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Hype Renato Sanches
04 ago 2016
04 ago 2016
Per la quarta puntata di Hype: Renato Sanches, nuovo centrocampista del Bayern Monaco.
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Nel calcio di oggi, dove i progressi nella programmazione del calcio giovanile e il miglioramento dei metodi di allenamento stanno livellando tutti i giocatori a standard tecnici e fisici sempre più alti, si hanno sostanzialmente due vie per emergere ai massimi livelli.

 

La prima è quella di specializzarsi in una determinata mansione di gioco (finalizzazione, creazione nell’ultimo quarto, recupero del pallone, eccetera) al punto di diventare uno tra i migliori in quel particolare ambito. È una scelta sensata che deve corrispondere a un talento molto spiccato in quella determinata caratteristica per non risultare rischiosa esponendo il giocatore alla possibile deriva dell’inutilità nel caso in cui si adotti un sistema di gioco non adatto. Possiamo pensare a giocatori come Kanté, un recuperatore di palloni eccellente, e Icardi, senza dubbio uno dei migliori al mondo in area di rigore; o per far esempio opposto, di un giocatore cioè che fuori dal proprio campo ha deluso fino al punto da costringere a una sua rivalutazione complessiva, possiamo pensare a Iturbe, specialista nelle corse palla al piede in transizione a Verona, meno utile in una squadra che, nelle intenzioni, attaccava posizionalmente come la Roma.

 

La seconda strada, invece, è quella del giocatore polifunzionale, ed è la via prediletta del calcio contemporaneo e che ha portato a molti dei migliori calciatori della nostra generazione: Müller, Alaba, Lahm, Busquets, Mascherano, Vidal, e pochi altri. È una via che nasce dall’utopia del giocatore totale (declinato nella realtà in una serie di subutopie: il tuttocampista, l’attaccante moderno, il centrale che imposta, il falso terzino) su cui si stanno incamminando anche diversi giovani centrocampisti, più o meno compiuti: Weigl, Kimmich, Dele Alli, e pochi altri.

 

Renato Sanches è di fronte a questo bivio e probabilmente è il più interessante ed

tra i giovani centrocampisti al momento in circolazione.

, in realtà, lo hanno già spostato alla fine del suo percorso di crescita, appiccicandogli addosso l’etichetta di “tuttocampista”, che è un modo che ha certa stampa di fare un complimento ad un centrocampista che sembra essere molto forte. Ma oggi, per la verità, Renato Sanches è più un prodotto venduto molto bene da televisioni, stampa, e uffici marketing, piuttosto che un giocatore maturo.

 

Nonostante ciò, l'acquisto del Bayern di Monaco e l'Europeo da protagonista con il Portogallo fanno sì che le aspettative su di lui siano già elevatissime. In questo senso, pur mantenendo la fiducia nelle capacità gestionali di Ancelotti, la stagione 2016/17 sarà già una piccola stagione della verità per lui, in cui ogni minuto e ogni giocata verrà commentata e giudicata con la severità che si riserva di solito ai grandi campioni.

 



 



Renato Sanches ha una di quelle storie su cui la retorica del riscatto potrebbe anche costruirci sopra un film. Nato da genitori provenienti da due ex colonie portoghesi, la madre da Capo Verde, il padre da Sao Tomé e Principe, Renato Sanches è cresciuto in uno dei quartieri più poveri di Lisbona, Musgueira, proprio dietro all’aeroporto della capitale portoghese. Qui ha iniziato a tirare i calci al pallone, in una squadra, le Aguias da Musgueira (le Aquile di Musgueira), che usa il calcio per togliere i bambini dalla strada, come si dice.

 

I ricordi di questo periodo sono affidati alle dichiarazioni di Antonio Quadros, presidente del club, con cui a quanto pare Renato Sanches aveva un rapporto molto stretto. In questi racconti, Quadros

il ruolo del vecchio saggio che impedisce ai suoi ragazzi di deviare dalla giusta via con tutti i mezzi: «[Renato Sanches] era un furfante. Ho dovuto convincerlo più volte perché voleva smettere di giocare a calcio, ci sono riuscito e oggi sono molto contento - e anche sorpreso - per il progresso che ha avuto. Non solo calcisticamente, ma anche a livello disciplinare, Renato è totalmente cambiato».

 

Uno di

era tanto semplice quanto indicativo della povertà della situazione: «Quando tornavo a casa, dopo le partite, [Renato Sanches] veniva da me per dirmi cosa aveva fatto. Mi ricordo che una volta mi disse, ‘Presidente, oggi ho fatto tre gol contro il Belenenses, gli abbiamo dato una punizione!’ E gli diedi cinque euro per andare a mangiare una

[tipico panino portoghese con carne]. Era tutto contento». Da quel giorno qualunque giocata fu valida per ottenere qualche spicciolo per comprare delle

.

