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Renato Sanches e il Milan sono fatti l'uno per l'altro
15 giu 2022
15 giu 2022
Dopo una carriera travagliata potrebbe approdare in rossonero.
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C’è un filo rosso che sembra legare la storia del Milan a quella di Renato Sanches. Già quattro anni fa qui sull’Ultimo Uomo parlavamo di un suo possibile inserimento all’interno della squadra rossonera, che allora aveva in panchina Vincenzo Montella e come amministratore delegato Marco Fassone. Oggi il Milan è fresco vincitore dello scudetto, Montella allena l’Adana Demirspor in Turchia e Fassone fa il consulente di un fondo d’investimento statunitense, eppure alcune frasi di quell'articolo hanno incredibilmente ancora senso. Per esempio: «In Renato Sanches il Milan avrebbe un giocatore con una caratteristica spiccata, e condivisa con Kessié, ossia la conduzione di palla a velocità vertiginosa sostenuta da una forza fisica straripante». Chi l’avrebbe mai detto che quattro anni dopo, il primo rischiava di sostituire il secondo anziché giocargli accanto?


 

Allora Renato Sanches e il Milan si cercavano per riscattare uno la storia dell’altro. Il centrocampista veniva dalla stagione fallimentare al Bayern Monaco che aveva spento l’entusiasmo dopo il grande Europeo dell’estate precedente, la squadra rossonera da un deprimente sesto posto che aveva garantito l’accesso ai playoff dell’Europa League solo perché la Juventus, che aveva vinto vinto la Coppa Italia, aveva già ottenuto la sua qualificazione europea vincendo lo scudetto. Le due storie sono continuate a correre in parallelo anche negli anni successivi. Alle anonime stagioni di Renato Sanches tra il 2017 e il 2019 con la maglia prima dello Swansea e poi di nuovo con il Bayern Monaco sono corrisposte due annate particolarmente grigie del Milan, segnate dalle esperienze in panchina senza particolari picchi prima di Montella e poi di Gattuso. Le due parabole hanno frenato la loro discesa quasi contemporaneamente: il giorno dopo la celebre sconfitta con l’Atalanta per 5-0, che simbolicamente ha segnato l’inizio del percorso che ha portato la squadra di Pioli allo scudetto, Renato Sanches ha segnato il suo primo gol con la maglia del Lille. E così le loro sono diventate storie di rinascita seguendo due percorsi che si potrebbero definire paralleli, se non fosse che hanno finito per toccarsi.


 

È successo durante i gironi d’Europa League della stagione 2020/21, che hanno messo di fronte al Milan proprio il Lille. Nella partita d’andata, a San Siro, la squadra di Pioli viene annientata da una tripletta di Yazici ma a rubare l’occhio è proprio Renato Sanches, un vecchio amore riapparso a distanza di anni come nella trilogia di Linklater. «Sanches si muoveva tra Brahim Díaz, che giocando da trequartista si occupava per primo di seguirlo o di impedirgli la ricezione, e Tonali, l’avversario che invece il portoghese aveva di fronte quando avanzava», ha scritto di quella partita Federico Aquè «Tra due avversari, cioè, che Sanches sovrastava a livello fisico». Non era un’iperbole, guardate ad esempio quest’azione all’inizio del secondo tempo di quella partita, al modo un po’ ingenuo in cui Tonali cade alla finta di corpo di Renato Sanches, alla fatica con cui cerca invano di recuperare il pallone da dietro. Come andrebbe a finire oggi questa azione?




 

La stagione 2020/21 si è conclusa per Renato Sanches con la vittoria del titolo, una delle più clamorose negli ultimi anni in Francia, e per il Milan con il ritorno in Champions League. A quel punto le due storie sembravano finalmente dividersi, trasformarsi nel ricordo imbarazzato di una cotta giovanile. Proprio nel momento in cui il centrocampista portoghese sembrava pronto a fare il suo secondo tentativo nel calcio d’élite un infortunio al menisco ne ha bloccato l’uscita dal Lille. Lo ha rivelato lui stesso lo scorso autunno, dichiarando che se non fosse stato per quell’infortunio, e per l’operazione a cui si è dovuto sottoporre subito dopo, nell’estate del 2021 avrebbe firmato per il Barcellona. Nella stagione successiva il cerchio si è chiuso con un domino di eventi che ricorda quei video virali in cui si manda una pallina da ping pong da una parte all’altra di una casa facendola rimbalzare sugli oggetti più diversi: prima c’è stata la crisi economica del Barcellona, che ha preferito virare su un giocatore in scadenza di contratto; poi la decisione di Franck Kessié di non rinnovare con il Milan e di firmare proprio per la squadra di Xavi; poi la vittoria dello scudetto da parte della squadra di Pioli, che doveva proprio rimpiazzare il suo numero 79; e infine la stagione mediocre del Lille, finito decimo in Ligue 1, che ha distolto le attenzioni dei top club europei sui suoi giocatori migliori. Tutto è sembrato portare Renato Sanches al Milan, che dopo un inseguirsi durato quattro anni non sono più alla ricerca del riscatto ma della definitiva consacrazione.


