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Grande, grosso e molto forte a giocare a calcio
11 feb 2022
11 feb 2022
Dopo anni rischiamo di dimenticare la sua eccezionalità.
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13 min
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Dobbiamo parlare di Sergej Milinkovic-Savic. Ancora? Dopo sei stagioni in Italia - questa è la settima - cosa resta da dire? Chi non conosce Sergej Milinkovic-Savic? Uno dei migliori centrocampisti del campionato, forse al mondo, alto un metro e novanta (novantuno, per la precisione) ma con i piedi da numero dieci, forte come un muro che ti viene addosso mentre stai fermo al semaforo ma con la grazia di un ballerino classico; voluto da Manchester United, Paris Saint-Germain, Real Madrid, Bayern Monaco e potenzialmente qualsiasi altra squadra che ambisca a vincere tutto quello che c’è da vincere. Eppure non sento grande eccitazione, non se ne parla come di un giocatore eccezionale per il nostro campionato, di quelli che alzano il livello. Quando c’era Pogba, sì che si sentiva l’eccitazione. Quando c’era Lukaku, anche. Quando c’era Cristiano Ronaldo, neanche a parlarne. Ma con Milinkovic-Savic no. Milinkovic-Savic è dato per scontato.

Dipende, almeno in parte, dal fatto che Sergej Milinkovic-Savic non fa nulla per sembrare qualcosa di diverso, o di più, di quello che è: un uomo grande, grosso e molto forte a giocare a calcio. Ha lo stesso taglio di capelli da quando a vent'anni ha vinto il Mondiale Under 20 con la Serbia e nonostante il corteggiamento dei club citati gioca nella stessa squadra che lo ha portato in Serie A, alla Lazio dove non ha l’attenzione che avrebbe se giocasse in una delle tre squadre italiane più famose, più importanti. Anche il suo stile in campo è più o meno sempre quello, con degli alti e dei bassi certo, delle serate in cui è in god-mode e altre in cui sembra quasi nascondersi nel contesto della gara. Al massimo, a voler proprio scendere nei dettagli, esistono due Sergej Milinkovic-Savic: uno senza pizzetto e uno col pizzetto. Il che, però, non dovrebbe rendere meno eccezionale e meritorio del nostro stupore quello che Milinkovic-Savic fa nel nostro campionato - quello che fa al nostro campionato - da sette anni a questa parte.

Brevi note biografiche per chi, appunto, dà per ovvia la presenza di Sergej Milinkovic-Savic alla Lazio e lo considera come quel parente che vede solo a Natale a cui non chiede più notizie su come vanno le cose perché tanto vanno sempre nello stesso modo. Tanto per cominciare, è nato in Catalogna, dove il padre faceva il calciatore, per questo sia lui che il fratello Vanja, di due anni più giovane, hanno il doppio cognome (mentre la sorella Jana si chiama solo Milinkovic). La madre giocava a pallacanestro. Una volta tornati in Serbia ha esordito a 18 anni nel Vojvodina, squadra che lo ha cresciuto, poi ha giocato un anno al Genk ed è stato subito preso dalla Lazio (scippato all’ultimo alla Fiorentina, con cui aveva praticamente già firmato, qui c'è una sua foto al Franchi). Dopo una stagione di adattamento è diventato il Milinkovic-Savic che conosciamo. Alla fine del campionato 2016-17 lo definivamo già: «un rebus di difficile soluzione per i centrocampisti avversari», e all’inizio di quello successivo Marco D’Ottavi ha fatto il paragone con gli unicorni che popolano l’NBA («La Lazio potrebbe metterlo davanti al Colosseo e invitare gruppi di turisti a rubargli il pallone: non ci riuscirebbero»). Valeva 9 milioni quando è arrivato e adesso ne vale, boh, cento? Duecento? Tutto qui, più o meno.

Milinkovic-Savic è un serio professionista di poche parole, fedele alla causa biancoceleste. Legato alla Lazio e che, della Lazio, ha fatto la fortuna recente insieme a Immobile e Luis Alberto. Ha vinto una Coppa Italia e due Supercoppe, ha lottato sempre per un posto in Champions e nella stagione 2019/20, prima della pandemia, ha lottato anche per lo Scudetto. Anzi, dopo la vittoria casalinga per 3-1 sulla Juventus di Sarri (era, appunto, il dicembre del 2019, un periodo che se la nostra vita fosse un film sarebbe descritto con leggerezza esagerata solo per fare da contrasto all’arrivo imminente dell’asteroide) sembrava che la Lazio potesse davvero vincerlo, per la prima volta dopo vent’anni. E in quella partita aveva fatto un gol pazzesco, muovendosi sulla linea degli attaccanti, scivolando alle spalle della difesa juventina senza fare rumore, spostando de Ligt e controllando il lancio di Luis Alberto con una delicatezza davvero fuori dal comune, prima di concludere in diagonale con il sinistro.

