Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il Torino è di nuovo nel limbo
21 nov 2025
Baroni doveva portare nuove idee ma il percorso sembra ancora lungo.
(articolo)
11 min
(copertina)
IMAGO / Nicolo Campo
(copertina) IMAGO / Nicolo Campo
Dark mode
(ON)

Sui titoli di coda della scorsa stagione del Torino scorrono le parole di Urbano Cairo che parla con i giornalisti. L’atmosfera è vagamente cyberpunk, non c’è l’istituzionalità della sala stampa, ma le luci al neon di un parcheggio. Mentre una guardia del corpo attende con impazienza, con la portiera della macchina già aperta, Cairo tira le somme. È il momento in cui di fatto sconfessa Paolo Vanoli; in cui porta ad esempio l’ormai lontana esperienza con Ventura (i due sembrano essere reciprocamente l’unico amico dell’altro nel mondo del calcio); in cui cerca di spiegare la differenza con il Bologna; ma soprattutto usa una frase che fa drizzare le orecchie e imbestialire i tifosi del Toro: «C’è tutta l’intenzione di fare le cose fatte bene, cercando di puntare a un obiettivo importante. Senza poi stare lì a dire troppi obiettivi, è meglio farli».

Questa vacuità di scopi, di mete da raggiungere, è la spada di Damocle che pende sul Torino da diverse stagioni. Una mediocrità che porta alla contestazione perenne dei tifosi, a un cielo sempre plumbeo che non sembra destinato a rasserenarsi. Ne avevamo scritto già alla fine della scorsa stagione e neanche in questa le cose sembrano volerne sapere di cambiare.

Il direttore tecnico Vagnati, prima della partita con la Lazio di inizio ottobre, aveva parlato di identità chiara a prescindere dal sistema di gioco, ma arrivati ormai quasi alla fine di novembre il dubbio è tornato: cosa voleva essere il Torino nei piani della dirigenza, nel momento in cui ha scelto Baroni come guida tecnica? Cosa vuole essere adesso?

Una prima risposta ce l'ha fornita lo stesso allenatore prima dell’inizio della stagione. Sia nell’intervista rilasciata a DAZN che nella conferenza stampa di presentazione aveva posto l’attenzione sull’importanza di segnare: «Parto dal gol e poi torno indietro. Il calcio è andare a fare gol».

Questa volontà offensiva, che è piuttosto chiara nella carriera di Baroni, per ora però si è vista solo a sprazzi. Il Torino infatti finora ha prodotto una media di 0.94 xG a partita - sotto la media della Serie A - e ha segnato 10 gol - classificandosi al momento come il tredicesimo attacco del campionato. C'è qualcosa che è già andato storto? O il Torino che ha in mente la dirigenza e Baroni è lì nel futuro ad attenderci e ci vuole solo un po' di tempo in più?

Il modulo che Baroni aveva immaginato era il 4-2-3-1 o il 4-3-3, a seconda dei giocatori a disposizione e dell'avversario. Soprattutto un'identità aggressiva e verticale, com'è nella sua proposta da sempre: pressing alto, scalate in avanti, baricentro sbilanciato.

L’inizio del campionato aveva portato in dote questa idea propositiva. Nella conferenza stampa prima della giornata inaugurale del campionato, infatti, Baroni aveva srotolato le sue certezze: difesa a quattro e doppio esterno, com’era stato alla Lazio e ancora prima al Verona.

Per qualsiasi altra squadra sarebbe stato un normale rito di passaggio nell'ambientamento di un nuovo allenatore ma al Torino diventa un cambiamento epocale. I granata sono infatti la squadra del nostro campionato che più ha puntato sulla difesa a tre e sulle transizioni: se ci pensate era un gioco che faceva già con Gian Piero Ventura, che ha preso il Torino addirittura nel 2011. Vanoli lo scorso anno nella seconda metà del campionato - quando già la squadra si era confinata nel limbo - aveva provato qualcosa di diverso, ma l’impianto di base era inevitabilmente il 3-5-2, per non parlare del triennio di Juric, che aveva portato pochissime variazioni sul tema.

Di fatto l'unica parentesi reale in questo regno di difese a tre e esterni a tutta fascia è stata la gestione Mihajlovic, ovvero tutta la stagione 2016/17 e la prima metà della successiva. Era il Toro dei 26 gol in campionato di Andrea Belotti e della porta difesa da un crepuscolare Joe Hart.

Il mercato estivo del Torino aveva provato ad assecondare le idee di Baroni. L’acquisto più eclatante è stato Zakaria Aboukhlal - ala destra da 7 gol in Ligue 1 con la maglia del Tolosa lo scorso anno - il cui cartellino è costato 8 milioni di euro. Arrivato a Torino con la prospettiva di avere spazio vista la predilezione di Baroni per il doppio esterno, è gradualmente scomparso dalle rotazioni. Dopo una mezz’ora nella prima giornata contro l’Inter, il funambolico esterno olandese è partito titolare solo con l’Atalanta, salvo poi essere sostituito all'intervallo. Ad oggi non vede il campo dalla sconfitta del Tardini contro il Parma.