 

Già quest’anno Sanches è sembrato più grande della realtà che lo conteneva. Il Lille,  dopo la sbornia del titolo, le cessioni e l’addio di Galtier è tornato alla dura realtà della metà della classifica. Sparite le dichiarazioni protettive sul suo bisogno di fiducia (Hélder Cristóvao, suo allenatore nella squadra riserve del Benfica, per esempio aveva dichiarato che «Renato ha bisogno di affetto, di sentirsi parte di qualcosa e di sapere che c’è qualcuno che lo sostiene»), su di lui sono tornate le parole del 2016, quando agli Europei sembrava poter abbattere un muro di mattoni a spallate. Il suo nuovo allenatore a Lille, Jocelyn Gourvennec, lo ha paragonato a una «palla di fuoco». Fernando Santos, che è tornato a farlo giocare da titolare agli Europei dello scorso anno con la maglia del Portogallo, lo scorso autunno ha invece lodato quella «irriverenza» che lo rende un giocatore unico, «selvaggio». Cambiano le parole, si inventano nuove metafore, ma questo rimarrà sempre l’aspetto più visibile e peculiare del talento di Renato Sanches che palla al piede potrebbe separare le acque del Mar Rosso, e con un tiro di collo destro abbattere una sequoia. Tutte iperboli che faranno alzare gli occhi al cielo ai tifosi più prudenti, o ai più scettici di fronte alla sua rinascita, ma come si fa a non tirare in ballo il fuoco, l’elettricità, il vento, l’energia nucleare o qualsiasi altro elemento che ha a che fare con le divinità greche o che sia in grado di spazzarci via dalla Terra guardando gol come quello che ha segnato al Reims ad aprile?


 



 

Ciò che tutte queste parole non possono raccontare è quello che non si vede, e cioè che Sanches è cresciuto anche sotto la cenere del fuoco sacro che sembra animarlo quando risale il campo in progressione. Sei anni fa, alla luce del suo passaggio al Bayern Monaco, mi chiedevo che direzione avrebbe preso il suo talento, tra la completezza dei centrocampisti che sanno fare tutto - quell’utopia rappresentata da Vidal che alla metà degli anni ’10 sembrava essere l’orizzonte a cui tutti i centrocampisti dovevano aspirare - e la peculiarità degli specialisti, quei giocatori che eccellono in una cosa sola e che nei giusti contesti si inseriscono come l’ultimo pezzo di un puzzle. Era un interrogativo che nasceva dalle caratteristiche uniche di Renato Sanches, un centrocampista che copriva il campo con la facilità di un quad ma che sembrava ancora troppo ingenuo per eccellere in letture difensive complesse. A sei stagioni di distanza da quella domanda il centrocampista portoghese sembra aver preso con convinzione la seconda strada, ma a suo modo.


 

Renato Sanches, oggi, è un giocatore prettamente offensivo. Su fbref la discrepanza tra le sue statistiche offensive e le sue statistiche difensive è talmente ampia che se non l’avessimo mai visto giocare sarebbe difficile credere che sia un centrocampista. Sanches, per esempio, nell’ultimo anno tra i pari ruolo nelle cinque principali leghe europee è nel 97esimo percentile per dribbling riusciti e contemporaneamente nel decimo per contrasti vinti. Nel 97esimo per azioni che portano a un tiro e nel quindicesimo per intercetti. Renato Sanches, insomma, è un giocatore che continua ad avere limiti innegabili quando il pallone ce l’ha avversario, soprattutto quando è costretto a scegliere i tempi di intervento e di attesa in fase di difesa posizionale.


 

D’altro canto, però, Sanches ha anche arricchito notevolmente il suo gioco con la palla e oggi sarebbe riduttivo considerarlo solo un giocatore da transizioni. Al Lille è maturato al centro di un 4-4-2 che gli chiedeva di muoversi in funzione della palla, per farla uscire pulita dalla difesa anche sotto pressione. Di essere più riflessivo, insomma, di saper fare anche passaggi banali nel momento in cui c’era bisogno di farli, e di proteggere il pallone spalle alla porta in zone pericolose di campo. È quello che già gli aveva chiesto Galtier la scorsa stagione, di «scegliere meglio le zone in cui dribblare e quelle in cui giocare sicuro». Sotto il peso di questa responsabilità Sanches è maturato molto, soprattutto negli smarcamenti alle spalle della pressione avversaria e nell’utilizzo delle finte di corpo per ritagliarsi lo spazio per la giocata, ma non ha perso quell’elettricità verticale che ha rubato il cuore a tutti la prima volta che l’abbiamo visto. A volte, sul pressing alto degli avversari, invece di rallentare il gioco cerca di appoggiarsi di prima ai compagni per risalire il campo già dalla propria mediana, tentando giocate rischiosissime con una fluidità tecnica che è difficile vedere anche ad alti livelli.


