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Foto di Mike McGinnis / Getty
NBA Nicolò Ciuppani 3 maggio 2017 17'

See You Next Year: primo turno

Analisi e considerazioni sulle prime otto squadre eliminate dai playoff NBA.

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Se otto squadre sono rimaste nei playoff a giocarsi il titolo, dopo il primo turno otto si sono aggiunte alle 14 già eliminate dalla regular season. Con la chiusura delle prime due settimane di post-season per molti è tempo di fare bilanci stagionali o, più in profondità, di previsioni e riflessioni sul futuro. Per alcuni arrivare fino al primo turno di playoff può essere considerato un ottimo traguardo, magari anche solo temporaneo; per altri risulta essere la fine anticipata di progetti più ambiziosi, tipo No Man’s Sky o l’episodio 3 di Half-Life. Per questo, è un buon momento per fare un bilancio di cosa ha rappresentato questa stagione per le squadre che hanno chiuso la loro stagione dopo una sola serie, e di cosa devono aspettarsi in estate.

 

 

Portland Trail Blazers

 

Portland ha pagato una prima parte di stagione sottotono di Damian Lillard e di diversi altri suoi giocatori per arrivare a malapena ai playoff e ottenere, di conseguenza, un giro gratis sulla giostra dei Golden State Warriors. Tuttavia, da quando i Blazers hanno stravinto la trade con i Nuggets cedendo uno dei Plumlee in cambio di Jusuf Nurkic assieme ad una prima scelta, il loro record è migliorato sensibilmente – e presumendo di utilizzare quel campione di partite come base per il prossimo anno, le loro vittorie dovrebbero essere maggiori di una tipica squadra da ottavo posto ad Ovest. La fine del secondo anno del progetto Damian Lillard + C.J. McCollum ha trovato delle buone conferme, specie dopo l’All-Star Game, e offensivamente i due si sono dimostrati oltremodo validi per trascinare la squadra, specie se verrà confermata la profondità che Nurkic può dare al loro attacco, fornendo nuove linee di passaggio e costringendo gli avversari a raddoppiarlo.

 

 

La mancanza di Mason Plumlee non si è sentita minimamente: Nurkic ha dimostrato una visione di gioco che non era mai riuscito ad esprimere del tutto a Denver (anche per demeriti suoi)

 

Difensivamente però la musica cambia parecchio: sebbene dall’acquisizione del centro bosniaco i numeri difensivi dei Blazers siano migliorati, questo non è un motivo sufficiente per credere che Nurkic sia un difensore temibile o che la situazione sia sostenibili. Dame e C.J., al di là dell’impegno visto a sprazzi in questi playoff, sono delle vere e proprie calamità nella propria metà campo, difficilmente tollerabili in campo assieme se si esclude il loro stellare contributo in attacco. I numeri difensivi migliori potrebbero essere semplicemente spiegati dal fatto che gli avversari hanno tirato peggio le loro triple smarcate, un dato che oscilla molto nel giro di qualche mese su cui le squadre hanno pochissimo controllo. Se l’idea per i Blazers è quella di continuare con la coppia Lillard+McCollum assieme a Nurkic – come affermato dal GM Neil Olshey -, il supporting cast dovrebbe essere profondamente rivoluzionato, ma lo spazio di manovra è limitato. I Blazers hanno già oggi il terzo monte salari più alto di tutta la NBA, e anche nell’improbabile ipotesi che riuscissero scaricare uno tra Evan Turner e Allen Crabbe senza pagare troppo per farlo, resterebbero non solo lontani dallo spazio necessario per un grosso free agent, ma comunque sopra il salary cap. E la situazione salariale non cambierà per almeno due anni, quindi la possibilità di acquisire nuovi giocatori di impatto via minimi salariali o via trade è ridotta all’osso.

 

Se i Blazers vogliono fare un salto di qualità la loro unica opzione disponibile è di fare il colpo al prossimo Draft. Portland ha tre scelte al primo giro (la 15, la 20 e la 26) e sebbene nessuna sia estremamente buona, esistono casi nel passato di eccellenti giocatori scelti in quel range – e non è da escludere che possano provare a scambiare due o perfino tre di quelle scelte per salire di qualche posizione nel Draft. Il reparto scout di Portland ha lavorato molto bene negli ultimi anni, ma quest’estate saranno costretti a muoversi con il vero e proprio peso dell’urgenza: se nessuna di quelle tre scelte si dovesse trasformare in un giocatore davvero buono, i Blazers potrebbero vedersi costretti a ristagnare nella mediocrità del primo turno di playoff per i prossimi anni, assistendo al prime delle sue stelle che sbiadisce davanti ai loro occhi nonostante la luce abbagliante che producono nella metà campo offensiva.

