See You Next Year: primo turno
Analisi e considerazioni sulle prime otto squadre eliminate dai playoff NBA.
Milwaukee Bucks
I Bucks sono la squadra su cui le speranze per il futuro sembrano più radiose che mai. Giannis Antetokounmpo ha elevato il suo gioco a livelli impensabili in una sola stagione – verosimilmente assicurandosi il premio di giocatore più migliorato – e potrebbe crescere ulteriormente. Holger Geschwindner, il maestro Splinter della tartaruga ninja Dirk Nowitzki, ha invitato Giannis a lavorare con lui in estate e, se gli impegni con la nazionale e coi Bucks si allineeranno, Giannis potrebbe davvero diventare un altro apprendista del tedesco, la cui specialità (il tiro) è proprio il punto del gioco su cui Giannis dovrebbe migliorare con più insistenza. Aiuto.
Il resto del supporting cast dei Bucks è estremamente intrigante, ma presenta alcune incognite dal punto di vista fisico. I Bucks hanno una pletora di braccia sterminate e di atletismo, e la capacità di coaching di Kidd sembra migliorare di pari passo col gioco della sua squadra. Khris Middleton ha rappresentato un vero e proprio cambio di marcia nella stagione, ma ne ha persa più di metà per infortunio; Jabari Parker ha esaurito i crociati da rompere; perfino Malcolm Brogdon ha una red flag dai tempi del Draft per un intervento al piede che potrebbe avere ripercussioni nel futuro. L’unico che per ora non sembra avere problemi fisici sembra Thon Maker, che è stato inizialmente sviluppato verso un 7-piedi capace di portare palla come Giannis, e che potrebbe venir sviluppato come un lungo più tradizionale data la buona serie contro i Raptors – ma i suoi problemi sono ancora quelli legati all’anagrafe, non sapendo se abbia 21 anni, 23 o 37.
Il discorso dei rinnovi estivi presenta dei giocatori su cui si può semplicemente alzare le spalle (Michael Beasley, un quarantenne Jason Terry, Gary Payton II) e altri molto più interessanti. Tony Snell ha trovato una sua dimensione da 3&D e una sua pericolosità dall’arco: essendo Restricted i Bucks rischiano di doverlo pagare oltremodo, ma date le loro alternative limitate dovrebbero cercare di trattenerlo. Greg Monroe può diventare unrestricted free agent e sebbene il suo inizio di stagione fosse stato atroce, ha trovato la sua posizione ideale da sesto uomo di lusso dalla panca. Sebbene anche qui le alternative valide non ci siano, occorre sempre andare con le molle quando si parla di epifanie avvenute improvvisamente durante i contract year, e i buoni propositi di Monroe potrebbero rincasare velocemente una volta incassato il suo assegno.
I Bucks non avranno spazio salariale se rifirmeranno uno tra Snell e Monroe, e anche nella remota ipotesi che rinuncino a entrambi avrebbero solo 20 milioni di spazio disponibile, che li costringerebbe a muovere altre pedine per avere la disponibilità salariale per un max-player. La cosa più semplice per loro sembra essere quella di andare per un nome da high risk-high reward al Draft, esattamente come lo sono stati Giannis e Maker: se i Bucks vincessero un’altra scommessa potrebbero davvero essere in ballo per qualcosa di più grande; in caso contrario la stella di Giannis potrebbe essersi accesa troppo in fretta, senza aver lasciato il tempo alla dirigenza di supportarla a dovere.
Oklahoma City Thunder
Quando si parla del futuro dei Thunder la sensazione, supportata dalle parole della conferenza stampa di Sam Presti dopo l’eliminazione da parte dei Rockets, è quella che i maggiori cambiamenti debbano avvenire all’interno del parquet, più che da parte della dirigenza. La squadra deve togliere la palla da Westbrook per evitare di diventare troppo prevedibile, e Westbrook deve ridimensionare la sua egemonia sul pallone per permettere agli altri elementi del roster di migliorare. Per riuscirci, tutti sono chiamati a fare passi in avanti: Domantas Sabonis e Jerami Grant devono migliorare il proprio tiro, Victor Oladipo portare palla molto più spesso, McDermott mettere su massa fisica per essere più versatile come ala, specie in un eventuale quintetto che preveda Andre Roberson da 3. Le mosse di mercato per i Thunder non dovrebbero essere rivoluzionarie: OKC non ha un payroll altissimo al momento, ma non appena i rinnovi di Oladipo e Adams scatteranno saranno velocemente oltre i 110 milioni, disinnescando di fatto qualunque flessibilità salariale. In aggiunta a ciò vi è il fatto che Oklahoma City non è stata una tappa ambita per i free agent, nemmeno quando Durant era ancora in città.
