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Il niente è il vero fulcro della Serie A
21 ott 2025
Un omaggio al record negativo di gol segnati raggiunto dal nostro campionato.
(articolo)
9 min
(copertina)
Opera di Luigi Ghirri
(copertina) Opera di Luigi Ghirri
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La settima giornata della Serie A 2025/26 è già storia: mai in un campionato a 20 squadre nel nostro Paese si era segnato così poco, 11 gol in 10 partite. Se lo chiedete a me, si può fare di meglio: attentare a un aritmetico 10 gol in 10 partite, che abbiamo mancato solo per colpa di Zaniolo che, come in ogni storia che lo riguarda, deve finire dalla parte sbagliata anche quando in teoria è quella giusta.

Prima di ieri, il record negativo per la Serie A a 20 squadre era fissato a 13 gol (undicesima giornata della stagione 2004/05), mentre per avere una giornata da 11 gol bisogna tornare al marzo 1994 e alla Serie A a 18 squadre. Ma non è con il nostro passato che dobbiamo confrontarci, sebbene questi dati ci aiutino a capire quanto insolito sia stato ciò che è accaduto in questi ultimi giorni di Serie A. È col presente che dobbiamo farlo, perché il calcio, come tutto quello che ci circonda, non si crea, non si distrugge, ma si trasforma, evolve. E allora perché nell’ultimo turno di Bundesliga sono stati segnati 33 gol in 9 partite? E perché in Ligue 1 ne sono arrivati addirittura 40, sempre in 9 partite? E potrei continuare: a un certo punto nella singola partita tra Feyenoord e Heracles (7-0 finale) si erano segnati più gol che in una quasi piena giornata di Serie A.

Voi potreste dirmi che 7-0 non è calcio e io, da italiano, potrei anche essere d’accordo. Ma il nostro, invece, è calcio? Quando arriveremo alla perfezione, e cioè una giornata da 0 gol in 10 partite, ci abbracceremo? Festeggeremo questo traguardo come gli scienziati festeggiano la scoperta di una nuova unità infinitesimale?

In attesa di scoprire se riusciamo a rendere il calcio un evento ancora più vuoto di così, questa settima giornata è la ciliegina sulla torta di una tendenza che va avanti già da un po’, e di cui avevamo scritto appena pochi giorni fa qui su Ultimo Uomo: in Italia non si segna, zero, neanche con le mani. Le ragioni sono tante, ma non sarò io a indagare questa mancanza di reti gonfiate dal pallone, perché ci sarebbe da disperarsi.

Io qui invece vorrei provare celebrare tutto il resto, tutto ciò che in questa giornata non è stato gol. Se consideriamo una media di 6 minuti di recupero tra primo e secondo tempo, la settima giornata è durata più o meno 960 minuti. Se non siete bravi in matematica, vi faccio io il calcolo: sono 16 ore. Quante cose possono succedere in 16 ore? Ho chiesto all’intelligenza artificiale e la sua risposta più interessante è stata: Un innamoramento, un litigio, una riconciliazione — tutto nello stesso giorno. Non so quanto possa essere vero, ma è un buon gancio: nel tempo in cui si disputa un intero turno di Serie A può succedere di tutto oppure non può succedere niente. In Serie A non è successo niente.

E questa è la sua celebrazione.

COME UN SEGNALE
Il calcio d’inizio della prima partita della giornata, Pisa-Verona, sembrava promettente.

Il Pisa di Gilardino si schiera arrembante sulla linea di centrocampo per attaccare la trequarti sinistra del Verona appena battuto il calcio d'inizio. Sul successivo lancio lungo in pochi secondi si susseguono uno, due, tre, quattro duelli. I giocatori del Pisa sentono un’urgenza di segnare anche eccessiva, visto il momento, ma non riescono a sfondare un muro di maglie gialle. Dopo una serie di rimpalli, arriva un cross a caso dalla trequarti sinistra respinto (forse il marchio di fabbrica della Serie A attuale). Ne esce un pallone verticale che va verso la difesa, rigorosamente a tre, del Pisa, un pallone da rigiocare abbastanza tranquillamente, ma che Marin preferisce buttare fuori di testa.