 

Ad appena 10 anni venne notato dal Benfica, che secondo la leggenda avrebbe pagato le Aguias da Musgueira 750 euro e 25 palloni. Nove anni dopo, il Bayern, per acquistarlo, pagherà 35 milioni di euro più una serie di bonus eventuali che potrebbero portare la cifra fino a 80 (tra queste, sembra, c’è anche l’eventuale vittoria del Pallone d’Oro entro il 2021).

 

Il background di miseria fa quindi da perfetto contraltare a quel mosaico che è la sua immagine oggi, che è invece fatta di cifre a sei zeri, potenza fisica, grossa personalità.

, come dice

dell’Adidas che celebra il suo gol all’Europeo contro la Polonia.

 

Ed è proprio il suo stile, sia dentro che fuori dal campo, d’altra parte, che si adatta perfettamente ai dettami volontaristici della pubblicità di oggi. Come

il suo allenatore al Benfica, Rui Vitoria: «[Renato Sanches] è irriverente, selvaggio, cattura chi lo guarda, è altamente commerciale, e a qualunque tifoso piace vederlo [giocare]».

 

Il gesto tecnico in cui già eccelle è infatti la progressione palla al piede, con cui mangia letteralmente il campo con i piedi e fa sembrare tutti i suoi avversari più piccoli. “È quello che faccio di solito, nulla di più. Portare il pallone in avanti è uno dei miei punti forti”,

lui stesso dopo la partita con la Croazia. Secondo l’allenatore del Portogallo, Fernando Santos, Renato Sanches è immune alla pressione.

 

E anche guardando la sua brevissima carriera, si ha come l’impressione che Renato Sanches possa cambiare il mondo esterno attraverso la sua sola presenza. Il 30 ottobre dell’anno scorso, il giorno in cui ha esordito in prima squadra, il Benfica era ottavo in classifica e veniva da una pesantissima sconfitta di 3-0 nel derby con lo Sporting. Delle 26 partite successive (di cui Renato Sanches ne giocherà 23), il Benfica ne vincerà 24 andandosi a prendere campionato e coppa nazionale. Quest’estate è diventato il più giovane giocatore portoghese ad esordire in un Europeo, battendo il precedente record di Cristiano Ronaldo, e sappiamo tutti com’è andata a finire.

 

Quando non gioca a calcio, invece, veste alla moda, con grossi cappucci che coprono i dreadlocks, e

Bob Marley: «You never know how strong you are until being strong is the only choice you have» (cioè: Non sai mai quanto sei forte fino al momento in cui essere forte è l’unica scelta che hai).

 



 



Ma Renato Sanches è un giocatore e una persona più complessa di quella pubblica che si sta costruendo. Da piccolo viene descritto come un bambino timido e pauroso, inizialmente molto riluttante a trasferirsi al Benfica per la paura di allontanarsi da casa, di attraversare il Tago (il fiume che divide Lisbona, e anche Musgueira dal centro d’allenamento del Benfica).

 

Alla prima contro le Aguias da Musgueira da avversario, Renato Sanches si rifiutò di scendere in campo. E il giorno del suo primo gol con la prima squadra del Benfica, circa 7 anni dopo, è tornato al bar delle Aguias da Musgueira per mangiarsi una

con i suoi amici d’infanzia.

 



 

Anche in campo Renato Sanches nasconde tutta una serie di piccole debolezze e tesori, che superficialmente non riusciamo a notare perché accecati dalla sua progressione con il pallone da giocatore di football americano e dal suo fisico da lottatore di capoeira.

 

È per certi versi paradossale ad esempio constatare che i più grossi limiti di Renato Sanches risiedano nella fase di recupero del pallone, se pensiamo che la forza fisica è il tratto che di solito viene sottolineato quando si parla del centrocampista portoghese. La sua attenzione è infatti sempre focalizzata sul pallone, anche in fase di non possesso, caratteristica che lo calamita spesso fuori dalla sua posizione, aprendo spazi alle sue spalle che possono essere sfruttati dagli avversari, e che lo distrae dal seguire gli inserimenti che dovrebbe assorbire.

 

Anche quando la sua squadra è in possesso, Renato Sanches aspetta il pallone in maniera quasi sempre passiva e statica, muovendosi asincronamente rispetto al resto della squadra, con la conseguenza di rimanere molte volte schermato dal pressing avversario. In questo modo, Renato Sanches rimane spesso escluso dal gioco.

 

Caratteristiche, queste, che probabilmente derivano dal suo humus “culturale”, quello del calcio di strada, dove la palla ha un’importanza centrale sia in possesso che in non possesso (

Rui Vitoria, Renato Sanches «mischia il professionalismo all’allegria del ragazzo di strada»).

