
Su Hampden Park è calata una leggera nebbia, o forse è solo la notte fredda di Glasgow o qualche fumogeno lanciato in attesa dell’inizio di Scozia-Danimarca. Gli spalti sono gremiti di tifosi in religioso silenzio, in campo un uomo vestito… boh, da scozzese? attacca le prime note di Flower of Scotland, l’inno nazionale, rigorosamente suonato con la cornamusa. Accanto a lui un bambino indossa la maglia a mezze maniche della Scozia.
Poi si parte, 50mila persone che lo seguono cantando a squarciagola, insieme agli undici schierati in mezzo al campo.
Che poi la situazione al fischio d’inizio non era neanche così tragica: la Scozia era un punto dietro la Danimarca e per accedere direttamente al Mondiale doveva vincere giocando in casa. Nessun calcolo, nessuna goleada: solo segnare un gol in più degli avversari nello stadio in cui si sentono a casa. A questa ultima partita da dentro e fuori, però, Scozia e Danimarca ci erano arrivati con un surreale turno precedente: la Scozia perdendo 3-2 contro la Grecia eliminata, la Danimarca facendo ancora peggio, e cioè pareggiando 2-2 contro la Bielorussia, fino a quel momento a 0 punti, due gol fatti e 15 subiti (e, onestamente, la sensazione che fosse esclusa dal giuoco del calcio come la Russia).
Questo per dire che le due squadre arrivavano alla sfida decisiva con più dramma interiore che gioia per un traguardo da sogno, con più paura che slancio. In questi casi, se pensiamo a noi, all’Italia, al calcio italiano, al modo in cui viviamo questo sport, c’era da aspettarsi una di quelle partite terribilmente chiuse, o noiose per dirla bene. E invece dopo tre minuti McTominay ha segnato in rovesciata, stappando la partita e trasformandola in una giostra di emozioni. McTominay lo aveva già fatto, più o meno, per regalare lo Scudetto al Napoli all’ultima giornata contro il Cagliari e insomma: che altro dire su di lui? Niente, solo grazie Scott per avermi fatto sentire scozzese per un paio di minuti, quelli passati a rivedere questa rovesciata.
Cristiano Ronaldo + fish and chips?
Ora, se avete una connessione a internet e anche solo un feed vagamente calcistico, sapete bene come è andata a finire, e non vi devo certo raccontare nel dettaglio la partita.
Quello di cui voglio parlare qui è che - se è vero che il calcio è spesso accusato, anche giustamente, di forzare una retorica autoreferenziale e autoassolutoria - certe volte le cose vanno proprio così, come vanno nella fantasia del tifoso più malato. Quale altra Nazione, se non la Scozia, doveva guadagnarsi il Mondiale dopo quasi 30 anni dall’ultima volta con un gol in pieno recupero arrivato dopo un lancione in area di rigore e una serie di rimpalli? Il tutto dopo che, appena un paio di giorni prima, l’Irlanda aveva fatto qualcosa di simile, guadagnandosi i playoff con un gol in mischia nel recupero di un centravanti capace di segnare 5 gol in 4 giorni.
La Scozia, mi sembra, è una delle Nazionali più capaci di rappresentare il genius loci della Nazione che difende. La loro qualificazione al Mondiale non poteva arrivare in maniera più scozzese, dove con questo termine intendo qualcosa di affettuosamente retorico: Braveheart senza tutte le imprecisioni storiche e le natiche. Non so se questa sia una cosa bella, dopotutto la storia della Scozia non è una storia per deboli di cuore o vincitori. Eppure si può ardentemente presumere che un’altra Nazionale non avrebbe avuto la forza di riprendere in mano una partita in cui, dopo aver segnato il 2-1 al 78’, ha subito il 2-2 tre minuti dopo, nonostante la superiorità numerica (espulsione di Kristensen). Gol segnato da Dorgu, tra l’altro, per rimanere a giocatori della Serie A o ex Serie A, visto che torneranno. Sarebbe stato lui l’eroe: di un altro Paese, di un’altra storia, di un’altra partita.
Ma torniamo a noi, perché quello che ci interessa è arrivare alla fine. Il copione degli ultimi minuti è chiaro: la Scozia ci prova con i cross, la Danimarca mette tutti i centimetri dei suoi giocatori a difesa dell’aria, inteso proprio come spazio fisico staccato da terra. All’85’ Che Adams spizza di testa un pallone che però esce di 4 metri. Lo stadio inizia a urlare, tutti e 50mila i tifosi intendo, appena la palla supera la metà campo. All’86’ un tiro da buona posizione viene respinto da un ginocchio qualunque; all’87’ John McGinn, chi se no, sfiora l’incrocio, ma davvero lo sfiora, trasformandosi per un attimo in un Del Piero mancino.