 

 

Indiana Pacers

 

I Pacers si sono esibiti nella stagione di Schrödinger, essendo essa contemporaneamente sia “un disastro” che “accettabile” a seconda di come la si guardi. Indiana ha subìto uno sweep da parte dei Cavs meno “corazzati” della loro storia recente, ma hanno perso per soli 16 punti totali e due delle quattro partite decise nell’ultimo minuto. I Pacers hanno rivoluzionato il loro roster, hanno trovato una chimica di squadra decente nella seconda parte di stagione e si sono qualificati ai playoff, ma hanno concluso la stagione con un record e un differenziale di punti negativo. Paul George si è esibito in una splendida serie di playoff, ma è stata oscurata dal fatto che quella di LeBron è stata addirittura migliore, e non bisogna poi dimenticare che George ha attaccato pubblicamente i propri compagni nel post partita delle prime due gare (cosa peraltro fatta lungamente nel corso della stagione) e si è esibito in un brutto finale di gara-4. La situazione in casa Pacers è tutt’altro che rosea: George è il loro miglior giocatore, ma ha già fatto capire che il suo futuro sembra essere lontano da Indianapolis e l’ipotesi di perderlo per nulla in free agency nel 2018 è sicuramente più spaventosa di scambiarlo tra il Draft e la prossima deadline. A peggiorare la situazione ci sono le prime indiscrezioni che lo vedono fuori dai primi tre quintetti All-NBA, togliendo quindi a Indiana la possibilità di una Veteran Extension multimilionaria.

 

Solo due giocatori a roster hanno meno di 25 anni (Myles Turner e Glenn Robinson III) e quindi tutti gli altri hanno poco senso di esistere in un’eventuale ricostruzione. A cementificare le ipotesi di rebuilding totale ci sono le dimissioni di Larry Bird dal ruolo di presidente, a cui sembra difficile non possa seguire tra il breve e lungo periodo una dirigenza (affidata per ora a Kevin Pritchard) che si separerà dalle scelte della vecchia, compreso il coach Nate McMillan che tutto è sembrato tranne che un miglioramento rispetto a Frank Vogel. I Pacers potrebbero finalmente premere il tasto reset, cedere Paul George in cambio di una scelta altissima al prossimo Draft (magari quella eventuale dei Lakers, con cui ci sono segnali di amore reciproco?), precipitare velocemente nelle zone basse della classifica e far partire un processo di rebuilding che manca da tantissimo tempo. Indiana non sceglie nelle prime sette posizioni del Draft dal 1989, e i 28 anni lontani dal fondo del barile sono il miglior testamento possibile per il lavoro svolto dalla dirigenza in questo periodo. Ma il ciclo dei Pacers sembra essere definitivamente giunto al capolinea: insistere su un roster disfunzionale, poco futuribile e con pochi giovani, sembra un azzardo inspiegabile.

 

 

Nel frattempo Myles Turner mostra lampi di playmaking del genere, e vederlo sbiadire dietro una rotazione enigmatica sembra una scelta crudele.

 

Il resto del roster è dimenticabile in fretta: Monta Ellis è stato un disastro su tutta la linea, Jeff Teague si è rivelato sufficiente )ma nessuno vorrà avere in mano le redini del suo rinnovo contrattuale), Lance Stephenson ha giocato bene più gare del previsto ma nessuno sano di mente proverebbe a rifondare o convincere George a restare mettendo al centro delle trattative Lance Stephenson. Ritardare una ricostruzione che sembra inevitabile potrebbe risultare più doloroso nel lungo periodo che ricominciare da zero subito.

 

 

Chicago Bulls

 

Dei vari disastri di cui si è resa colpevole e consapevole protagonista la dirigenza dei Bulls abbiamo già scritto in precedenza. Chicago è stata la più efficiente macchina di fumo negli occhi della stagione, imbottendo il roster di nomi altisonanti e altamente disfunzionali, cedendo Taj Gibson e Doug McDermott assieme a una seconda scelta per Cameron Payne (che di fatto non ha mai giocato), asfaltando squadre migliori di loro durante le dirette TV nazionali e subendo sconfitte ignobili quando non erano sul palinsesto televisivo americano.

 

Con l’infortunio di Dwyane Wade e l’inserimento di Paul Zipser in quintetto i problemi di spaziature si sono ridotti sensibilmente – that’s the power of shooting in 2017 – e con un insperato suicidio di Miami i Bulls sono comunque rientrati tra le prime otto ad Est. Rajon Rondo si è reso protagonista di una stagione controversa, in cui per le prime 70 partite è stato il solito Rondo delle ultime stagioni tra Boston, Dallas e Sacramento: a caccia di assist, nullo se non dannoso in difesa, un turno di riposo ogni volta che fosse lontano dalla palla. D’altra parte le sue dirette nazionali, l’ultima dozzina di partite con Zipser in quintetto e le sue due apparizioni ai playoff sono state positive. Le ultime voci riguardano un coinvolgimento sia da parte di Jimmy Butler che di Dwyane Wade per tentare di convincere Rondo a firmare un pluriennale a Chicago: se i Bulls decideranno di pesare le ultime poche partite di Rondo e dei Bulls a discapito del campione – molto più grande – precedente, commetterebbero l’ennesimo azzardo negli ultimi anni, per portarli comunque al massimo alla mediocrità. Si potrebbe anche pensare di addossare la maggior parte delle colpe a Fred Hoiberg ed alla sua gestione del gioco, ma i Bulls hanno giocato esattamente come ci si aspettava che facessero: mediocri sui due lati del campo, sfruttando mismatch e strapotere fisico, con difficoltà a creare gioco data la mancanza di tiro diffusa. Scegliere di rifirmare Rondo e Nikola Mirotic – ignorando la stagione deludente dello spagnolo – porterebbe al solito cap congestionato e le speranze di convincere Jimmy Butler a restare dipenderebbero a quel punto da un miglioramento diffuso di tutti gli elementi del roster, poiché non ci sarebbe spazio per altre mosse.

