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Alfredo Giacobbe

Sogni infranti

Il Napoli si perde nel pantano ucraino, mentre la Fiorentina non è ancora pronta al…

 

Dnipro – Napoli
di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

Dopo la partita d’andata, con tante occasioni sprecate e il pareggio beffa a pochi minuti dalla fine, il viaggio del Napoli a Kiev aveva un sapore amaro ma niente affatto rassegnato: il Dnipro è una squadra molto compatta e grintosa, ma che lascia sempre all’avversario almeno un paio di occasioni nitide.

 

Rispetto alla partita del San Paolo, il tecnico spagnolo ha operato due cambi: Gabbiadini ha preso il posto di Hamsik come trequartista centrale; Inler ha sostituito Jorginho nel duo di mediani. Al di là delle difficoltà dello slovacco nella partita di andata (che riemergono ogni volta che gli spazi tra le linee si riducono), Rafa Benítez intendeva affiancare una punta vera ad Higuaín per provare a creare situazioni di uno contro uno contro i lenti difensori centrali del Dnipro.

 

Inler avrebbe tentato poi di verticalizzare il pallone più frequentemente di quanto avesse fatto Jorginho sette giorni prima. Inoltre, sia lo svizzero che l’italiano sono dei tiratori temibili da fuori area e su calcio piazzato:  in un confronto equilibrato come questo ogni situazione andava sfruttata al massimo per avvantaggiarsi sull’avversario.

 

L’unico cambio operato da Markevych ha interessato il ruolo di punta, con Seleznyov partito stavolta titolare nella staffetta con Kalinic.

 

Il Dnipro difende compattandosi in trenta metri di campo e con il sacrificio della punta Seleznyov in pressione sul portatore di palla.

 

Come nella partita d’andata, i primi minuti di gioco sono stati molto confusi perché entrambe le squadre hanno tentato di aggredirsi a vicenda. Poi è venuta fuori la vera faccia del Dnipro, quella della squadra che attacca quando non ha il pallone, che al San Paolo si era solo intravista perché la squadra ucraina provava a ragionare nell’ottica del doppio confronto.

 

I quattro attaccanti nel 4-2-3-1 arrivavano a pressare il Napoli fin dentro l’area di rigore azzurra. In questo modo, a inizio azione, i quattro difensori erano tagliati fuori dal resto della squadra e costretti a spazzare via il pallone. La difesa ucraina, sempre altissima, schiacciava gli attaccanti del Napoli all’indietro e dominava sulle palle alte. Recuperato il possesso, gli ucraini si riportavano in attacco con le ali Konoplyanka e Luchkevych, che hanno fatto il lavoro sporco in transizione, e Kankava, uomo ovunque e trait d’union tra centrocampo e attacco.

 

Questa è la situazione che cercava Rafa Benítez, il due contro due al centro della difesa ucraina, che si è verificata solo quando il pallone è stato giocato veloce e preciso da eludere il pressing del Dnipro.

 

Il piano del Napoli, quello di sorprendere la difesa alta avversaria in una cattiva applicazione della tattica del fuorigioco, ha funzionato in poche occasioni. Nella più ghiotta, a causa di un errore d’impostazione durante l’uscita dalla difesa, Inler ha servito con un passaggio filtrante Higuaín davanti alla porta. Il Pipita però ha dato la prima testimonianza della sua scarsa vena, centrando il portiere Boyko.

 

Per il resto i napoletani hanno commesso molti errori in impostazione: prima per via della pressione avversaria, poi per le condizioni meteo (pioggia battente) che sono andate via via peggiorando e hanno reso il terreno di gioco un pantano. I maggiori pericoli il Napoli li ha costruiti sulla propria fascia sinistra, dove la catena terzino-mediano-ala ha funzionato a dovere: Inler ha trovato spesso i tempi per giusti per agire da falso terzino, permettendo così a Ghoulam di risalire la posizione in campo e a sé stesso di girarsi per fare gioco.

 

Sul lato destro la squadra è stata penalizzata dalla scarsa prestazione di David Lopez; dalla preoccupazione di Maggio per l’avversario diretto (fondata, visto che il gol è arrivato dalla sua parte); dalle caratteristiche di Callejón, che è un giocatore che preferisce ricevere il pallone sulla corsa piuttosto che tra i piedi. Al contrario di Insigne, lo spagnolo ha finito così per togliere una linea di passaggio semplice ai compagni sotto pressione per dettarne una impossibile, date anche le condizioni del campo.