Maurizio Sarri, alla fine di quella partita, aveva detto che la Lazio era una squadra «che spesso viene considerata come una squadra fisica che invece ha grandissime qualità, grandissime potenzialità anche dal punto di vista tecnico», un discorso che sembra adatto a descrivere soprattutto Milinkovic-Savic.

Quindici giorni dopo la Lazio ha battuto di nuovo la Juventus in Supercoppa (3-1, a Ryad) e a febbraio, subito prima del lockdown, ha battuto 2-1 l’Inter - in quella partita Milinkovic-Savic ha prima rotto la traversa con un tiro da trenta metri, poi ha segnato il gol della vittoria risolvendo una mischia in area di rigore, ricavandosi lo spazio per il tiro a giro, rasoterra, di sinistro, con un movimento di suola - e la Lazio è volata al secondo posto, con 16 vittorie e 2 pareggi in 18 partite consecutive.

Poi è arrivata la pandemia, a luglio la Lazio ha fatto 1 punto in 5 partite e lo Scudetto lo ha vinto la Juve.

Diciamolo meglio. Quello che rende eccezionale questo è gol è che Milinkovic-Savic fa due cose difficilissime contemporaneamente: vince il duello fisico con de Ligt con la parte sinistra del corpo, e con quella destra va a prendere la palla a mezz’aria con il collo del piede.

La passata stagione la Lazio era stanca, Simone Inzaghi stava per andare via e, come ogni anno, si diceva che sarebbe andato via uno, o più di uno, dei tre giocatori migliori. Dopo un grande mese di gennaio (6 vittorie consecutive) si sono avvicinati al quarto posto, ma dopo la sconfitta con l’Inter di inizio febbraio (3-1) sono tornati in zona Europa League. Forse anche a causa della stanchezza della Champions League, finita agli ottavi di finale sotto i cingoli del carrarmato del Bayern Monaco. In Coppa Italia anche non sono andati oltre i quarti di finale con l’Atalanta. Lui è sembrato in calo, come la Lazio tutta, intrappolata in una stagione di passaggio, se non addirittura di fine ciclo.

Quando poi è arrivato Sarri qualcuno ha pensato che Milinkovic-Savic non fosse adatto al suo gioco. Nelle interviste di inizio stagione, a luglio, lui stesso raccontava: «Il Mister mi ha detto che si giocherà molto palla a terra. Cercherò comunque di fare il mio, come facevo prima». Come se giocare rasoterra per lui fosse un problema, o se, cambiando sistema, passando dal 3-5-2 al 4-3-3, potesse avere qualche difficoltà ad adattarsi.

Oggi, sei mesi dopo, è il giocatore di Sarri con più minuti in campo. Viene persino cercato di più dai suoi compagni rispetto alla scorsa stagione - con 73.4 passaggi p90 secondo Whoscored, contro i 65.4 dell’anno passato; secondo Statsbomb nella stagione 2021/22 è addirittura il secondo giocatore del campionato campionato ad essere stato il target di più passaggi in assoluto - ed ingaggia più o meno gli stessi duelli aerei degli anni passati - 3.20 nella stagione corrente; 3.11, 3.56, nelle due precedenti.

Insomma, Sergej Milinkovic-Savic è tornato a brillare. Ancora pochi giorni fa, però, Sarri ne ha parlato… come dire… senza eccitazione. Dopo la vittoria con la Fiorentina, un 3-0 che lo aveva spinto a ricordare i bei tempi in cui allenava il Napoli - in cui Milinkovic-Savic ha segnato un gol bellissimo sfruttando il buco creato da Immobile e la palla di esterno fantascientifica di Zaccagni, con una finalizzazione di prima, un piatto freddo e preciso che non tutti i centrocampisti hanno nel proprio repertorio - Sarri ha detto, chiamandolo Sergio, che «sta facendo un percorso, ha ancora margini di miglioramento».