 

Questo non significa, però, che Sanches si sia trasformato in un regista puro. Proprio grazie alla sua maturazione nel gioco senza palla, il centrocampista portoghese è riuscito a mantenere nonostante la posizione una grossa influenza anche sulla trequarti avversaria, anzi, per certi versi l’ha ingrandita, con una visione di gioco e un’ambizione nelle scelte che qualche anno fa era solo abbozzata. Un tipo di creatività che di solito associamo ai numeri 10, il numero che ha iniziato ad indossare nel campionato francese dopo la cessione di Ikoné alla Fiorentina a gennaio. Certo, fa strano vedere quel numero addosso al corpo tozzo e compatto di Renato Sanches, un giocatore che a un primo sguardo non fa proprio pensare all’eleganza apollinea di Platini, eppure il suo ruolo creativo è confermato da statistiche eccezionali. Sanches è nel 93esimo percentile per assist, nell’89esimo per Expected Assist, nel 98esimo per passaggi progressivi.



Sanches è diventato un giocatore che, con la palla, sa esercitare un’influenza in tutte le zone del campo, e nel Lille il suo status era tale che a 24 anni era già libero di muoversi a suo piacimento per il campo. Quando Gourvennec nella seconda metà di stagione l’ha spostato in alcune partite sugli esterni, per sfruttarne la capacità di superare l’uomo nell’uno contro uno e di tagliare il campo palla al piede, lo potevate vedere scendere sulla mediana a raccogliere il pallone dai difensori e un secondo dopo cercare il filtrante per l’attaccante sulla trequarti. Fa strano utilizzare il termine enganche per un giocatore che è tutto fuorché compassato, eppure a volte è quello che è sembrato, almeno nelle funzioni. Negli ottavi di finale di Champions League d’andata contro il Chelsea, a Stamford Bridge, per esempio, Renato Sanches è partito nominalmente da ala destra ma alla fine ha svariato per tutta la fascia centrale del campo, mettendo in mostra una ricchezza di soluzioni sbalorditiva. Quella è stata una delle sue migliori prestazioni stagionali, seppur in una sconfitta per 2-0.



Per queste ragioni è quasi superfluo chiedersi dove giocherà Sanches nel Milan, non solo perché la squadra di Pioli fa ruotare continuamente il suo triangolo di centrocampo ma anche perché, per la consapevolezza che ha ormai assunto, il centrocampista portoghese potrebbe giocare in tutte e tre le posizioni del 4-2-3-1 senza cambiare di una virgola il suo gioco. Di sicuro sarebbe un errore considerarlo un rimpiazzo di Kessié. Pioli utilizzava il centrocampista ivoriano, soprattutto quando lo schierava da trequartista, come equilibratore di un sistema che, per i principi che adotta, tende naturalmente a disordinarsi. Kessié è un giocatore diligente in fase difensiva, che fa tantissimo lavoro nascosto senza palla, ma non particolarmente creativo in fase di possesso, quindi tutto il contrario di Renato Sanches.


 

Per l’ambizione che ha con la palla, per la capacità che ha di superare l’uomo, di trascinare fisicamente la squadra in avanti, Sanches al contrario potrebbe amplificare la potenza entropica del Milan, che seguendo i principi di Pioli continua a puntare su giocatori che gli permettano di creare superiorità a partire dall’uno contro uno in qualsiasi zona di campo. Da questo punto di vista, Renato Sanches e il Milan sembrano fatti uno per l’altro: il centrocampista portoghese ha la capacità di difendere il pallone in dribbling di Bennacer e allo stesso tempo l’esuberanza verticale di Tonali, e aggiunge la creatività sulla trequarti che Brahim Diaz è riuscito a dare solo a tratti. Certo, per i limiti difensivi che ha, Sanches è anche un’arma che va maneggiata con cura, perché l’esuberanza senza i giusti contrappesi può trasformare una squadra pericolosa in una fragile.


 

Questo equilibrio precario che sembra sempre sul punto di spezzarsi è il filo rosso che lega la parabola di Renato Sanches a quella del Milan. A 24 anni il centrocampista portoghese potrebbe vestire finalmente la maglia rossonera dopo aver passato per quasi tutte le fasi che un calciatore di solito attraversa in una carriera intera: esplosione, fallimento, oblio, rinascita. Alla fine di questo percorso Sanches è diventato un giocatore ancora più peculiare e unico di quando lo abbiamo visto per la prima volta con la maglia del Benfica, tornando sulla soglia del calcio d’élite sull’onda dell’evoluzione del gioco verso l’entropia, il caos e l’imprevedibilità. Per salire l’ultimo gradino che gli manca dovrà dimostrare di aver superato definitivamente il limite molto sottile che divide un giocatore speciale da uno solo strano.


 

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