Oltre ad Aboukhlal, anche gli innesti di Ngonge - utilizzato da seconda punta o come alternativa a Vlasic - e Anjorin - in campo per appena quattro spezzoni - dimostrano che il calciomercato fatto in estate è stato parzialmente sconfessato dal campo.

Il mercato si è rivelato deficitario anche nella coperta rivelatasi cortissima dietro, una volta che il Toro è passato alla difesa a tre. Arrivato il solo Ismajli a parametro zero, la rosa dei difensori centrali comprende Coco, Maripan e Masina, con il fantasma di Schuurs che aleggia sul Filadelfia. Avendo di fatto quattro giocatori per tre posti, quindi, Baroni si è visto costretto ad adattare Tameze nel ruolo di braccetto destro.

Ma come si è arrivati, dopo appena tre mesi dall'inizio del campionato, a ritrovarsi a fare i conti dei giocatori per poter mettere in campo una difesa a tre? Le idee di Baroni si sono scontrate con la realtà già dopo pochi minuti della prima giornata. Complice un’Inter indiavolata, vogliosa di riconquistare un sonnecchiante San Siro, il Toro si è ritrovato a imbarcare acqua da tutte le parti. Una partita in cui il Torino ha dimostrato di essere tutt'altro che pronto ad accettare la parità numerica dietro, come voleva il suo allenatore.

Al 10’ Thuram vince il duello con Masina. Spalancato il campo, l’Inter si trova ad attaccare tutta la metà campo avversaria in parità numerica. La difesa del Toro riesce a rientrare affannosamente e l’azione sfuma, ma appare evidente da subito che il reparto difensivo fatichi a trovare le giuste distanze con il nuovo sistema di gioco. La supremazia dell’Inter è totale, il 5-0 finale spinge Baroni a riconsiderare le sue certezze. Il successivo 0-0 con la Fiorentina mostra già i primi timori nei confronti della strada appena imboccata.

Paolo Condò - nella rubrica “Un centimetro alla volta” sul Corriere della Sera - suggerisce un paragone tra le prime due giornate di campionato e i film di 007 in cui succede di tutto prima dei titoli di testa, senza che ci sia un’effettiva risonanza con ciò che accadrà nel resto della pellicola. Questa suggestiva metafora vale a maggior ragione per il campionato del Torino e non solo per il metaforico spargimento di sangue di San Siro.

Durante la prima sosta, Baroni riconosce le difficoltà della sua squadra a recepire il suo sistema di gioco e si adatta, tornando alla difesa a tre.

I benefici a livello difensivo si vedono già nelle successive partite, in cui il Torino affronta tutte avversarie d’alta classifica. Il totale di zero gol presi contro Roma, Napoli, Bologna e Juventus lo conferma. Baroni abbassa il baricentro, ammassa giocatori davanti alla propria area, chiede ai propri difensori di rimanere in posizione: un'inversione a U notevole per un allenatore molto più radicale di quanto l'apparenza non suggerisca.

Un esempio, al 20’ contro la Roma.

In questa rivoluzione copernicana, a scalare all'indietro ritroviamo anche Ngonge che crea spesso una linea a sei dietro, rendendo fisicamente difficile trovare un corridoio.

In quella partita Gasperini sperimenta per la prima volta il falso 9, lasciando in panchina sia Dovbyk che Ferguson, ma finisce per favorire il piano gara impostato da Baroni. Senza una punta che occupi tutti questi uomini dietro, diventa difficile disorganizzare una linea difensiva così fornita.

Insomma, una volta passato alla difesa a tre, il Torino ha provato a diventare una squadra più applicata difensivamente. Se si escludono le prime due giornate, il Torino non ha del tutto risolto i propri problemi difensivi (per xG concessi sono ancora sotto la media della Serie A, e per tiri addirittura la quarta peggiore squadra del nostro campionato) ma si vedono dei segnali di miglioramento, se si pensa che alla voce clear shots concessi - ovvero i tiri subiti con solo il portiere in traiettoria con il tiratore - il Torino è quinto in campionato, con un totale di 11, solo tre in meno dell’Inter che guida questa classifica (dati Hudl StatsBomb).

Contro il Bologna alla nona giornata il copione è lo stesso e ormai il 3-5-2 è consolidato, potremmo dire rodato se non fosse che questa squadra gioca così da quasi quindici anni. In ogni caso l'applicazione in campo è brillante: il Torino è molto corto, i reparti molto vicini, con l'idea di togliere profondità a una squadra che la cerca con costanza.

Baroni insomma ha messo una pezza sulle crepe che si stavano aprendo in difesa, forse rallentando il processo di apprendimento dei suoi principi da parte della squadra, ma sembra non aver ottenuto molto in cambio. Innanzitutto, il Torino ha dimostrato di essere ancora fragile quando le cose si mettono male. Lo si è visto persino nella vittoria contro il Genoa, dopo la quale l'allenatore ha dichiarato di essere stato costretto a «ribaltare lo spogliatoio nell'intervallo», ma ancora di più, ovviamente, nella dura sconfitta con l'Atalanta.

