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Fabio Barcellona
La Juve di Sarri è ancora la Juve di Allegri?
22 nov 2019
22 nov 2019
Le vittorie di misura e il gioco non brillantissimo hanno fatto alzare qualche sopracciglio.
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Fabio Barcellona
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Quando la Juventus di Maurizio Sarri viene accostata a quella di Allegri, spesso è con la volontà di sottolineare come col cambio di allenatore non sia in realtà cambiato molto in casa bianconera. A dar forza a queste affermazioni ci sono le tante vittorie di misura ottenute dalla Juventus, spesso segnando negli ultimi minuti di gara, addirittura in alcuni casi oltre al novantesimo.

 

In effetti, ben 11 delle 13 vittorie stagionali della Juventus (su 16 partite) hanno visto la squadra di Sarri prevalere con un solo gol di scarto, e 9 dei 29 gol segnati sono arrivati nell’ultimo quarto d’ora di gara. Non si tratta, quindi, di una squadra capace di aggredire e chiudere le partite, come a parole richiesto dal proprio allenatore, ma ancora una volta di una squadra abile nel gestire e nel piegare gli avversari con la forza dei propri calciatori.

 

Inoltre, se la Juventus di Allegri veniva considerata mediamente brutta da

, quella di Sarri sembra non accontentare chi attendeva un cambiamento radicale dello spettacolo offerto dai bianconeri. A completare il quadro c’è la presenza in campo da titolari quasi inamovibili, specie a inizio stagione, di Khedira e Matuidi, due intoccabili della gestione Allegri, che pare confermare l’assenza di una netta cesura con il passato prossimo della panchina juventina.

 



Per ragionare sul confronto tra la Juventus di Sarri e quella della passata stagione può essere utile dare un’occhiata a qualche dato e a qualche indice statistico.

 

Limitando lo sguardo al campionato di Serie A, al fine di avere un campione il più possibile rappresentativo dell’ultima Juventus di Allegri, tutti i dati relativi alla stagione 2018/19 si fermano alla trentatreesima giornata, considerando che con lo Scudetto già matematicamente conquistato le ultime 5 partite hanno avuto un significato diverso per i bianconeri.

 

La prima cosa interessante da notare è che nelle prime 12 partite di campionato la Juventus di Sarri sta segnando meno gol di quella di Allegri, tenendo una media di 1.66 gol a partita contro i 2.03 dell’edizione precedente.

 

Questo succede nonostante quest’anno i bianconeri effettuino mediamente 2.5 tiri in più (17.9 tiri per match) tutti derivanti da azioni manovrate - rimanendo invariato il numero di conclusioni da calcio piazzato, 3.6 tiri per match - con una migliore percentuali di conclusioni nello specchio: 40,2%, contro il 36.7% della passata stagione.

 

Il numero inferiore di gol è imputabile a una performance realizzativa inferiore, considerando che la qualità dei tiri presi su azione, misurata dal valore di xG/tiro è praticamente identica: 0.11. Quello che è variato, quindi, è il tasso di conversione, calato dal 10.9% al 6.4%.

 

In sostanza la Juventus di Sarri sta segnando meno di quanto previsto dal modello degli xG – 1.66 gol reali a partita a fronte di 2.02 xG -, mentre quella di Allegri aveva prodotto un numero di gol leggermente superiore a quello atteso.

 


In azzurro i dati relativi a situazioni di “open play”, in grigio quelli derivanti da situazioni di calcio piazzato.


 

Da un punto di vista difensivo, i numeri sono abbastanza simili. L’ultima squadra di Allegri ha subito 0.82 gol per partita, quella di Sarri viaggia a 0.9 gol per match. Gli xG concessi sono praticamente uguali, 0.99 quest’anno contro 1.02 della passata stagione, ma sono diminuiti quelli concessi in situazione di azione manovrata, pari a 0.71, 0.1 xG in meno di quelli della precedente edizione della Juventus.

 

La diminuzione degli xG concessi su azione è imputabile in gran parte al numero minore di tiri subiti dalla Juventus di Sarri (7.9 per partita) rispetto a quella di Allegri (8.7).

 

Un’analisi macroscopica di alcuni indicatori piuttosto semplici mostra quindi come la Juventus 2019/20 riesca a produrre più xG, tirando maggiormente, e che i numeri difensivi sono piuttosto simili, con la squadra di Sarri che subisce meno tiri su azione.

 



 

Ma se i numeri sono piuttosto chiari, e nessuno può imputare a Sarri - 13 vittorie e 3 pareggi nelle 16 partite ufficiali giocate – di non avere (finora) ottenuto ottimi risultati con la sua squadra, la discussione si sposta sulla maniera con cui i numeri sono stati generati e i risultati ottenuti.

 

E, su questo campo, la Juventus attuale diverge inesorabilmente da quella della passata stagione.

 



Sin dall’inizio della stagione Maurizio Sarri ha dichiarato di lavorare su due diverse opzioni, il 4-3-3 e il 4-3-1-2. Ha iniziato la stagione utilizzando il 4-3-3 che, assecondando le libertà posizionali concesse a Cristiano Ronaldo, transitava fluidamente verso il 4-4-2, con lo scivolamento sull’esterno della mezzala sinistra Matuidi.

 

Dopo l’infortunio contro la Fiorentina di Douglas Costa, dalla quinta giornata, Sarri è passato al 4-3-1-2 utilizzando Bernardeschi,

e Bentancur come trequartisti.

 

Se il 4-3-3 fluido di inizio stagione ricordava, almeno nella transizione fluida al 4-4-2, molti degli schieramenti utilizzati da Massimiliano Allegri, il 4-3-1-2 non era sostanzialmente mai stato utilizzato la passata stagione dal tecnico livornese che, invece, aveva talvolta schierato la difesa a 3.

 

Più in generale, l’interpretazione dei compiti assegnati è più codificata con Maurizio Sarri e maggiormente libera e legata alle letture individuali con Massimiliano Allegri.

 

Ma, al di là dei differenti moduli di gioco, le variazioni più importanti tra la Juve di Sarri e quella di Allegri sono da ricercare nei diversi principi di gioco sottesi alla costruzione della struttura tattica della squadra.

 



La Juventus di Sarri abbraccia parecchi dei princìpi del gioco di posizione. Concretamente è una squadra che vuole palleggiare sul corto per risalire il campo in maniera compatta per ottenere il dominio sia del possesso che territoriale. A tal fine tiene vicini i suoi uomini e tende a sovraccaricare la zona palla, cercando di ottenere col palleggio vantaggi posizionali da capitalizzare tramite ricezioni alle spalle delle linee di pressione, preventivamente disordinate, degli avversari.

 

Il numero medio di passaggi per 90 minuti della squadra di Sarri e di quello di Allegri è, al momento, quasi lo stesso (535 e 528), ma è cambiata la distribuzione con un incremento dei passaggi corti e una diminuzione di quelli lunghi, passati al 9% dall’11.5%. La lunghezza media dei passaggi è diminuita di circa 1,5 metri, fotografando una circolazione del pallone più fitta.

 

Inoltre, sono drasticamente aumentati i passaggi completati nell’ultimo terzo di campo, passati da 89.8 p90 a 106.1 p90, a dimostrazione del maggiore dominio territoriale della squadra di Sarri.

 

A rendere diversa la circolazione della palla dell’attuale Juventus da quella della passata stagione è proprio la diversa risposta che i due allenatori danno al problema dell’elusione della pressione avversaria: per Allegri l’idea era quella di trovare spazi giocando su un campo grande, dilatando le distanze dei calciatori avversari attraverso l’aumento di quella tra i propri calciatori; Sarri, all’opposto, preferisce manovrare in un campo piccolo, per attirare gli avversari in zona palla e liberare spazi oltre la pressione.

 

I diversi princìpi di gioco abbracciati per rendere efficace la circolazione del pallone si riflette inevitabilmente sulla disposizione in campo dei calciatori. L’esempio più evidente è il comportamento delle mezzali, che con Allegri giocavano quasi in costante inserimento sulla linea degli attaccanti con conseguente svuotamento del reparto di centrocampo. Se necessario, le due mezzali contribuivano alla risalita del pallone aprendosi in fascia e allargando il campo.

 

Con Sarri, invece, il compito delle mezzali è più vario: rimangono più vicine a Pjanic e alternano movimenti a supporto del bosniaco a smarcamenti sul corto alle spalle del centrocampo avversario e, infine, a inserimenti più profondi, specie se coinvolti in combinazioni esterne all’interno delle catene laterali.

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Con il 4-3-1-2 la Juventus di Sarri occupa, quasi naturalmente, la zona centrale del campo, limitando la presenza sull’esterno. Tuttavia, anche con il 4-3-3 di inizio stagione i bianconeri provavano a manovrare prevalentemente per zone interne, con Ronaldo posto in verticale alla prima punta e Douglas Costa pronto a tagliare internamente per giocare sulla trequarti avversaria.

 

L’occupazione della fascia centrale del campo, a diverse altezze, è funzionale a una circolazione della palla che mira ad attraversare e sorpassare internamente la pressione avversaria. Mentre la Juventus 2019/20 prova a “bucare” la pressione avversaria, quella di Allegri cercava di aggirarla, svuotando il centro e passando dall’esterno.

 

Ciò è vero anche in fase di rifinitura: la passata stagione la Juventus, in accordo con la strategia di aggiramento degli avversari, utilizzava frequenti cambi di gioco per cercare di sfruttare l’ampiezza, e giocava quasi 21 cross ogni 90 minuti.

 

Nella stagione corrente il numero di cross è sceso a 15.5, a testimonianza delle diverse strategie per giungere alla finalizzazione.

 

I gol di Higuain contro l’Inter e quello di Dybala contro il Milan sono due chiari esempi della maniera con cui la Juve, tramite strette combinazioni interne, voglia giungere alla conclusione.

 


La densità centrale nell’ultimo terzo campo consente ai bianconeri una rapida combinazione interna sullo stretto che conduce al gol di Higuain.


 



Il dominio nel possesso palla e nell’occupazione del campo passa, secondo Sarri, per un approccio proattivo al recupero del pallone, da attuare tramite il pressing e la pronta riaggressione agli avversari subito dopo la perdita del possesso. La volontà di recuperare in maniera aggressiva il pallone è costante e praticamente indipendente dagli avversari e dai momenti della partita.

 

Di contro, per Allegri il pressing era un’arma da utilizzare in maniera mirata, contro alcuni avversari e in determinati momenti del match. L’indice

della Juventus di questa stagione è più basso di 4 unità di quello della passata stagione (12 contro 16.1) e il terzo più basso della serie A - superiore, di poco, a quello del Bologna e del Torino - e misura la volontà della squadra di Sarri di pressare in maniera aggressiva la circolazione palla degli avversari.

 

Se l’informazione quantitativa fornita dal PPDA ci mostra come la Juve abbia aumentato il proprio pressing, non ci restituisce grosse indicazioni circa le modalità di attuazione delle azioni di recupero palla.

 

In perfetto accordo con l’intera filosofia difensiva la squadra di Sarri, il pressing è più orientato alla chiusura delle linee di passaggio e non troppo orientato sull’uomo, mantenendo così stabile la struttura posizionale della squadra. Il passaggio al 4-3-1-2 ha semplificato le uscite in pressione della Juventus, prima eccessivamente condizionate alla lettura della posizione assunta da Ronaldo a fine azione, che costringeva l’intero centrocampo ad adattare le posizioni dei propri componenti e, di conseguenza, le proprie uscite.

 

Inoltre, il centrocampo a rombo ha agevolato il pressing contro le squadre che, giocando con 3 difensori e due esterni larghi, riuscivano a mettere in difficoltà in ampiezza i bianconeri, e ha facilitato la pressione sul vertice basso del centrocampo avversario.

 

A differenza di quella attuale, la strategia di Allegri era basata su una pressione orientata sulla posizione degli avversari, accettando una destrutturazione della disposizione spaziale della propria squadra.

 



La fase di non possesso della squadra di Sarri è radicalmente diversa da quella progettata da Allegri. Coerentemente con la propensione all’autosufficienza della propria squadra, il tecnico della Juventus adotta da sempre una difesa a zona integrale, che mira a controllare lo spazio piuttosto che al duello individuale con gli avversari e che ambisce a una riconquista del pallone frutto di una strategia collettiva e meno legata alle iniziative dei singoli.

 

La compattezza e le corrette distanze della linea difensiva, da tenere il più possibile avanzata per alzare il punto di recupero della palla, sono dei punti cardine dell’intero sistema di non possesso della Juventus.

 

Nell’approccio difensivo di Allegri, invece, il controllo degli spazi era temperato da un’attenzione particolare alla posizione degli attaccanti, definendo quello che poteva essere considerata una sorta di marcatura a uomo nella zona di

.

 

La Juventus di Allegri accettava filosoficamente, se determinate dalle circostanze della partita, fasi difensive in posizione bassa, che la Juve di Sarri prova invece, in linea di principio, a evitare.

 

I differenti approcci alla fase difensiva, e in particolare la volontà di difendere sempre in avanti della squadra di Sarri, hanno ridotto del 12% i passaggi concessi nel proprio terzo difensivo e avanzato di quasi due metri l’altezza media degli interventi difensivi dei bianconeri.

 


A sinistra il numero medio di passaggi a partita concessi nel proprio terzo difensivo. A destro l’altezza media, in metri, degli interventi difensivi.


 



L’ottimismo della volontà insito nel calcio di Sarri, che ambisce all’espressione del proprio gioco in maniera quasi indipendente dagli avversari, si riflette anche, oltre che nella definizione dei principi di gioco adottati, nella gestione delle sostituzioni, che variano il carattere della squadra tramite le differenti caratteristiche dei giocatori, senza modificarne la struttura posizionale.

 

Ad esempio, contro l’Inter, il tecnico juventino non ha mai abbandonato il 4-3-1-2, modificando però con le sostituzioni la natura del trequartista: passando da Bernardeschi a Dybala per finire a Bentancur, rispondendo in questa maniera alle diverse esigenze del match.

 

Il pessimismo della ragione di Allegri, invece, lo portava a frequenti interventi a partita in corso con profondi cambiamenti strutturali della squadra, quali, ad esempio, il passaggio della difesa a 3 per difendere bassi un vantaggio acquisito.

 

Con l’avvento di Sarri sulla panchina della Juventus, la squadra bianconera ha radicalmente cambiato la propria strategia tattica. Certo, si può discutere su quanto sia avanzato il processo di assimilazione dei princìpi di gioco del nuovo allenatore. La qualità, la continuità e l’efficienza del pressing presentano ampi margini di miglioramento, ad esempio. La circolazione del pallone trova frequentemente difficoltà nel progredire nell’ultimo terzo di campo, sia a causa di smarcamenti non efficaci, sia per una velocità di trasmissione della palla ridotta, sia per l’assenza di riferimenti esterni capaci, anche solo minacciando un attacco in ampiezza, di dilatare le difese avversarie.

 

E ciò si riflette inevitabilmente sulla fase di rifinitura e finalizzazione, che potrebbero a loro volta migliorare e produrre un numero maggiore di conclusioni, possibilmente di maggiore qualità, a fronte del grosso volume di gioco abitualmente sviluppato dalla squadra.

 

Si può, cioè, discutere della qualità del gioco della Juventus, della sua efficacia e di quanto i bianconeri riescano a mettere in pratica quanto progettato dal proprio allenatore.

 

È però indiscutibile che tatticamente la Juve di Sarri sia, in radice, profondamente diversa da quella di Allegri. Seppure il fulcro della squadra e gran parte dei calciatori siano rimasti gli stessi e proprio per questo l’esperienza e la capacità di giocare ad alti livelli e di sfruttare i momenti della partita sia rimasta immutata, i compiti richiesti a ogni calciatore sono profondamente mutati.

 

I compiti assegnati a Dybala, non più

, ma attaccante con ampia libertà di movimento, o quelli attribuiti a Douglas Costa, fortemente coinvolto nel gioco nell’ultimo terzo di campo e non utilizzato quasi esclusivamente in isolamento sull’esterno, preferibilmente a partita in corso, sono paradigmatici della ricaduta sui singoli calciatori dei profondi cambiamenti apportati da Maurizio Sarri.

 

Insomma la risposta è no, non è più la Juventus di Massimiliano Allegri.

 

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