Sembra l’ultima occasione. La Danimarca riesce ad addormentare gli ultimi minuti di gioco, tra perdite di tempo e un pressing in qualche modo efficace contro la macchinosa gestione del pallone della Scozia.

Quanto aumenta l’incidenza dei crampi in una partita di calcio quando una squadra deve difendere un vantaggio nei minuti finali?
Poi succede quello che deve succedere. Al 92’ la Danimarca batte una rimessa laterale indegna verso un giocatore della Scozia, che di testa la manda il più lungo possibile. Dal nulla arriva McTominay, che nel frattempo si è autonominato centravanti della Scozia, e, di nuovo di testa, la spizza alla perfezione verso la corsa di Shankland, che subito l’allunga verso Che Adams, che viene abbattuto sulla trequarti. Calcio di punizione: tutti dentro, ma proprio tutti.
Questa è la perfetta immagine del “tutti in the box”.
Siamo ancora un po’ lontani dal gol, ma tutto nasce da qui. In mezzo però ci sono un po’ di fatti che vale la pena citare. Il calcio di punizione lanciato in area viene spazzato verso l’esterno, da qui arriva un controcross immediato, che anche questo viene spazzato, ma verso il centro. La palla arriva a McGinn che si trasforma per un attimo in Totti mancino, e da 25 metri tira una botta assurda, che però colpisce un suo compagno sulla schiena. La palla torna indietro così veloce che arriva fino a centrocampo, dove a questo punto, solo e abbandonato, McLean non può far altro che ributtarla di nuovo in area di rigore con tutta la forza del suo sinistro. Siamo al terzo lancio in 20 secondi e anche questo viene intercettato di testa un danese.
Il colpo di testa del difensore danese finisce sulla testa di un giocatore della Scozia che non riesco a riconoscere, che però può solo farsela rimbalzare addosso, senza poterla controllare. Il rimpallo si aggiusta per la spazzata di Hjulmand, che però svirgola. Sta tutto qui, alla fine: l’epica, i 50mila del "Tartan Army", la nebbia, le cornamuse, i lancioni in area, tutto ridotto all’errore umano del singolo. Il calcio è fatto da errori umani, ma questo è particolarmente mefistofelico perché un pallone che 99 volte su 100 Hjulmand avrebbe calciato sulla luna, finisce perfetto sul sinistro di Kieran Tierney, uno che dice di ispirarsi a Shunsuke Nakamura, che lo piazza a giro sul secondo palo. Noi lo sappiamo bene cosa passa tra giocare un Mondiale e non giocarlo, per Scozia e Danimarca (che comunque va agli spareggi, forse contro l’Italia) la differenza l’hanno fatta questi due-tre secondi.
Da questa inquadratura si vede come il pallone colpisca anche la tibia di Hjulmand prima di andare verso Tierney e come se il giocatore della Danimarca avesse avuto il naso più grande o meno paura della morte, ora forse avrebbe avuto un naso rotto ma la sicurezza di giocare i Mondiali (qualcuno ha fatto notare come non sia un caso che tutto questo sia capitato a un giocatore con un tatuaggio dell’Arsenal).
Da qui in poi è tutta mistica: il commento della radio scozzese o se volete della televisione scozzese al gol di Tierney, il quarto gol con un tiro da centrocampo in pieno recupero del recupero, perché comunque il calcio è strano e questa partita aveva proprio l’aria di una partita in cui si poteva segnare da centrocampo; la gioia pura dei calciatori scozzesi dopo il fischio finale e la disperazione altrettanto pura di quelli danesi.
Le maglie We'll be coming, le immagini dei tifosi scozzesi allo stadio, o stipati nei pub, i post social pieni di riferimenti alla patria, allo spirito scozzese, alle imprese storiche e sportive di questo piccolo Paese.
Robertson che stremato dalla fatica, col sudore che evapora dal corpo, va ai microfoni con le lacrime agli occhi a dire, col suo inglese pieno di accento scozzese: «I couldn't get my mate Diogo Jota out of my head today».
Non c'è molto altro da dire su Scozia-Danimarca, sulla sua bellezza, sul perché abbiamo deciso di scriverne anche noi. Perché certe volte tutto quello che vogliamo dal calcio è questo: la retorica, il sogno, la pelle d’oca per una storia in cui non siamo neanche coinvolti.