Insomma, mi pare un po’ poco per un centrocampista che ha già segnato 8 gol e fatto 6 assist quest’anno (per Statsbomb, la Lega Serie A gliene conta 8). In che senso dovrebbe ancora migliorare, quale aspetto del suo gioco non è sufficientemente definito? A me, francamente, pare che sia difficile chiedergli di più.

A livello statistico Sergej Milinkovic-Savic è praticamente senza paragoni. È uno dei migliori del campionato per passaggi effettuati nell’ultimo terzo di campo, per tocchi nell’area di rigore avversaria, per tackle vinti, per duelli aerei vinti, per tiri effettuati, per xG e xA. È quello che ha giocato più palle filtranti in assoluto, e i filtranti di Milinkovic-Savic scivolano sul campo come palle da bowling sul parquet oleoso - oppure, considerata l’attualità, sassi sa curling, solo più veloci.

D’accordo, le statistiche sono per pochi. Allora ditemi, quanti altri centrocampisti di un metro e novanta possono avere video YouTube in cui vengono paragonati, non ironicamente e senza sembrare ridicoli, a Zinedine Zidane?

Il paragone con Zidane, a dire il vero, non lo hanno fatto solo gli utenti pazzi di YouTube ma anche persone serie, al punto che in una vecchia intervista della FIFA (niente di meno) lui risponde imbarazzato dicendo di sentirsi lusingato dal confronto ma di ispirarsi piuttosto a gente come Yaya Touré o Matic. Ha detto anche detto di aver ammirato Raul, che per chi non lo avesse visto all’opera è stato il miglior attaccante al mondo nei movimenti senza palla in area di rigore, e Zlatan Ibrahimovic.

Recentemente ha accettato il paragone con Hamsik, un altro fenomeno nei movimenti senza palla. E in effetti Milinkovic-Savic è un giocatore che va osservato quando la palla la hanno i suoi compagni, per notare i movimenti continui con cui si rende disponibile e, quando la palla ce l’ha uno come Luis Alberto o Zaccagni, scatta in profondità. Per come prende posizione in area di rigore, nella zona del dischetto dove può colpire in mezzo ai migliori centrali difensivi, o sul secondo palo dove può sovrastare senza sforzo apparente anche giocatori come Perisic (che in ogni caso è alto 1.86), come successo nell’1-1 con l’Inter a ottobre 2020.

Di Zlatan gli manca il senso dello spettacolo, dentro e fuori dal campo. Il massimo della spavalderia che si concede è chiedere mezzo punto in più al Fantacalcio per un assist di tacco, oppure esultare come un meme ¯\_(ツ)_/¯. L’atletismo di Milinkovic-Savic è meno assurdo, meno innaturale. Non è elastico come un kickboxer, non ha neanche la tecnica da ragno di Yaya Touré, quella capacità di coprire settanta metri di campo con quattro passi. Ma non è neanche statico come Matic. La sua forza sta proprio nel dinamismo - che è anche intelligenza tattica e sensibilità spaziale - unito a una solidità da rugbista, da lottatore, che lo rende materialmente diverso dagli altri calciatori, come se fosse fatto di una materia diversa, come se la sua carne fosse più dura. Se gli altri calciatori sono dei muri normali, Milinkovic-Savic è un muto portante. Questo tipo di solidità.

E poi c’è quella tecnica che gli permette di giocare a qualsiasi ritmo e in qualsiasi spazio con la palla - in velocità, semmai, soffre la fase difensiva, contro avversari più rapidi e in campo aperto, ma è un discorso diverso - usando la suola, restando a testa alta e ruotando sul pallone, finendo a giocare quasi sulle punte, scivolando come se avesse i pattini, con la rapidità che deriva dall’eleganza, dalla fluidità, più che dall’esplosività dei quadricipiti. Quella tecnica che gli permette di scherzare con gli avversari, sorprenderli, cercare soluzioni controintuitive; di calciare con il destro e con il sinistro quasi indifferentemente, di giocare sul corto come sul lungo, di cambiare campo, di tagliarlo in due.

Nella stessa azione è una palla demolitrice che colpisce Vlahovic e poi una specie di nebbia che Torreira non riesce a fermare, che gli passa di lato mentre la palla scorre sotto le sue gambe.