 

Se c’è qualcosa per la quale si può puntare l’indice contro Benítez è la scelta di non portare Duvan Zapata nemmeno in panchina. Il Napoli ha messo molti cross, soprattutto nell’assalto successivo al gol di Seleznyov, che non hanno portato pericoli per la mancanza di un saltatore. L’ingresso del difensore Henrique come ultimo cambio, con le fiches della qualificazione tutte sul tavolo, ha avuto il sapore della beffa. Se ci addentrassimo nel campo delle ipotesi di scuola, potremmo dire che Zapata era addirittura l’attaccante da preferire ad Higuaín: all’argentino piace fare movimento incontro, adora essere coinvolto nel gioco, ricevere palla, provare a risolverla; così facendo provoca la difesa avversaria a seguirlo, riducendo così gli spazi tra le linee.

 

Gli scatti in verticale di Zapata, ad allungare la squadra avversaria, avrebbero aumentato le chances dei trequartisti azzurri di fare gioco e di fare male al Dnipro. Il peso della responsabilità—verso l’interno dello spogliatoio e della società, oltre che verso l’esterno, verso i media—di lasciare fuori il giocatore più importante della squadra, un vicecampione del mondo, nel momento più importante della stagione dev’essere stato insuperabile.

 

La stagione del Napoli, dopo aver oscillato a lungo tra due opposti, adesso si avvicina pericolosamente verso il fallimento: ci sono tre giornate di campionato per cambiare, ancora una volta e definitivamente, l’inerzia di un momento negativo.

 

Fiorentina – Siviglia
di Dario Saltari (@dsaltari)

Nella conferenza stampa prepartita, Montella aveva ridotto le probabilità della propria squadra di arrivare alla finale di Varsavia al 10-15%: aveva ragione, ovviamente. Ma la partita non era importante solo per una qualificazione pressoché impossibile: era soprattutto una prova per la Fiorentina, per dimostrare di aver raggiunto un livello competitivo così alto da potersela giocare anche con la squadra campione uscente. Purtroppo la cartina tornasole della credibilità europea della Fiorentina uscita dalla partita non è confortante.

 

Montella ha deciso di schierare la propria squadra su un 3-5-2 molto raffinato. A centrocampo Pizarro veniva affiancato da Mati Fernandez e Borja Valero mentre davanti la coppia d’attacco era composta da Salah e Ilicic, con Mario Gomez sorprendentemente in panchina. Il quadro era completato da Joaquin e Marcos Alonso (uno più in alto nel campo, uno più in basso, con un modulo molto fluido che si avvicinava anche al 4-4-2) a fare da esterni e da Basanta, Savic e Rodriguez a comporre la difesa a tre. Emery invece si affidava sostanzialmente alla squadra dell’andata, con l’unica differenza di aver riportato Vidal al suo ruolo naturale, quello di esterno alto, piazzando Coke in basso a destra.

 

La scelta di Montella di mettere tutti giocatori dal grado tecnico molto elevato è stata probabilmente dettata dalla volontà di controllare completamente il gioco, minando la strategia che tutti si aspettavano dal Siviglia: baricentro basso e ripartenze veloci. E invece la squadra andalusa ha stupito tutti dimostrando fin dal primo secondo la volontà (che in circa mezz’ora si è trasformata in realtà) di voler chiudere la partita nel primo tempo, andando a pressare la Fiorentina nella sua metà campo, in modo da forzarne l’errore, recuperare il pallone e andare in porta.

 

L’avvio della squadra di Emery è stato talmente aggressivo che i viola hanno rischiato di prendere goal dopo nemmeno un minuto di gioco e sono riusciti a impostare il primo possesso solo dopo un minuto e mezzo circa.

 

Il pressing alto del Siviglia era molto organizzato e soprattutto efficace. Bacca andava a schermare il primo giocatore viola in impostazione, uno tra Rodriguez e Pizarro, mentre Banega usciva a prendere i due difensori centrali laterali, Basanta e Savic, che salivano per dare una linea di passaggio.

 

Le due ali andaluse, Vidal e Vitolo, erano invece addetti a sporcare le linee di passaggio verso le mezzali viola. La Fiorentina incontrava quindi enormi difficoltà a far uscire il pallone dalla propria metà campo in maniera pulita, anche a causa della prestazione opaca dei già non dinamicissimi Borja Valero e Mati Fernandez.