È come un segnale: tutti si rilassano, ora può iniziare il niente. Lo capisce anche la regia, che si mette a inquadrare Gilardino, che scopro avere una stella tatuata sul gomito. La cosa positiva delle partite in cui non succede niente, è che ti trovi a osservare piccoli dettagli che magari non avevi mai notato. Cham ci metterà esattamente 20 secondi per battere la rimessa, ovviamente all’indietro, a cui seguirà un altro minuto di gioco fermo, che vi risparmio, per medicare un calciatore del Pisa alla testa. Poi ci sarà un lancio lungo e una rimessa dal fondo.

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Secondo alcuni studi statistici, per segnare un gol ci vogliono tra i 15 e 17 secondi. Questo vuol dire che l'idea del Pisa non era così sbagliata: segnare entro i primi 20 secondi. Il problema è che poi nella partita ci sono stati altri 89 minuti e 40 secondi in cui il Pisa non ha cercato di segnare (il Verona, per onestà intellettuale, ci ha provato di più, ma non ci è riuscito perché i suoi attaccanti sono disperatamente inadatti al gol).

Ora concedetemi un po' di altra matematica astratta (nel senso che non so bene cosa sto facendo): se per segnare un gol ci vogliono tra i 15 e 17 secondi, e se le partite di calcio fossero solo tempo effettivo, due squadre avrebbero un totale di 360 potenziali azioni da gol. In Serie A, però, il tempo effettivo è di 52 minuti e 55 secondi, il 7% in meno rispetto agli altri 4 migliori campionati in Europa. Questo porta le possibili azioni da gol a 198 a partita in Serie A. Quasi la metà. Capite che è un problema. Certo, questo vuol dire anche che, comunque, nell’ultimo turno ci sono state 1980 possibili azioni da gol, da cui sono arrivati un totale di 11 gol. Da qui potete continuare voi con i calcoli per capire quanto ridicolmente poco sia.

IL PORTIERE COME RIDUZIONE DEL RISCHIO

Una volta ci saremmo esaltati a vedere questa immagine, Wladimiro Falcone come Neuer, come Ter Stegen, quel momento in cui i portieri stavano diventando i nuovi centrali difensivi in fase d’impostazione, per far guadagnare un uomo in più alla propria squadra in una delle linee più avanzate. Qui però è tutto più triste, ridimensionato: i giocatori sembrano come sparsi a caso sul campo, come un lancio di dadi. Falcone col pallone tra i piedi diventa allora non un mezzo, ma un fine: se il pallone ce l'ha il mio portiere e gli altri sono lontani, non sto rischiando di prendere gol.

È un cortocircuito: da una parte c’è chi continua a vedere nei portieri che usano i piedi il male del calcio giochista, dall’altra c’è la realtà, e cioè che in Serie A i portieri vengono coinvolti così tanto perché nessuno vuole prendersi dei rischi passando un pallone in avanti, magari proprio in verticale.

Lo sappiamo, un passaggio all’indietro è sempre meno pericoloso di uno in avanti, ma se non è propedeutico a qualcosa, se è fatto tanto per non rischiare niente, diventa la tomba del gioco come atto ludico. Non vedete in queste frasi un senso necessariamente negativo: «Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti», ha detto forse Arrigo Sacchi (in realtà è una frase attribuita a molti), e mi sembra che questo sia il vero filo conduttore che collega la maggior parte degli allenatori in Serie A. Subire un gol è una vergogna così grande che prima di tutto bisogna evitarlo. Il resto poi si vede: c'è sempre un calcio d'angolo o un rigorino da sfruttare.

Come esempio avrei potuto scegliere praticamente tutti i portieri della Serie A, se ho scelto Falcone è perché a essere rivelatoria è anche la posizione del Sassuolo: sono tutti dietro. Una volta il Sassuolo era uno dei laboratori tattici della Serie A, un posto dove sviluppare giocatori e allenatori senza la pressione del risultato, magari anche prendendo tanti gol, ma mostrando sempre qualcosa di interessante. Quest’anno, però, anche loro non sembrano molto disposti a fare la figura dei fessi - fessi almeno in questa idea italiana (che, da italiano, non riesco a ripudiare totalmente). Il risultato è che dai piedi di Falcone è nata questa azione, tanto per tornare a quel concetto di niente come vero fulcro della Serie A.