L’unico modo di arrivare ad un grosso nome per i Thunder è solo via scambi o sign & trade. L’unico nome veramente sul mercato sembra essere quello di Enes Kanter, che ad Ovest risulta praticamente inutilizzabile contro la maggioranza delle squadre da playoff, mentre ad Est riuscirebbe a rendersi utile praticamente contro chiunque. Non per questo però i Thunder sono disposti a svenderlo: al momento per loro è comunque più conveniente avere 18 milioni l’anno impegnati per Kanter che 18 milioni di spazio aggiuntivo. Se Kanter dovesse esser spedito altrove, allora il rinnovo di Taj Gibson potrebbe considerarsi praticamente certo, altrimenti Presti non farebbe di certo carte false per trattenerlo. Taj ai playoff è stato massacrato da Nenê, e nel lungo periodo ha molto più senso dare i suoi minuti a Sabonis o ai quintetti piccoli col solo Steven Adams come lungo, poiché quando è circondato da tiratori il neozelandese ha più spazio di manovra e possibilità di rollare indisturbato a canestro.
Quando invece l’area diventa congestionata Adams risulta molto meno utile, non avendo né sufficiente range di tiro né movimenti in post per risultare pericoloso.
Discorso più ostico è quello del rinnovo di Andre Roberson: l’esterno è uno dei pretoriani di Presti e dei Thunder fin dai primi tempi, un difensore sugli esterni formidabile ma tra il nullo e il dannoso in attacco. Difficilmente Roberson potrà trovare un’offerta migliore in giro per la lega, ma altrettanto difficilmente i Thunder troveranno un fit migliore con il poco spazio a disposizione. Sembra difficile quindi una separazione tra le parti e OKC può pure permettersi di allungare qualche soldo in più senza subire particolari conseguenze nei prossimi anni. Essendo comunque i Thunder una squadra dannatamente giovane, con la maggior parte dei suoi giocatori ancora in rookie scale, la mossa più auspicabile è quella di predicare pazienza, aspettare lo sviluppo dei propri giocatori invece di gettarsi a capofitto in manovre di mercato che nel lungo periodo possono essere più dannose che utili. (Ah, i 200 milioni di estensione per Russell Westbrook ovviamente non sono nemmeno da mettere in discussione.)
Atlanta Hawks
In retrospettiva, la stagione degli Hawks è stata controversa da più punti di vista. Atlanta ha oscillato tra le ombre di una stagione fallimentare e le luci di una stagione da mina vagante, contando sia numerose strisce di sconfitte consecutive che vittorie memorabili – come le tre stagionali contro i Cavaliers, vera e propria bestia nera negli anni passati. La notizia è che se la stagione degli Hawks non è stata un successo non sono molte le colpe da attribuire a Dwight Howard, poiché tutti i quintetti presentabili degli Hawks contano Dwight tra le proprie cinque unità. Mike Budenholzer ha continuato la tradizione di plasmare esterni a piacimento, rendendo estremamente presentabile Tim Hardaway Jr. – che poteva tranquillamente essere considerato come il peggior giocatore NBA solo una/due stagioni fa – e inserendo Taurean Prince nelle rotazioni fino a farlo diventare una delle sorprese dei playoff. Prince è sembrato una versione più giovane di DeMarre Carroll, e l’archetipo di un giocatore del genere mancava comunque tra gli uomini di Bud proprio da quando DeMarre ha firmato per Toronto. Perfino Dennis Schröder, tutto sommato, non ha deluso le aspettative: ha faticato in alcuni tratti della stagione, ma si è rivelato comunque un giocatore pericoloso nei playoff, non subendo particolarmente gli aggiustamenti difensivi (vuoi anche per il fatto che Scott Brooks non ha fatto aggiustamenti di nessun tipo, ma questa è un’altra storia). L’unico giocatore su cui si può genuinamente restare delusi è Kent Bazemore, che dopo aver firmato per un cospicuo aumento in estate ha visto diminuire il proprio rendimento in campo, e Budenholzer ha tagliato drasticamente i suoi minuti in favore di un rookie come Prince – una mossa quantomeno inusuale per un coach come Bud.
Nelle volte in cui gli è stato chiesto di portare palla, i risultati sono stati tra il comico e il catastrofico.
L’idea per Atlanta è comunque quella di provare un altro giro di dadi con questo roster, tanto Schröder, Dwight e Bazemore non possono andare da nessuna parte, ma la possibilità di riuscirci dipende molto dagli eventuali rinnovi. Tim Hardaway Jr. è restricted, e in ogni caso non so quante squadre siano disposte a rischiare di ritrovarsi con il giocatore di due anni fa, per cui è improbabile vederlo altrove; Mike Muscala invece non ha restrizioni di alcun tipo e la sua permanenza potrebbe non essere garantita, specie in un mercato estivo come questo che è povero di centri; i veterani Kris Humphries in fu Kardashian, Ersan Ilyasova, José Calderon e Thabo Sefolosha potrebbero pure restare a cifre contenute, specie i primi due che hanno utilità nelle rotazioni di fianco a Howard.