 

Il pressing alto del Siviglia: Banega va a prendere Basanta dopo la pressione di Bacca su Pizarro. Il difensore viola è costretto a lanciare lungo perché Borja Valero e Mati Fernandez non riescono a liberarsi dal controllo di Vidal e Vitolo.

 

Ma i veri problemi, paradossalmente, iniziavano quando la Fiorentina riusciva a superare la metà campo. In fase offensiva la squadra di Montella ha cercato senza successo di portare fuori posizione la difesa andalusa abbassando uno dei due attaccanti, di solito Ilicic, e portando una delle due mezzali, di solito Borja Valero, sul fronte d’attacco.

 

Centralmente la retroguardia del Siviglia era praticamente impenetrabile, con i due mediani che andavano a schiacciarsi sulla linea difensiva a ridosso dell’area di rigore. La Fiorentina era quindi costretta ad andare sugli esterni e a tentare il cross, senza però avere validi colpitori di testa al centro dell’area (in questo senso l’esclusione di Mario Gomez ha pesato molto). I viola hanno dimostrato di avere scarsa pazienza, preferendo cross improbabili o tiri dalla distanza al fraseggio ragionato e ai cambi di gioco per cercare di aggirare la difesa avversaria.

 

Non è un caso quindi che l’unica grande occasione viola prima dell’uno-due andaluso arrivi da un calcio d’angolo, quando cioè la Fiorentina ha per forza di cose portato colpitori di testa in area (splendido il riflesso del portiere Rico sulla schiacciata di Rodriguez).

 

La disposizione della Fiorentina in fase offensiva: Ilicic si abbassa per ricevere il pallone mentre Borja Valero si inserisce da dietro. Alonso e Joaquin danno ampiezza al fronte offensivo avanzando lateralmente. Centralmente il Siviglia è impenetrabile, con Salah che rimane intrappolato tra i quattro colossi a difesa della zona centrale. Alla fine si andrà su Joaquin, che sbaglierà il cross in mezzo.

 

La partita si è di fatto conclusa dopo 22 minuti, quando Bacca ha scaraventato in porta una palla inattiva calciata da Banega. L’azione che ha portato a quel calcio di punizione ha mostrato tutta l’inadeguatezza fisica del centrocampo della Fiorentina: Vidal (vera e propria forza della natura) ha sfruttato una ripartenza su una palla inattiva sbagliata della Fiorentina, seminando prima Pizarro e poi evitando con la forza il ritorno di Marcos Alonso. In generale il centrocampo del Siviglia ha stravinto il duello fisico al centro del campo rendendo difficoltoso il recupero pallone dei viola.

 

Il secondo gol andaluso ha invece messo in luce la serata no di Basanta, che già al sesto minuto aveva rischiato di mandare in porta il solito Vidal con una delle sue ingenuità. Ma gli errori dei singoli non spiegano a pieno la sconfitta tattica di Montella. Il “rombo offensivo” del Siviglia con Banega vertice “basso” a rifornire le due ali, Vidal e Vitolo, molto dentro al campo ad affiancare Bacca, ha mandato in tilt il rombo difensivo della Fiorentina (Rodriguez-Savic-Basanta-Pizarro).

 

Le due ali andaluse si sistemavano sempre alle spalle delle mezzali viola creando continui 3 contro 3 con la difesa e costringendo i due terzini, Joaquin e Alonso, a frettolosi ripiegamenti. Montella ha cercato di rimediare quando ormai la partita era compromessa, togliendo Basanta per Pasqual e spostando il più veloce Alonso centralmente solo dopo la fine del primo tempo.

 

Al di là della delusione per la finale sfumata già all’andata, la partita ha confermato tutti i dubbi sulla Fiorentina. I viola realizzano troppo poco rispetto a quello che creano (l’ennesimo rigore sbagliato, stavolta da Ilicic nel secondo tempo, ne è in qualche modo la metafora) e sono sembrati inferiori per intensità e livello competitivo.

 

Le ambizioni della Fiorentina rimangono così sospese, così come il giudizio sulla squadra. Il percorso dei viola in Europa League è stato splendido, a eccezione della sconfitta contro il Siviglia; nel frattempo, però, si è sacrificata la competitività in campionato, dove ormai non resta che mantenere il quinto posto. Per il tanto atteso salto di qualità c’è ancora da aspettare.

 
 

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Alfredo Giacobbe è nato a Napoli, dove vive, scrive e lavora. Ha contribuito all'antologia "Rivali" (Einaudi, 2022) e ha scritto "Michael Schumacher, l'uomo dietro la visiera" (66thand2nd, 2023).

Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.