui test più attendibili e probanti, questo è chiaro, ma se ne è parlato ancora poco (in Italia di sicuro) rispetto a quanto rischiamo di sentirne parlare a breve. Se non volete arrivare troppo tardi, il 2018 è l’anno perfetto per iniziare a seguirlo.
- Dominick Cruz
Di Daniele Manusia
Foto di Maddie Meyer / Getty Images
Prima dell’incontro con Cody Garbrandt, nel dicembre del 2016, Dominick Cruz era considerato come uno dei più grandi fighter pound for pound in attività, con un record di 22 vittorie e solo 2 sconfitte. Era anche considerato un fighter sfortunato, per via degli infortuni che lo avevano tenuto fermo per più anni, intaccando l’impressione di dominio assoluto che aveva dato nei incontri migliori. Un fighter che ha dominato soprattutto con l’intelligenza (quello che si chiama fight IQ) un maestro dell’elusione difensiva, con uno stile unico e anticonvenzionale, finalmente tornato a combattere con continuità e pronto a difendere la cintura contro tutto e tutti. L’incontro con Garbrandt è stato scioccante sotto tutti i punti di vista, una sconfitta tanto netta quanto inaspettata. E da allor Cruz non ha più combattuto.
Avrebbe dovuto combattere a UFC 219, lo scorso 30 dicembre, contro Jimmy Rivera (un avversario considerato da molti non alla sua altezza) ma per via di un braccio rotto il suo ritorno nell’ottagono è slittato ancora, facendogli passare tutto il 2017 senza combattere. A 33 anni Cruz ha già avviato la sua carriera di cronista e contro Garbrandt è sembrato leggermente (poco, ma quanto basta per un fighter che gioca con i millimetri come lui) rallentato nel footwork e nei movimenti di testa, senza riuscire a mettere a segno molte combinazioni pericolose. Vista l’assenza di contender nei Bantamweight che possano piacere al campione in carica TJ Dillashaw (che vorrebbe a tutti i costi un superfight con Demetrious Johnson), non è escluso che il 2018 possa essere l’anno in cui Dominick Cruz non possa tornare (via una vittoria convincente con qualcuno più in basso nel ranking) a giocarsi la cintura. Sarebbe interessante anche vedere un re-match con Garbrandt, capire le capacità di adattamento del suo cervello e scoprire magari se non si è trattato di un caso. Insomma, in ogni caso, per Dominick Cruz ci sarà da puntare la sveglia.
- Joanna Jedrzejkczyk
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Mike Stobe / Stringer
Joanna Jedrzejkczyk ha affrontato due match nel 2017. Il primo a maggio, contro la durissima Jessica Andrade: match sofferto, paziente, nel quale Jedrzejkczyk ha messo a segno ben 215 colpi totali contro i soli 74 della sua avversaria. Dopo quella vittoria, proprio quando sembrava che nessuno fosse in grado di spodestare la regina della categoria Strawweight, è arrivato UFC 217, dove è stata sconfitta da Rose Namajunas, perdendo il titolo per KO. Joanna ha quindi licenziato il suo nutrizionista, accusato di averla portata in un pessimo stato di forma al peso.
Joanna Jedrzejkczyk non è una fighter comune. La sua Muay Thai eccelsa le permette di eseguire delle combinazioni lunghe e precise, con un volume di colpi eccezionale accompagnato da una difesa dei takedown efficacissima (82%). Jedrzejkczyk è una fighter completa, che è solita prendere l’iniziativa, ma che agisce benissimo anche da counterstriker. La sua comunicazione aggressiva e, in apparenza, poco umile, non piace a molti: il 2018 per Joanna sarà l’anno della rivalsa. Quello in cui dovrà dimostrare che alle parole, i campioni, fanno seguire le prestazioni nell’ottagono: perché i veri campioni sanno imparare anche dalle sconfitte più dure.
- Chris Weidman
Di Gianluca Faelutti
Foto di Michael Reaves / Stringer
Chris Weidman è l’uomo che ha strappato la cintura al leggendario Anderson Silva, in quello che è stato uno dei più grandi colpi di scena che siano mai avvenuti dentro un ottagono, e che poi ha respinto il suo tentativo di riconquistarla, anche se il finale drammatico di quella notte ha tolto un po’ di dolcezza al sapore di quella vittoria.
È un wrestler di altissimo livello, bravissimo a trovare l’atterramento (ha una media di più di 4 takedown ottenuti ogni 15 minuti) e a passare la guardia fino alla full mount; ma è anche uno striker potente. In molti prospettavano un lungo dominio per lui tra i Middle, magari addirittura longevo quanto quello del suo predecessore, e le successive vittorie su Lyoto Machida e Vitor Belfort sembravano dover rafforzare queste convinzioni. Poi, improvvisamente, qualcosa si è inceppato in quella che sembrava una macchina perfetta: le sconfitte contro Luke Rockhold e Yoel Romero sono state brutali, e al contempo circostanziali. In entrambi i match il risultato era in bilico, prima che Weidman compiesse un errore fatalmente compromettente.
Nel primo caso è stato uno scriteriato spinning back kick, quando erano ormai entrambi troppo stanchi, che ha dato la possibilità a Rockhold di invertire l’inerzia dell’incontro, prendendogli la schiena e dando inizio ad un’impressionante e sanguinaria grandine di colpi. Nel secondo caso è stato un troppo ripetitivo e prevedibile one leg takedown a permettere a Romero di incrociare magistralmente con una violentissima ginocchiata volante, all’inizio della terza e ultima ripresa.
Poi è arrivata anche la terza sconfitta consecutiva, ancora una volta ad opera di un contendente di altissimo livello come a Gegard Mousasi, stavolta meno brutale, ma anche meno circostanziale. Anche se la sconfitta è arrivata solo in seguito a una ginocchiata al volto dal clinch che è stata ritenuta irregolare solo in un primo momento dall’arbitro, commutata poi in legittima dopo aver rivisto le immagini, e in seguito alla quale è stato stabilito che Weidman non potesse continuare a combattere, perdendo quindi l’incontro. Quest’ultima sconfitta è stata la più preoccupante, perché se le prima due raccontano di un Weidman non sempre in controllo e non così lucido, ma pur sempre vitale, contro Mousasi la prestazione opaca di Weidman ha palesato un calo mentale, oltre che una certa monodimensionalità tecnica.
Così, nel giro di un paio d’anni, si è passati dal domandarsi quanto sarebbe durato il suo regno, a riflettere sulla sua inarrestabile caduta. Non avevamo però fatto i conti con il cuore di un redivivo Chris Weidman che lo scorso luglio ha sconfitto con un arm-triangle choke un lanciatissimo Kelvin Gastelum, dopo aver rischiato molto nella prima ripresa. Il 2018 potrebbe essere l’anno della redenzione per Weidman che nella corsa al titolo potrebbe ancora dire la sua.