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I tennisti giocano troppe esibizioni?
16 ott 2025
I tennisti sono spesso presenti nelle esibizioni, ma si lamentano di giocare troppo.
(articolo)
11 min
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Nel corso del Masters 1000 di Shanghai ci sono stati quattro ritiri nella fase finale del torneo, forse il 1000 più prestigioso nella fase di calendario dopo lo US Open. Se allarghiamo il campo ai ritirati in generale dal torneo cinese sono tredici, con incluso il numero uno del mondo Carlos Alcaraz, scavigliato nel corso del torneo (poi vinto) di Tokyo della settimana precedente, e Jannik Sinner vittima dei crampi nella sfida con Tallon Griekspoor. Come sempre per l’ATP sono serviti i ritiri del numero uno e due per pensare che forse c’è qualche problema nella gestione dei tornei di tennis e delle condizioni sempre più estreme in cui si giocano. Sono state anche le settimane delle polemiche, per le frasi di Roger Federer sui campi rallentati “apposta” per favorire l’eterno ritorno del Sincaraz da parte degli organizzatori. Una tesi sposata con violenza da Alexander Zverev, nel mentre caduto vittima dei campi rallentati per favorire il suo avversario, il francese Arthur Rinderknech. Non voglio far sembrare che sia colpa di Zverev, ma proprio il tedesco durante la Laver Cup aveva ritirato fuori un’altra questione, che come le superfici rallentate, ritorna sempre: si gioca troppo.

Che a dirlo sia un tennista impegnato in un esibizione è ironico, ma quelli che hanno fatto più rumore sono stati il numero uno del mondo ATP Carlos Alcaraz e la numero due del mondo Iga Swiatek. La tennista polacca aveva giustamente fatto notare come durante lo swing asiatico ci siano tanti ritiri per la fatica accumulata in una stagione composta da undici mesi di tornei su dodici. Per Swiatek l’accento va sui tornei obbligatori, a sua detta troppi e che rendono la programmazione impossibile per una tennista, dicendo chiaramente che in futuro potrebbe decidere di saltarne alcuni. Un sentimento riecheggiato da Alcaraz, che si è lamentato degli obblighi riguardanti i 1000 e i 500 e che i tennisti, sostanzialmente, non possono scegliere quali tornei giocare e quali no. Proprio agli ATP500 faceva riferimento Zverev nel suo sfogo al podcast Nothing Major, condotto dagli ex tennisti americani Isner, Sock, Steve Johnson e Querrey. Dal 2025 è obbligatorio per i top-30 giocarne almeno 4, quando prima erano 3. Il tedesco si è scagliato anche contro i Masters 1000 a due settimane, troppo lunghi per tennisti e tifosi e che essenzialmente non piacciono a nessuno dei tennisti (e, aggiungo io, probabilmente anche dei tifosi).

Parliamoci chiaro, Alcaraz, Swiatek e Zverev hanno ragione nel merito. Si gioca troppo e a Ultimo Uomo avevamo provato a ripensare la stagione tennistica nel modo più realistico possibile. E anche nel mondo delle idee era comunque stata un’impresa riuscire a immaginare una stagione più corta e meno compressa, quantomeno sotto le regole attuali di valorizzazione dei 500 e dei 1000 a due settimane. I tennisti giustamente fanno la loro parte e sono contro il giocare tornei “minori” come i 500, ma quest’obbligo è stato una richiesta legittima da parte degli organizzatori di questa categoria di tornei per attrarre più stelle. E la logica è naturale, più top-30 ci sono più biglietti si staccano. E contando quanto poco profittevoli sono certi tornei di tennis, è normale che l’ATP provi ad aiutare gli organizzatori mettendo l’obbligo di giocare i 500, che però assieme a tutti gli altri tornei mandatory del circuito creano un ganglo per cui, come giustamente dice Zverev, un tennista di buon livello finisce a giocare minimo 20 tornei all’anno. Un numero che poi ti porta a situazioni come quella di Shanghai (o Montreal prima) di ritiri e punti pesanti dati in tabelloni palesemente falsati dal campo della competizione non adeguato al livello del torneo. Un tennis più hunger games che premio della qualità di gioco stessa.

D’altro canto bisogna parlare anche della ridicola ipocrisia dei top player stessi. Le dichiarazioni di Zverev sono arrivate durante… la Laver Cup. Un torneo che è inserito nel calendario ufficiale ATP (dopo lo US Open e prima della “terrificante” trasferta asiatica) ma che è di fatto un'esibizione molto strombazzata. I tennisti giocano comunque partite vere, e anche in pochissimo tempo, in un format del genere, ma nessuno di loro si è mai lamentato o ha mai detto di escluderla dal calendario. Mi rendo conto sia un argomento sandrocurziano ed è ovvio che ai tennisti fa piacere impegnarsi per un bonus di 250.000 dollari a testa in caso portino a casa la Laver Cup (ovviamente gli viene anche pagato un participation fee che varia in base al ranking). Il problema è proprio l’estrema dissonanza tra intenzioni anche buone e scelte di calendario fatte dai tennisti per massimizzare i propri profitti. È dura dire di no, contando che la carriera di un’atleta professionista va finché si riesce a sfruttare il proprio corpo, ed è un lasso di tempo ridotto rispetto a quasi tutti i lavori. Al contempo rende questi discorsi davvero poco credibili.

Prendiamo Carlos Alcaraz, che giustamente dice che ci sono troppi tornei obbligatori. Per certi versi lo spagnolo è il poster boy del tennis attuale, complice uno stile di tennis spettacolare e vario e che vuole divertirsi anche (e soprattutto) quando vince. Allo stesso modo Alcaraz quest’anno ha già giocato due partite d’esibizione in Australia, a inizio stagione. Un’altra esibizione contro Frances Tiafoe a Porto Rico, la Laver Cup e giocherà il 6 Kings Slam a Riyadh a metà ottobre. A questo va aggiunto il doppio misto dello US Open, un caso di tennis competitivo ridotto a esibizione, perso al primo turno in coppia con Emma Raducanu, un doppio che dà la misura del carattere scandalistico del torneo stesso. A dicembre il numero uno del mondo tornerà in campo a Newark il 7 dicembre per un'esibizione sempre con Raducanu, Tiafoe e Anisimova e il giorno dopo sarà a Miami per giocare contro la stella nascente Joao Fonseca. In sostanza un “al lupo, al lupo” che detto da un tennista che è disposto a giocare molte esibizioni, anche in passato, svilisce un po’ la causa stessa. Tant’è che ha lasciato la porta aperta a commentatori come Rennae Stubbs, ex tennista e allenatrice di Serena Williams, per poter attaccare Alcaraz. «Fa ridere perché, e io amo Carlos, ho visto recentemente che è iscritto a ogni esibizione di dicembre. È dura prenderli sul serio quando parlano di ridurre il calendario e poi tutto questo è per poter giocare esibizioni nei sobborghi di Miami».

Jannik Sinner è solito partecipare a meno esibizioni dello spagnolo, ma anche lui comunque ha preso parte alle esibizioni australiane e soprattutto giocherà il 6 Kings Slam. Com’è ipocrita da parte di Zverev e Alcaraz giocare tante esibizioni e poi lamentarsi del calendario sarebbe ipocrita anche da parte mia biasimare i tennisti che per giocare un massimo di tre partite a Riyadh a metà ottobre prenderanno 1 milione e mezzo di sola partecipazione e 13 milioni e mezzo in caso di vittoria del torneo arabo. Sempre Stubbs su questo è stata piuttosto severa. «È giusto giocare per i soldi. Allo stesso tempo non puoi lamentarti del calendario e di quanto è difficile e di quanto devi giocare se continui a giocare. La differenza è che stai giocando esibizioni e che non c’è pressione. [...] Nella Laver Cup nessuno si sveglia la mattina pensando mio Dio, spero di vincere oggi».

Alle esibizioni già citate va aggiunto l’Ultimate Tennis Showdown organizzato da Mouratoglou, ad ottobre a Hong Kong e a Londra a dicembre per il gran finale con tennisti di alto livello come Draper, De Minaur, Shelton, Rublev e Cobolli. In Australia è stata appena annunciata un’altra esibizione, piuttosto bizzarra, il Million Dollar 1 Point Slam, in cui ventidue pro (tra cui Alcaraz) sfideranno dieci tennisti amatoriali australiani in una partita di un punto, con tanto di finale sulla Rod Laver Arena. In questo caso è a fatica zero, ma è bene ricordare come in certi casi giocare troppe esibizioni nell'off-season danneggi i tennisti stessi. È il caso di Casper Ruud, che iniziò malissimo il suo 2023 e ammise di aver sbagliato la programmazione di fine 2022, in cui si era imbarcato in un tour sudamericano di esibizioni con Rafa Nadal. Il norvegese aveva programmato sostanzialmente di saltare l’off-season, avendo finito tardi per le ATP Finals e con la United Cup, obbligatoria all’epoca, a un solo mese di distanza. Per Ruud l’off-season praticamente era stata spostata a febbraio, tra la trasferta australiana e l’inizio della stagione su terra sudamericana e indoor europea, un ragionamento anche logico ma che racconta bene delle storture del calendario.

Casper Ruud, come spesso capita, ha rilasciato alcune dichiarazioni condivisibili sul tema.