 

D’altro canto la proposta dei Celtics con le scelte di Brooklyn sul piatto potrebbe essere una variante estremamente golosa, e i Celtics hanno appena provato sulla propria pelle che differenza può fare un giocatore del calibro di Butler quando la posta in gioco si alza. L’offerta di Boston tuttavia non è sempiterna, e il valore delle scelte può oscillare a seconda della Lottery, mentre di sicuro quello di Butler cala col passare dei minuti che lo separano dalla scadenza del suo contratto. I Bulls hanno una carta per uscire gratis di prigione e 10 carte “imprevisti” in mano come alternativa.

 

 

Memphis Grizzlies

 

L’era del Grit ‘n Grind è nata a Memphis nel 2011, quando con un improbabile upset i Grizzlies sorpresero gli Spurs al primo turno; sei anni più tardi, gli stessi Spurs al primo turno potrebbero aver fatto suonare gli ultimi rintocchi per la mezzanotte dei Grizzlies. Memphis ha già 94 milioni impegnati a cap per la prossima stagione, senza gli eventuali rinnovi di Zach Randolph, Tony Allen, Vince Carter e JaMychal Green quando quest’estate testeranno tutti il mercato free agent. La proverbiale campanella della ricreazione è suonata: sebbene Marc Gasol e Mike Conley si siano fatti trovare all’altezza dei prestigiosi rinnovi, l’unico altra cartuccia verso un giocatore franchigia è stata sparata verso Chandler Parsons, che potrebbe anche non essere mai più abbastanza sano da giocare a basket per 20 partite l’anno.

 

Ogni singola decisione di rinnovo sarà fondamentale in Tennessee: “Z-Bo” è stato il vero e proprio iniziatore di questi Grizzlies e coach Fitzdale ha retrocesso il suo ruolo a sesto uomo per allungargli la carriera, salvo poi essere costretto a reinserirlo in quintetto nei playoff; Tony Allen ha 36 anni e nessuna utilità in attacco, e sebbene il suo peso politico e affettivo a Memphis sia alto, impegnarsi per più anni con lui pare oltremodo rischioso. Vince Carter ha detto di voler giocare per altri due anni, anche se l’ipotesi di ritiro improvviso non può mai essere scartata quando si parla del giocatore più vecchio della lega – e in ogni caso Memphis sembra non aver modo di trovare un sostituto degno del suo livello; infine Green è Restricted Free Agent, ovvero Memphis può pareggiare qualunque offerta per la sua ala grande titolare, e così dovrebbe fare visto che Green è il loro miglior giovane (e compirà 27 anni a giugno).

 

 

Qui una sua pump fake serve a Pau Gasol per rinvigorire la linea comica della difesa Spurs per cui è stato ingaggiato in estate.

 

In ogni caso il ricambio generazionale non sembra esserci mai stato: Green è rimasto a soli 19 minuti a partita nei playoff; James Ennis è sembrato l’unico degno di conferma nel ruolo di 3&D; per tutti gli altri è stato un vero e proprio disastro. Andrew Harrison ha tirato con un orripilante 32% dal campo in stagione (pur dando qualcosina in più nei playoff), Jarrell Martin aveva mostrato alcuni spunti interessanti l’anno scorso salvo finire fuori dalle rotazioni in questa stagione con un mestissimo 38% dal campo, Wayne Selden, Wade Balwin IV e Deyonta Davis sono tuttora delle incognite. Se nessuno dei giovani di Memphis dovesse rivelarsi un giocatore degno della NBA, i Grizzlies avrebbero un monte salari stellare e una squadra vecchissima che questa stagione ha superato il 50% di vittorie per una sola partita – e non ci sono prime scelte al Draft o conigli da tirar fuori dal cilindro in grado di dare loro un futuro migliore.

 

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Tags : chicago bullsindiana pacersoklahoma city thundersplayoff nbaportland trail blazers

Nicolò Ciuppani: parla di basket su Ball Don't Lie, ne scrive sul Buzzer Beater Blog e programma analytics per Chartside.

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