Contro la squadra allenata in quel momento da Juric sono bastati appena otto minuti per impiccare la partita. Al 30’ il Torino prova a uscire in costruzione. Ismajli cerca un passaggio per Vlasic. Il trequartista è aggredito alle spalle da Kossonou, la traiettoria è un po’ pigra e il controllo impreciso. Il numero 10 si trova quindi in un vicolo cieco, cerca di appoggiarsi ad Asllani, ma nel frattempo è scalato Samardzic in pressione, De Roon fiuta la potenziale difficoltà e stringe anche lui. Dal doppio rimpallo esce vincitore Samardzic, che riconquista il pallone e attacca la corsia di destra palla al piede. Vlasic lo insegue, Ismajli esce dalla posizione. Anche Maripan si fa attrarre dalla corsa del 10 della Dea e si disinteressa di Krstovic alle sue spalle.

Samardzic fa valere la sua qualità e trova il centravanti con un tocco pregevole. Krstovic, completamente solo, non ha difficoltà nel trovare il vantaggio di prima intenzione.

Il gol dà il via a una slavina di sbavature: la rete del 2-0 nasce da un errore di tempismo in uscita di Maripan - forse ancora intontito dalla situazione precedente - e il 3-0 dalla staticità di tutto il reparto arretrato che lascia a Sulemana la libertà di sgasare a sinistra e crossare per Krstovic, ancora una volta troppo solo.

In sala stampa nel post-partita, Baroni è sconsolato: «La squadra aveva trovato una solidità, una compattezza. Non si può avere un momento di amnesia perché poi butti al vento una gara che era in equilibrio».

Contro la Lazio, il calo di concentrazione dura un attimo, ma arriva nel momento decisivo. La dormita di Dembelè e l’intervento maldestro di Coco causano il rigore con cui Cataldi riacciuffa la partita al 103’ dopo che il Toro aveva messo la testa avanti al 93’.

C’è poi il primo tempo in cui i granata riescono nell’incredibile impresa di andare sotto 0-2 con il Pisa dopo mezz’ora. La rimonta è di carattere, in un finale furioso di frazione, ma non basta per ribaltare il punteggio, perdendo di fatto altri due punti.

Baroni li ha chiamati momenti di amnesia, ma più che altro il Torino sembra in mezzo a un processo di evoluzione verso un sistema diverso che ha intrapreso con troppa poca convinzione. Giocatori abituati a giocare con un baricentro molto basso e in un rigido sistema di marcature a uomo stanno provando a passare a uno più ibrido, in cui anche la zona ha la sua influenza, e soprattutto con un baricentro molto più alto, e adesso sembrano in mezzo a un guado da cui uscire è difficile.

Lo si è visto per esempio al 39’ della partita contro la Lazio, sull'azione che ha portato al gol del 2-1. Il Toro aggredisce molto alto in pressione, riconquista il pallone, ma lo perde subito dopo, e in un attimo si trova scopertissimo dietro. L’apertura di Basic taglia in due il campo e Cancellieri si trova ancora una volta a dover gestire solo il duello fisico con Lazaro, di fatto in un uno contro uno a tutto campo.

Quella di essere in mezzo a un limbo è una sensazione che proprio i tifosi della Lazio avevano provato la seconda metà della scorsa stagione, quando alcune sconfitte eclatanti avevano minato le convinzioni del proprio allenatore, facendo evaporare di fatto una prima parte in cui i biancocelesti erano stati tra le migliori squadre del campionato. Che quel momento sia arrivato così presto è preoccupante, ma anche comprensibile, calcolando quanto il Torino debba cambiare per venire incontro al proprio allenatore. Oggi, però, i granata sono ancora molto lontani dall'idea che c'eravamo fatti delle squadre di Baroni. Il Torino, oggi, ha il terzo valore più alto del campionato per PPDA, l'indice che misura la quantità di possessi concessi all'avversario per azione difensiva, e davanti, come detto, è una squadra anemica. I molti giocatori che sembravano molto adatti alle idee di Baroni, come Casadei, Anjorin e Ngonge, per ora non hanno reso come ci si attendeva, e questo non può essere un buon segno.

È ancora presto, ovviamente, ma oggi è facile farsi prendere dallo sconforto e immaginarsi un campionato del Torino non troppo dissimile dai precedenti. Decimo, decimo, nono, undicesimo: questi i posizionamenti in classifica degli ultimi quattro campionati granata. Un limbo che non sembra avere fine e in cui i tifosi del Toro continuano a tormentarsi.

Il Torino avrebbe bisogno di credere nelle sue idee, di perseguirle fino in fondo, e invece anche questa stagione continua a fare semplicemente ciò che gli è richiesto, navigando a debita distanza dalle acque torbide della zona retrocessione e accontentandosi di impensierire le grandi. Chissà che proprio la consapevolezza che basti semplicemente fare il minimo indispensabile, senza paura di scendere o ambizione di salire, per portare la nave in porto a non essere un ostacolo a quella stagione brillante che tutti i tifosi granata a Torino attendono.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura