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Daniele V. Morrone

La Roma ha resistito all’urto

La Roma ha faticato quasi tutta la partita contro un Atlético poco preciso, ma è…

L’esordio della Roma in questa edizione della Champions League è arrivato contro un avversario di grande livello: l’Atlético Madrid è una squadra preparata ed esperta come pochissime altre e, per dire, solo il Real Madrid ha giocato più partite in Champions League dall’esordio di Simeone nella coppa. La Roma, inoltre, è arrivata alla partita con solo 180’ già giocati in campionato, un cambio di allenatore e 4 titolari diversi.

 

Lo 0-0 finale, viste queste premesse, è un ottimo risultato per la Roma, che ora potrà affrontare un girone durissimo con un po’ di fiducia supplementare. Questo va detto considerato il livello solito di polemiche che accompagna le prestazioni dei giallorossi più o meno deludenti. Al di là del punteggio a reti bianche, la partita offre diversi spunti di riflessione, interessanti sia per leggere la partita che per provare a capire a che punto è la squadra di Di Francesco, alla prima prova europea.

 

Le contraddizioni nella fase difensiva della Roma

Contro un Atlético che schierava due punte molto strette, Di Francesco ha optato per una linea molto alta, che consentisse ai centrali di giocare in anticipo, con la sicurezza ulteriore, qualora non fosse funzionato neanche il meccanismo del fuorigioco, di poter contare su Manolas, una garanzia nella copertura della profondità.

 

Come già nelle prime uscite, la linea difensiva della Roma ha mostrato ottimi meccanismi ed è riuscita a mettere l’Atlético in fuorigioco per ben 5 volte. Alla difesa alta, però, non è corrisposto un pressing che infastidisse la costruzione dell’Atlético: la squadra di Simeone ha potuto iniziare l’azione con Thomas Partey, sempre piuttosto tranquillo, e trovare i propri esterni di centrocampo ai fianchi di De Rossi. Un problema, quello dell’inferiorità numerica di De Rossi, già visto contro l’Inter, a cui però Di Francesco non ha cercato rimedio.

 

Il recupero della palla giallorosso avveniva più che altro grazie alla pressione individuale, e non a un movimento collettivo. I giocatori dell’Atlético si muovevano con grande libertà, soprattutto i due esterni venivano spesso negli spazi di mezzo, dietro le mezzali della Roma e accanto a De Rossi.

 

Neanche i due centrali difensivi, occupati dalle punte dell’Atlético, potevano intervenire uscendo dalla linea.

 

Correa viene a prendersi palla a centrocampo e Koke si muove dietro Nainggolan accanto a De Rossi (il belga indica il movimento al compagno), quando però il movimento incontro di Correa dopo lo scarico lo costringe a seguire l’argentino De Rossi lascia solo Koke, che va alla conclusione.

 

La combinazione tra la pessima prestazione di Griezmann e la grandissima partita di Alisson hanno evitato guai peggiori. La partita del portiere brasiliano è stata davvero incredibile: la Roma ha subito 10 tiri nello specchio, almeno metà dei quali molto pericolosi, tutti sventati dall’ottimo senso di posizione e dalla reattività del suo portiere. Per dare un’idea del peso della sua prestazione: Alisson ha salvato un totale di 0.9 xG, che non contano ad esempio il salvataggio sulla linea di Manolas.

 


In questo grafico elaborato da Wyscout ci sono tutte le parate di Allison nella serata.

 

Un altro meccanismo che ha funzionato è stato il lavoro senza palla di Defrel per proteggere Bruno Peres dalla catena di sinistra dell’Atlético. Di Francesco – forse preoccupato dalle lacune del terzino brasiliano – vuole che Defrel si muova come un tornante nelle transizioni difensive, e il lavoro aerobico del francese, a tratti disumano, ha sventato non pochi attacchi dell’Atletico, pur con l’effetto collaterale di allontanarlo dalla porta. Per dire, la sua zona di ricezione in questa partita è stata all’altezza del centrocampo e in linea con Nainggolan. Il risultato finale è ovviamente l’assenza di supporto a destra per Dzeko.

 

Come ha attaccato l’Atlético

L’Atlético, come spesso in Champions League, ha giocato con due falsi esterni: Koke a sinistra e Saúl a destra, che si accentrano finendo per giocare nei due spazi di mezzo invece che sulla fascia. Una strategia che si sposa bene con il difetto strutturale della Roma nel difendere gli spazi di mezzo, anche se la scelta degli esterni da parte di Simeone era dovuta soprattutto alla volontà di recuperare in alto la palla, come confermato dal tecnico argentino a fine gara: «Ho scelto questi quattro centrocampisti per recuperare palla e giocare alle spalle del centrocampo della Roma».

 

Koke sbaglia il tocco ma qui si vede bene il movimento dall’esterno dietro il centrocampo della Roma.

 

Koke ha formato il vertice di un triangolo di costruzione con Filipe Luis esterno e Thomas Partey alle loro spalle (ottima la sua partita), restando più largo di Saúl che, dalla parte opposta, attaccava l’area sul lato debole. Saúl è stato senz’altro il migliore della sua squadra, finendo per essere il giocatore più pericoloso con 6 conclusioni e un xG totale di 0.846, ma anche con la rifinitura per Vietto in una delle occasioni più limpide della gara.

 

Strootman è costretto ad uscire dal centrocampo dalla posizione di Partey e allora basta saltare Kolarov dopo lo stop per trovarsi con una prateria davanti nella fascia centrale del campo (De Rossi stava scappando all’indietro seguendo la linea difensiva).

 

Parte della responsabilità del risultato, deludente per la squadra spagnola, è da mettere sulle spalle di Vietto, tanto bravo nel coordinarsi con Griezmann quanto sterile sotto porta. Con Griezmann in cattiva forma, l’Atlético si trova allora a essere pericoloso soltanto con Koke e Saúl: troppo poco per una squadra che vorrebbe puntare ad alzare la coppa.

 


Non può non esserci la sensazione che giocando la stessa partita ma con Diego Costa l’Atlético avrebbe avuto vita molto più facile nelle occasioni in area avute.

 

Nella Roma tutto è collegato

La Roma ha creato soltanto 5 azioni offensive manovrate in tutta la gara (3 nel primo tempo e 2 nel secondo). Questa chiara assenza di meccanismi offensivi è paradossale, se la paragoniamo invece all’attenzione riposta sulla fase difensiva. A questi livelli, anche quando si attacca in superiorità numerica, il reparto offensivo ha bisogno di un tracciato più o meno chiaro da sviluppare e su cui poi far fruttare le qualità dei singoli.

 

La Roma, tolto Nainggolan, non ha a disposizione talenti trascendentali, capaci da soli di essere fonte di pericolo offensivo. Forse per questo Di Francesco ha esentato il belga da quei movimenti senza palla verso l’esterno che abbiamo visto nelle settimane passate, che servivano ad aiutare l’ampiezza della squadra, e in questo modo Nainggolan ha avuto più campo da attaccare.

 

Di Francesco ha provato a sfruttarlo a rimorchio, nello spazio tra Godin e Filipe Luis, su quelle palle che tornavano al centro dalle fasce. Bruno Peres da destra verticalizzava verso Defrel, che poi rimetteva in mezzo, oppure andava direttamente su Nainggolan. Un meccanismo in linea con con i difetti strutturali di un centrocampo con due falsi esterni come quello dell’Atlético. Alla lunga, però, non si è rivelata una mossa decisiva né molto efficace efficace.

 

I triangoli esterno interno esterno solo il modo con cui la Roma riesce a far arrivare il pallone in area.

 

L’altro modo con cui la Roma ha creato pericolo è stato con le capacità palla al piede di Diego Perotti. L’argentino però agisce troppo largo, lontano da Dzeko e dalla porta, ed è notevolmente più efficace quando recupera palla da solo in avanti e si trova in una posizione più centrale.

 

Poter ricevere in area di rigore e con un uomo vicino a raccogliere le seconde palle fa la differenza del mondo per il gioco di Dzeko.

 

La Roma, insomma, ha attaccato con pochi meccanismi e pochi uomini. Come mostrato quando Kolarov e Perotti sono riusciti a mettere in mezzo Juanfran (e quando Bruno Peres è riuscito a far filtrare il pallone dalla fascia verso il centro) l’Atlético ha delle crepe nel sistema difensivo quando utilizza i falsi esterni, che una Roma in una fase meno embrionale avrebbe magari sfruttato meglio.

 

Quando le forze fisiche sono finite, nel secondo tempo (come già successo nelle precedenti due gare), la squadra è diventata innocua. A quel punto si è schiacciata e ha costretto Di Francesco a cambiare il sistema di gioco.

 

Il passaggio alla difesa a 5

Il cambio di sistema con l’entrata di Fazio non era scontato, vista la rigidità mostrata da Di Francesco in questo inizio di stagione. Di Francesco ha avuto il coraggio e l’intelligenza di reagire in modo drastico alla situazione in campo, e la mossa ha pagato: la Roma era in una fase di sofferenza che sembrava potesse portare solo al gol dell’Atlético e il cambio di sistema ha corretto i difetti strutturali della squadra in fase di difesa posizionale.

 

Con l’ingresso di Fazio per Defrel la Roma è passata a una difesa a 5, con 3 centrocampisti davanti e 2 punte (Dzeko e Perotti). Certo, la mossa non ha aiutato ad alzare il baricentro già molto basso: 5 metri più in basso tra primo e secondo tempo. Oltretutto, hanno invertito la loro posizione Nainggolan e Strootman, per difendere il centro con il piede forte di entrambi. A quel punto per l’Atlético è stato molto più difficile trovare Koke o Saúl nello spazio di mezzo e la superiorità numerica costante sulle due punte permette anche ad uno dei centrali a turno di uscire in anticipo.

 


La difesa a 5 ha permesso alla Roma di difendere meglio e a De Rossi di non dover essere in balìa degli avversari ai lati.

 

Il cambio di sistema è stato contingente al problema posto dall’Atlético e sembra difficile pensare possa essere qualcosa di più di questo in questa forma anche nel futuro, ha mostrato però come Di Francesco non è così insensibile ai difetti del suo sistema principale e questo (con il risultato finale) è la nota positiva che la Roma può trarre dalla partita.

 

Insomma, la Roma esce da questa partita mostrando quanta strada c’è ancora da fare in tanti aspetti del gioco, ma anche col piccolo conforto di essere sopravvissuta al confronto con una delle squadre più forti e spigolose d’Europa.

 

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.