La vera incognita rimane Paul Millsap: l’ultimo giocatore rimasto dei cinque che misero a ferro e fuoco la NBA due stagioni fa è uno dei migliori free agent sul mercato estivo e i 32 anni della sua carta d’identità sembrano invocare un ultimo pluriennale, il più succoso possibile. Ma se dovesse accontentarsi di qualcosa di inferiore del max e di un numero limitato di anni – non più di tre, possibilmente – comincerebbe a crescere una fila di pretendenti per Millsap, e la sua versatilità potrebbe tornare utile in contesti più competitivi di quello di Atlanta, che nonostante le montagne russe emotive di questa stagione sembra nella parte conclusiva del suo ciclo vitale.
L.A. Clippers
Lob City no more. Quella che era nata anni fa come una super-squadra con l’acquisizione di Chris Paul sembra essere arrivata ad un triste capolinea pieno di insuccessi, rimonte subite, rimpianti e mestizia diffusa. Il lento e sistematico dolore riservato ai Clippers in questo periodo è nato da diversi fattori: infortuni diffusi a uno o più titolari, gestione scellerata della società – specie da quando Doc Rivers ricopre sia il ruolo di allenatore che di general manager – malumori diffusi in uno spogliatoio che non si è mai veramente amato. Sembra paradossale oggi ripensare ai primissimi anni di Lob City come una delle squadre più divertenti della lega, capace di prendere il ritmo a chiunque e di sotterrare gli avversari di parziali (e della fastidiosa voce del League Pass che urla “BINGO” ad ogni tripla in transizione dei suoi).
I problemi strutturali però sono stati di duplice natura: i Clippers sono una squadra che avrebbe demolito la lega a inizio millennio, ma costruita all’alba della nuova era di spacing & shooting che ne ha limitato l’efficacia. Inoltre, il prime dei suoi migliori giocatori non è mai stato contemporaneo: Chris Paul è infatti arrivato a Los Angeles quando era al massimo delle sue capacità, dopo aver guidato per anni gli Hornets ai playoff ben oltre le loro capacità, ma Blake Griffin era ancora sostanzialmente un ragazzino e DeAndre Jordan, più che un titolare e un affermato rim protector, era l’ultimo rimasto nel roster in seguito alla trade per Paul. Questa estate sarà lunga e dolorosa per i Clippers, con otto giocatori che toccheranno il mercato free agent, Paul Pierce che si ritirerà e Doc Rivers che pare interessato alla panchina + presidenza di Orlando. Le prime indiscrezioni suggeriscono che la dirigenza proverà a rifirmare sia Paul che Blake al massimo salariale, per un costo stimato di oltre 300 milioni di dollari, confermando quindi un roster scontento di restare assieme e che sembra destinato a non trionfare. Con questa ipotesi il rinnovo di J.J. Redick sembra utopico, aggravato dalla sua scarsa partecipazione nella serie finale con i Jazz e quei lunghissimi 92 minuti di gioco che hanno separato il suo unico canestro di gara-6 dal suo unico canestro di gara-7, durante i quali sembrava impegnato a ripassare mentalmente i pro e i contro di tutte le possibili destinazioni.
Eppure questi movimenti senza palla e la capacità telepatica di creare spacing col pensiero potrebbero far gola a tantissime squadre come, ad esempio, a Milwaukee per un improbabile ritorno
Se i Clippers proveranno a riportare lo stesso roster ai blocchi di partenza della prossima stagione saranno ancora peggio assemblati, con meno materiale umano a disposizione e un anno in più sulle gambe e sugli infortuni; se invece la strada scelta è quella del reboot si prospetta un processo lungo e doloroso, con DeAndre Jordan unico asset di valore per essere scambiato in cambio di qualcosa di più futuribile e con lo spettro di tornare i soliti Clippers di sempre, con pause ventennali tra un’apparizione ai playoff e l’altra. Rifirmare Blake potrebbe non essere impossibile, specie considerato che i suoi infortuni potrebbero essere un deterrente troppo forte per tutte le altre squadre, ma convincere Paul che le sirene di San Antonio (che potrebbe liberare spazio a sufficienza per firmarlo con pochissima ginnastica salariale) siano meno seducenti della vita notturna di Los Angeles potrebbe essere un compito estremamente arduo. Insomma, per i Clippers la scelta potrebbe essere tra la vecchia ragazza che non ci piace più e che ci fa soffrire di continuo, e la premessa di un lungo inverno di solitudine. Non un periodo divertentissimo per tifare Clippers.