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Fabrizio Gilardi
See You Next Year: secondo turno
19 mag 2017
19 mag 2017
Dopo le semifinali di conference dei playoff, facciamo il punto su cosa attende le quattro squadre eliminate
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Fabrizio Gilardi
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Uscire al secondo turno dei playoff può essere un buon risultato, un risultato ok, un incidente di percorso o una drammatica presa di coscienza della realtà dei fatti. Quando il bicchiere sembra mezzo pieno e la situazione tecnica e salariale della squadra è serena, quasi non si fa caso alla sconfitta. Ma quando il bicchiere sembra tremendamente vuoto, bisogna prendere decisioni di un certo tipo. E se non si ha il pieno controllo della situazione, si è messi circa come

.

 


Alt! Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!



 

 



 

Ora di gara-6, James Harden era sfinito e certamente malato, probabilmente al punto da avere bisogno di una o più flebo per poter scendere in campo, come rivelato da Sam Amick, giornalista di

che ha avuto la possibilità di seguire da vicinissimo i playoff di Houston — comprese alcune riunioni riservate agli allenatori, come rivelato

; l’infortunio di Nenê ha costretto D’Antoni a spingere l’utilizzo di Capela oltre le potenzialità del suo motore, che secondo dati in possesso dello staff medico della squadra rende al meglio quando impiegato per 25 minuti a partita, con il risultato di mandarlo fuori giri; e le rotazioni cortissime dell’architetto del “Seven Seconds or Less” hanno sicuramente contribuito a far sì che tutti i giocatori del roster siano arrivati col fiato corto a quella che poi si è rivelata essere la partita decisiva.

 

Ma il tonfo di gara-6 è stato talmente fragoroso e con pochi precedenti che queste motivazioni — oltre a tutte le possibili critiche che si possono portare al “Moreyball” e anche ulteriori congetture su qualsiasi screzio o litigio che possa aver avuto luogo tra i giocatori o tra giocatori e allenatori o dirigenti — non bastano a spiegarlo fino in fondo.

 


E nemmeno per metà, dato che non si è salvato nessuno.



 

Quindi sì, sugli ultimi 53 minuti (includendo il supplementare di gara-5, anch’esso giocato contro degli Spurs privi di Kawhi Leonard) della stagione occorrerà fare profonde riflessioni a freddo, valutando la possibilità di allungare le rotazioni e di inserire nel playbook offensivo versatilità e contromisure per le situazioni in cui transizione e pick and roll alto non sono sufficienti. Ma non si può pensare che possano cancellare o anche solo mettere in secondo piano le 55 vittorie in regular season e, appunto, il fatto che i Rockets siano arrivati a giocarsi gara-5 delle semifinali di Conference a San Antonio al supplementare sul 2-2, risultato per cui in autunno si sarebbe messa la firma col sangue.

 

Salvo clamorosi, impronosticabili e poco logici scossoni quindi gli Houston Rockets edizione 2017-18 saranno pressoché identici a quelli appena visti, dato che con i circa 12 milioni di dollari disponibili sotto al salary cap Morey dovrà preoccuparsi quasi esclusivamente della conferma di Nenê (in scadenza di contratto) o della firma di un altro lungo di rango equivalente, che sia in grado di suddividersi compiti e minutaggio con Capela.

 

Quanto ad Harden, l’ultima partita giocata così male da una superstar in una situazione paragonabile è forse la gara-6 (eh sì) di LeBron pre-Decision, nelle Finali di Conference (eh già) 2010 della Eastern Conference, tra sospetti sulla salute (in quel caso di un gomito), voci secondo cui aveva già iniziato a decidere di portare i propri talenti a South Beach e altre teorie del complotto che, in fin dei conti, tutto hanno fatto tranne che affossare la sua carriera.

 

A breve potrebbe avere in più un premio di MVP (difficile) e circa 170 milioni (in 4 anni) sul conto in banca, dato che l’inclusione del primo quintetto All-NBA (unico a ricevere l’unanimità) gli consentirà di firmare già quest’estate la nuova Designated Player Veteran Extension. Soprattutto si spera che a causa dell’epilogo della stagione abbia l’ennesima scimmia sulla spalla da far sparire, perché James Harden con qualcosa da dimostrare diventerebbe patrimonio dell’UNESCO.

 

 



 

Come i Rockets, anche gli Wizards hanno nettamente

, hanno ottenuto un risultato finale più che positivo al primo anno sotto una nuova gestione tecnica e quindi con la possibilità di margini di ulteriore crescita, dato che hanno relativamente poche decisioni cruciali da prendere e potrebbero confermare tutti i giocatori di riferimento. Come Harden, anche John Wall ha giocato la miglior stagione della carriera, potrà firmare la mega estensione ed è

, dopo aver

per mezza Eastern Conference con prestazioni per le quali si fa fatica a trovare i giusti aggettivi.

 


13 Reasons Why.



 

Lui e Bradley Beal — l’ultimo ad arrendersi contro i Celtics e protagonista a propria volta di una stagione superlativa — sono garanzia di competitività, il quintetto titolare si è confermato decisamente valido (+18 di Net Rating nei playoff, +20 contro i Celtics), a mancare tremendamente è stato l’apporto delle riserve, probabilmente le peggiori di tutte e 16 le squadre qualificate alla post-season. Il sesto miglior giocatore del roster è Ian Mahinmi, che però è stato infortunato in pratica per tutta la stagione e ha contribuito solo a sprazzi e in precarie condizioni di forma; dopo di lui tocca probabilmente tirare una monetina tra Bojan Bogdanovic (grande tiratore, ma troppo condizionante in difesa), e Kelly Oubre (che ha potenziale da

ben più che competente, ma che al momento

).

 

La totale assenza di spazio funzionale (qualcosa si potrebbe magari ottenere, ma non ne varrebbe la pena) sotto il cap è un problema tutt’altro che marginale da affrontare e di fatto non lascia scelta: bisogna riconfermare Otto Porter,

(e costerà tanto, presumibilmente non meno di 20 milioni di dollari l’anno visto che è restricted free agent), perché se anche si decidesse di lasciarlo partire non ci sarebbe modo di sostituirlo, né ora né nelle prossime stagioni; bisogna riconfermare senza esserne troppo convinti anche Bogdanovic sperando che costi poco, trovare da qualche parte e in qualche modo un cambio presentabile di Wall (potrebbe essere Tomas Satoransky, ma Brooks si fida fino ad un certo punto), sperare nella crescita di Oubre e cercare veterani in grado di contribuire gratis o quasi, possibilmente meno vicini alla fine della propria carriera di quanto lo sia sembrato Brandon Jennings.

 

Oppure si potrebbe pensare di cedere uno dei due lunghi, presumibilmente Gortat — che pare

, anche se razionalmente non si capisce bene perché — per provare ad ottenere un paio di giocatori utili per la panchina promuovendo Mahinmi. Piano sulla carta estremamente sensato, ma nella pratica di difficilissima attuazione, dato che il mercato dei lunghi con quelle caratteristiche è pressoché morto: nessuno ne ha realmente bisogno e di conseguenza nessuno è disposto a pagare per ottenerli. Gli Washington Wizards edizione 2017-18 andranno quindi dove li porteranno Wall e Beal, ma il margine d’errore è molto, molto risicato.

 

 



 

Obiettivo stagionale centrato a pieno anche per i Jazz, che non partecipavano ai playoff dal 2012 e non vincevano una partita (o una serie) dal 2010. Lo

subito per mano dei Golden State Warriors non è stato simpatico, ma senza George Hill, con Rudy Gobert menomato dall’infortunio patito contro i Clippers e contro

era anche difficile che andasse diversamente. Tutto bene quindi, per una squadra giovane, in ascesa, con esperienza e…

.

 

Premesso che con Rudy Gobert, il minimo indispensabile di salute (cosa che a Salt Lake City manca più o meno da quando si è ritirato John Stockton) e del playmaking competente i Jazz attuali hanno in ogni caso ottime possibilità di qualificarsi ai playoff, la prossima offseason è assolutamente cruciale. I massimi salariali NBA sono direttamente legati agli anni di esperienza maturati nella lega: da 0 a 6 (il tipico “Max” al primo rinnovo alla fine dell’accordo firmato da rookie) il primo anno di contratto è pari al 25% del Salary Cap (che nella prossima stagione dovrebbe essere di 102 milioni); da 7 a 9 è pari al 30%; oltre i 10 pari al 35%, con la possibilità grazie alla “Rose Rule” e alla citata

(DPVE) di scalare rispettivamente dalla prima alla seconda e dalla seconda alla terza fascia in presenza di alcuni requisiti.

 


Hayward al suo meglio.



 

Prevedibilmente e forse anche giustamente

— che ha appena concluso la settima stagione da professionista e per il 2017-18 ha una risibile

da 16.7 milioni — non è stato incluso nei quintetti All-NBA (come Paul George, ma questa tutta un’altra storia) ed ha quindi per il momento perso la possibilità di usufruire della DVPE, cioè di firmare un contratto da quasi 210 milioni in 5 anni che Utah gli avrebbe offerto senza esitazioni per blindarlo a vita o quasi.

 

Dando per scontato che declini la player option e diventi free agent, gli scenari per la permanenza ai Jazz sono sostanzialmente tre:

 

- firmare un 1+1 da 64 milioni con player option sul secondo anno, per cercare di essere inserito tra gli All-NBA 2018 e accedere alla DVPE tra un anno;
- firmare per il massimo ammontare possibile, 5 anni e 176 milioni;
- firmare un quadriennale da circa 140M con player option, per essere free agent in corrispondenza del raggiungimento del decimo anno di esperienza e firmare un nuovo contratto al massimo nella soglia più alta, senza bisogno di utilizzare la DVPE.

 

Grazie rispettivamente ai Bird Rights e ai maggiori incrementi annuali sui contratti firmati in presenza di quegli stessi diritti, i Jazz hanno un vantaggio sensibile sulla concorrenza nel primo e nel secondo scenario — non sufficienti a indirizzare pesantemente la scelta di Hayward, ma quantomeno utili a fargli valutare anche l’aspetto economico. Qualora Hayward preferisse la terza opzione invece il vantaggio dei Jazz crollerebbe drasticamente, dato che il massimo che una qualunque altra squadra (Boston, ad esempio) può proporgli è un quadriennale da 130M, il che ridurrebbe la scelta esclusivamente a questioni tecniche e ambientali.

 

Inutile sottolineare quanto sia fondamentale la conferma del miglior giocatore e quanti dei destini del futuro prossimo della squadra passino da questa situazione, ma c’è altro: anche George Hill sarà free agent. Il suo rendimento è stato eccellente, le sue condizioni fisiche sono state pessime, probabilmente avrà mercato e diversi corteggiatori (possibile anche un ritorno agli Spurs, a certe condizioni) e stabilire quale sia la cifra

da offrirgli è tutt’altro che semplice. Occorrerà decidere del futuro di Joe Ingles, restricted free agent e principale sorpresa dell’anno che facilmente otterrà proposte annuali in doppia cifra; e di quello di Derrick Favors, che a causa di problemi a schiena e ginocchia dimostra una decina d’anni in più di quanti indicati dalla carta d’identità (26 a luglio), andrà pagato tra un anno e non sembra, specie in queste condizioni, il compagno ideale per Gobert. E volendo potrebbe anche essere possibile firmare un altro giocatore di rotazione grazie allo spazio sotto al cap, sperando che si ripeta la magia riuscita con Joe Johnson. Gli Utah Jazz edizione 2017-18 saranno… nessuno può saperlo. Si spera molto simili a quelli del 2016-17, più sani e più forti, ma non c’è alcuna garanzia.

 

 



 



La conferenza stampa di fine stagione, in sintesi.



 

Masai Ujiri ha parlato di “

”. Kyle Lowry per l’ennesima volta è arrivato ai playoff infortunato, ha costruito un muro di mattoni tra USA e Canada (Donald Trump lo voleva al confine sud, ma di questi tempi meglio se si accontenta) sotto forma di percentuali al tiro orrende in compagnia del fido compare DeRozan, si è schianta su LeBron e sarà free agent, come Serge Ibaka, Patrick Patterson e P.J. Tucker. Dwayne Casey è Dwayne Casey. Carroll sta a malapena in piedi. Valanciunas è indecifrabile. Questo è uno dei casi in cui il bicchiere non è nemmeno mezzo vuoto, è totalmente in frantumi e qualcuno si è anche divertito a far sparire i cocci lanciandoli come stelline ninja sulle ferite ancora aperte, per fare in modo che lo restino a lungo.

 

Il dilemma qui è serio. Che fare? Che fare di una squadra che si garantisce ogni anno una decina almeno di partite ai playoff, ma inizia ad essere sempre più costosa e sembra decisamente aver esaurito la propria fase ascendente? Che fare se le due stelle come detto litigano con i ferri al punto da risultare tra i giocatori peggiori nel

in regular season e quelle ai playoff? Tanto per cominciare si può pensare di cambiare una variabile. DeRozan è una costante, avendo firmato almeno fino al 2020. Lowry presumibilmente chiederà un contratto a tre cifre e che inizi col 2, uno di quelli che è antipatico all’inizio e tragico alla fine, considerato che si tratta di un 31enne con i citati problemi di infortuni. Ma è impossibile pensare di lasciarlo andare a cuor leggero, a meno di una smobilitazione di massa che però sembra una buona idea solo in apparenza, perché nulla garantisce che, ricostruendo da zero, a questo punto si possa tornare ai playoff — figuriamoci passare un turno o due, a breve o anche solo medio termine.

 

Forse la “cultura da resettare” è quella della panchina: Casey ha avuto le proprie chances, non ha fatto male, ma ormai si è capito che lui, Kyle e DeMar

, cioè qualcosa che a Ujiri non va più bene. Magari sostituendone uno dei tre, la parte

, qualcosa cambierà.

 

Toronto è prigioniera di se stessa, ma a star stretti c’è almeno metà NBA che sta messa peggio, quindi perché tanto disfattismo? È questione di punti di vista, di essersi convinti che si è vicini o ci si sta avvicinando all’obiettivo, e poi rendersi conto che no, era tutta un’illusione. In casi simili conta anche il volere della proprietà: premesso che in questo momento vincere è impossibile, cosa si vuole fare, dove si vuole andare e cosa si vuole essere? Sicuri che ci sia un’alternativa percorribile all’

(relativa), dato che questa situazione garantisce quasi 50 milioni di dollari USA di attivo all’anno (dati Forbes), oltre alla qualificazione certa ai playoff?

 

I Toronto Raptors edizione 2017-18 saranno transitori, perché a prescindere da quali giocatori verranno confermati (non tutti, sarebbe davvero troppo costoso) e da chi sederà in panchina con Masai Ujiri al timone ci si può aspettare tutto e il contrario di tutto.

 



 

 

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