Si tratta di uno dei calciatori più completi del calcio europeo, che fa alla grande tutte quelle cose che i centrocampisti di alto livello devono saper fare quanto meno bene, cose spesso discrete, poco visibili. I controlli sotto pressione, i movimenti senza palla, i duelli aerei, i passaggi che servono a cucire il gioco, a iniziare l’azione d’attacco che poi altri portano avanti. Tutte cose che Sergej Milinkovic-Savic fa troppo meglio di chiunque altro per passare inosservato come altri ottimi centrocampisti. Non che non faccia anche cose importanti, vistose e sorprendenti, solo che non c’è grande differenza nel modo in cui effettua le cose semplici e ripetitive e quello con cui esegue gesti tecnici eccezionali. Mi fa venire in mente quando da ragazzo, su Pes, creavo la mia squadra di calcio, con me stesso e i miei compagni di squadra, alzando tutti i valori al massimo.

Non c’è un ambito in cui si sia specializzato, a parte forse i duelli aerei, che vince a volte come se fosse solo in mezzo al campo (come, cioè, se non ci fosse un altro uomo, un altro atleta, che prova a spingerlo per spostarlo e contendergli la palla) ma in ogni caso è così forte nel gioco palla a terra, anche nello stretto, che è difficile ridurlo a quella dimensione. Da giovane diceva di immaginarsi bene come regista, ma sarebbe un peccato tenerlo bloccato davanti alla difesa; così come sarebbe riduttivo metterlo sulla trequarti e fargli stoppare la palla di petto, per quanto sia sublime il modo in cui usa la parte alta del suo busto, dominando gli avversari e al tempo stesso eseguendo dei controlli orientati che gli permettono di andare in qualsiasi direzione del campo (in questo, se permettete, mi ricorda il miglior Fellaini).

E qui, che palla dà a Immobile mentre si difende da un’avversario che prova a togliergliela da dietro, di mezzo collo, mezzo esterno, con un giro all’indietro che la fa fermare al contatto con l’erba, giusto giusto al centro dell’area di rigore?

In realtà, se è vero che da un lato non si è evoluto moltissimo rispetto al giocatore che era cinque o sei anni fa, è vero anche che nella Lazio ha trovato un sistema di gioco e dei compagni ideali per esprimere tutte le sue qualità. A seconda dei casi può partecipare alla costruzione offensiva in modo sicuro, conservativo, o andare in verticale in profondità con filtranti che rasano il campo per Immobile o Lazzari; può palleggiare con gente come Pedro o Felipe Anderson (in passato con Correa), oppure ricevere i lanci lunghi di Reina, e quando si muove negli spazi che lo stesso Immobile gli crea può ricevere i filtranti, altrettanto taglienti, di Luis Alberto o Zaccagni.

Tra due settimane (il 27 febbraio) compirà 27 anni e il suo contratto con la Lazio arriva fino a quando ne avrà 29. Sono altre due stagioni oltre a questa in corso. Lui non sembra avere fretta di andarsene ma è impossibile non immaginarlo altrove, anche solo per curiosità, per vedere cosa sarebbe in grado di fare. Se non è cambiato molto è anche per questo: non è cambiato molto neanche quello che aveva intorno. Felipe Anderson ha fatto in tempo ad andarsene e tornare che Milinkovic-Savic era ancora lì. Persino Sarri non sta cambiando granché il gioco della Lazio, che come negli anni passati sembra dipendere dalla capacità di associarsi dei suoi migliori giocatori.

Fino ad oggi a Milinkovic-Savic è stato chiesto di migliorare, e magari quello che si intende è che dovrebbe essere ancora più decisivo, mettere in maggiore evidenza le sue qualità in rifinitura e finalizzazione (ancora di più?). Ma questo significherebbe rinunciare a tutto il lavoro che svolge da vero e proprio centrocampista, in cui sembra divertirsi un mondo. Distruggere, creare, cominciare e finire l’azione, già così Milinkovic-Savic è praticamente due giocatori in uno. Se non forse tre: centrocampista, trequartista e all’occasione seconda punta.

Sergej Milinkovic-Savic è una luce in una Serie A piuttosto buia, a corto di campioni e della fiducia necessaria per costruirne di nuovi. Dopo sette anni, di fronte alla sua ennesima grande stagione di Sergej Milinkovic-Savic, siamo ancora qui a ripetere quanto è assurdo, quanto è unico, e quanto sia una fortuna averlo proprio nel nostro campionato.

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