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SIAMO SCARSI?
11 gol in 10 partite però non possono essere tutta colpa del nostro conservatorismo. Segnare è anche un atto individuale. Se non succede, vuol dire che qualcuno non sta facendo bene il suo lavoro. È stato un turno di serie A ricco di errori sotto porta, di cui magari avete visto il più tremendo, e cioè quello di Dovbyk contro l'Inter. Ma non sono qui per puntare il dito contro uno, due o tre persone. Mi sembra che, in generale, i calciatori della Serie A abbiano dei grossi problemi quando si tratta di fare una giocata decisiva, che sia un gol o un passaggio giusto negli ultimi 20 metri di campo.

Roma-Inter è stata indicativa in questo senso: doveva essere la partita di cartello della giornata, ma non è stato un bello spettacolo, a meno che non vi piacciano gli interventi fallosi (che, per carità, ci sta).

Guardandola, mi ha fatto impressione la prestazione di Mkhitaryan. L’armeno ha disputato una partita piena di grandi giocate senza palla, non banale per un 36enne, ma poi quando si trattava di rifinire o concludere a rete sembrava sempre poco lucido. Possibile che un giocatore in grado di segnare 20 gol e fare 20 assisti in una stagione sia diventato uno a cui dedicano questi meme?

Se in Serie A si sbaglia così tanto e perché gli allenatori mettono in difficoltà i loro calciatori o perché, semplicemente, i giocatori sono scarsi? E una delle domande che ci portiamo dietro da questa benedetta settima giornata. Addirittura si è arrivati a discutere se la Juventus è più forte del Como. Senza entrare nel merito, se possiamo anche solo chiedercelo è indicativo dello spirito del tempo.

La Juventus, non devo dirvelo io, è storicamente la squadra italiana coi giocatori più forti, che spende di più, che domina il mercato. In campo però sembra che qualcosa si sia rotto. Ecco una delle giocate di David di ieri: vi sembra una giocata da calciatore della Juventus?

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E allora, il problema è David o è Tudor? Oppure forse è il sistema Juventus nel suo complesso, dalla dirigenza ai giocatori? Come detto non sono qui per dare risposte, ma per evidenziare come una giornata da 11 gol in 10 partite non nasca dal caso, anche se, magari, se tizio fosse stato più preciso e caio meno frettoloso avremmo avuto una giornata da 14 gol in 10 partite e nessuno avrebbe detto nulla.

SERIE A PER MEDITARE
Mi accorgo che volevo parlare del niente e che invece sono finito a fare l’esatto contrario, e cioè elencare una serie di motivi per i quali in questa giornata - e più in generale in questa stagione - si è segnato così poco in Serie A. Parlare del niente è un’operazione più complicata del previsto e qui non siamo alla Storia Infinita. Non posso prendere la noia di una partita di Serie A e trasformarla nel cattivo, antropomorfizzarla con l’intelligenza artificiale e piazzarla dentro le partite di Serie A.

Parlare del niente della Serie A è un esercizio complicato come la meditazione, richiede grande concentrazione e capacità di astrazione. Come si arriva al nirvana? Come si entra in vera connessione con tutto questo niente che ammanta la Serie A? Vorrei avere la risposta, ma non ce l'ho.

Posso consigliarvi di guardare tutto in fila il secondo tempo di Genoa-Parma, il primo tempo di Milan-Fiorentina, larghi tratti di Cagliari-Bologna, le azioni offensive del Verona e quelle difensive del Sassuolo. Ma, credo, se seguite il calcio e la Serie A, avete bene in mente cosa intendo quando parlo del niente e perché mi sarebbe piaciuto celebrarlo in queste righe (che, lo so, potevano essere niente).

A questo punto mi piacerebbe avere qualche bella frase da usare sul niente per chiudere, una citazione di Marco Belpoliti sulla Pianura Padana, qualcosa che riportasse tutta questa insensatezza verso di noi, verso la nostra cultura e la nostra tradizione. Non ce l’ho. Posso solo dirvi che, secondo alcuni, Less is more, una frase che magari è vera se sei l’editor di Raymond Carver, ma che lo è meno se sei noi, ovvero quelli che queste 16 ore le hanno passate, chi più e chi meno, davanti al televisore.

A tutti voi io dico forza: il niente è meglio del niente.

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Il niente è il vero fulcro della Serie A