È sbagliato anche colpevolizzare i tennisti, vittime e non carnefici di un sistema sportivo-capitalistico sempre più pressante e in cui la ricerca di un guadagno esponenziale sta cannibalizzando i calendari e i loro corpi. Non si può però separare il problema dai tennisti stessi, anche perché questa tipologia di critica arriva da tennisti che hanno la possibilità di guadagnare anche al di fuori del circuito ATP. Pensiamo anche a chi, che è anche tra i più “fortunati”, fa un buon torneo, come Learner Tien o Terence Atmane, ma a causa del suo ranking la settimana dopo deve cambiare sede e campi con un tempo minimo, non avendo a causa del ranking la possibilità di un bye o di una calendarizzazione migliore per status del tennista stesso. I tennisti di livello più basso, e non stiamo parlando neanche di al di fuori dalla top100, non hanno il lusso né di poter scegliere i tornei e tanto meno di arrivare in fondo a tutti, quindi il problema del calendario congestionato è molto meno pressante. E meno eventi comporterebbero, banalmente, anche meno soldi per tutti. Un cane che si morde la coda che è presente anche in altri sport come calcio e basket, dove ridurre le partite sarebbe sicuramente ottimo per la salute degli atleti ma comporterebbe una riduzione, almeno nel breve termine, dei ricavi stessi.

La PTPA è passata di moda ed è stata (giustamente) spernacchiata come la Superlega nel calcio. Un progetto per certi versi completamente fuori da ogni misura della realtà, ma che in realtà ha dei passaggi che con la questione dei troppi tornei, delle esibizioni e del calendario che sono purtroppo molto profetici. Nella proposta della PTPA c’era un passaggio che parlava proprio di questo, e in cui definiva “draconiano” il sistema di punteggio dell’ATP. “Le restrizioni del “cartello” non permettono ai giocatori di vendere i propri servizi a compratori che non siano il “cartello” stesso, danneggiando la competizione (tra tornei, nda) o alzando una barriera per la formazione di circuiti o tornei rivali che possano entrare o espandere il mercato”. Un riferimento al tennista come merce fatto da un'associazione di tennisti stessi, e soprattutto, più avanti nel documento, la PTPA lamenta che i tennisti non possano guadagnare punti ATP/WTA dalle esibizioni. Tutto questo è organico al tacito pensiero per cui i top player accetterebbero volentieri un “Super Tour” come quello di cui si parla dal post-COVID, finanziato dagli arabi e che accoglierebbe in un sistema semi-chiuso i migliori tennisti del mondo.

Probabilmente le parole più sagge sulla vicenda le abbia avute il promotore principale della PTPA, Novak Djokovic. Non che Djokovic non abbia dimostrato in passato coscienza politica e collettiva, anzi, assieme alla proposta delle esibizioni con punti il documento della PTPA ha anche dei punti legittimi sulle condizioni sportive ed economiche dei tennisti di classifica più bassa. «Il sistema è questo da quarant’anni e ci sono molti che non cambierebbero nulla per il bene dei tennisti, questo perché ognuno, giustamente, fa i propri interessi. [...] Sono qui da vent’anni e posso dire che i tennisti non sono uniti. Non partecipano abbastanza quando dovrebbero. Si lamentano ma poi queste cose cadono nel nulla. E se qualcosa è sbagliato tornano a farlo dopo qualche tempo». E non si può che dare ragione a Djokovic, che queste dinamiche le conosce molto bene, e appunto è stato l’unico negli ultimi anni a mettere minimamente in dubbio il monopolio (non necessariamente positivo) della ATP.

Lo scollegamento tra i top player, specialmente l’élite, e il resto dei tennisti è più forte che mai e si vede anche da queste dichiarazioni. Basti pensare anche al ruolo che per anni hanno ricoperto Federer e Nadal, i rappresentanti del tennis mondiale, nel Player Council ATP, per molti tennisti con risultati non soddisfacenti. Ed è normale, nello sport più individualista che c’è, che i top abbiano problemi differenti, e al contempo è sbagliato da un lato pretendere che risolvano loro i problemi, dall’altro dargli credito per battaglie che possono interessare solo a loro. Abbiamo visto come il ritiro di Sinner in polemica con le partite notturne di Bercy l’anno scorso abbia fatto nascere una nuova regola ATP sul non iniziare i match troppo tardi, che serviva da anni, oppure dopo i crampi sempre di Sinner a Shanghai si parli finalmente di una heat policy, anche qui una necessità da anni e anni. Come sempre è servito il potere politico di un top, diretto e indiretto, per portare avanti cambiamenti banali, ma molto lenti, in uno sport lento a reagire. E anche in questo non sbaglia Novak Djokovic, «[...] è necessario che i giocatori più forti, in particolare, si siedano, si rimbocchino le maniche e si preoccupino un po' di più di partecipare attivamente alla comprensione di tutti i problemi più attuali. Perché uscire sui media e parlare di questo e quello, ok, potrebbe suscitare un po' di attenzione. Ma alla fine, non cambierà nulla, capisci? Lo so per esperienza personale».

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