 

Forse per lo stesso motivo Renato Sanches è quasi completamente privo di alcuni fondamentali, come il colpo di testa o la scivolata, che in strada sono inutili o pericolosi. All’ultimo Europeo è stato il giocatore del Portogallo con meno duelli aerei vinti con la sola esclusione di Cedric (appena 0,22 ogni 90 minuti, il 20% di quelli tentati), mentre l’assenza del tackle basso va innestata su un discorso complessivo sui limiti del centrocampista portoghese nell’affrontare l’avversario nell’uno contro uno.

 

Renato Sanches, infatti, sembra avere una grossa consapevolezza della propria fisicità, ma poche idee su come utilizzarla, almeno in alcune situazioni. Quello che la statistica non può raccontare è infatti l’uso ancora indisciplinato e poco furbo del corpo, le scelte grossolane dei tempi d’intervento, l’eccessiva irruenza nei contrasti.

 

Il centrocampista del Bayern, per esempio, usa ancora in modo ingenuo le spalle e le braccia, con cui molte volte carica irregolarmente gli avversari da dietro. Ma soprattutto tende a fidarsi eccessivamente della sua capacità di corsa, seguendo gli avversari con i tempi sbagliati nella speranza di recuperarli successivamente. Quest’ultima caratteristica può essere un problema serio quando le squadre di cui fa parte cercano di difendere in avanti, aggredendo gli avversari alle spalle. Renato Sanches infatti sale spesso in maniera troppo avventata, esponendosi al rischio di essere saltato, ed è paradossale se pensiamo alla sua capacità di corsa nel breve quasi soprannaturale.

 

I limiti di Renato Sanches risiedono quindi soprattutto nelle scelte che non nella tecnica, e questo lo si vede anche con il pallone tra i piedi. Anche in questo caso, infatti, il centrocampista portoghese dimostra di avere una fiducia quasi dogmatica nella sua capacità di incidere sulla partita da solo attraverso la sua progressione con il pallone o col suo brutale destro dalla distanza. A volte incaponendosi in dribbling barocchi (o forse sarebbe meglio dire “manuelini", lo stile architettonico tipico di Lisbona), invece di cercare il dialogo con i compagni per liberare gli spazi. Altre volte perdendo la concentrazione nei momenti più banali, come quando c’è da effettuare uno scarico semplice dopo aver saltato due, tre uomini.

 

D’altra parte è sembrato che lo stesso Rui Vitoria al Benfica volesse attrarlo tatticamente verso questo tipo di scelte posizionandolo, lui che è un destro naturale, come mediano di sinistra del suo 4-4-2, mettendolo quindi col piede invertito nelle condizioni migliori per puntare il suo diretto avversario.

 

Renato Sanches nasce infatti come esterno alto e questo lo si vede dalla frequenza con cui tenta il dribbling anche in zone generalmente considerate pericolose, attraverso cui riesce a spezzare situazioni statiche con grande frequenza. All’ultimo Europeo Renato Sanches è stato il giocatore del Portogallo a cui sono riusciti più dribbling (2,39 ogni novanta minuti, il 52% dei tentati), un dato irreale per una mezzala e se pensiamo che in squadra c’erano giocatori come Cristiano Ronaldo, Quaresma e Nani. Per comprendere l’anomalia a cui siamo di fronte: Renato Sanches ha dribblato di più di Konplyanka.

 

In questa posizione, inoltre, Renato Sanches era costretto spesso a ricevere spalle alla porta, che è una delle situazioni che gestisce meglio, e di cui non a caso Rui Vitoria si fidava molto.

 

Quando il centrocampista portoghese mette il proprio corpo tra l’avversario e la palla, infatti, chi vuole privarlo del possesso si trova di fronte ad una pronta blindata che è quasi impossibile da scassinare.

 

E al di là della semplice difesa della palla con il corpo, ciò in cui Renato Sanches raggiunge quasi un livello artistico è la finta di corpo spalle alla porta per disorientare l’avversario che lo sta aggredendo da dietro. Un gesto tecnico che il portoghese esegue con una leggerezza e una maestria da ballerino classico, che contrasta in maniera quasi poetica con il suo fisico tozzo e compatto.

 



Qui finiscono le cose che sappiamo e iniziano le cose che non possiamo sapere: le qualità ancora abbozzate, le potenzialità forse inespresse.

 

Non è ancora chiara del tutto, ad esempio, la reale capacità di Renato Sanches di spezzare le linee avversari con passaggi in verticale, o di mettere la palla dietro la difesa avversaria con suggerimenti filtranti. A volte il portoghese riesce a proporre scelte qualitative, molto qualitative, ma non riesce a farlo ancora con sufficiente continuità. I numeri, in questo senso, sono pallidi: 1,09 passaggi chiave ogni novanta minuti all’Europeo; 0,67 ogni novanta minuti in Champions League con il Benfica.

 

Anche sulla gestione del possesso ci sono dei dubbi. Renato Sanches è ancora in quella fase della giovinezza in cui i cambi di gioco, i passaggi semplici, gli scarichi in orizzontale sono considerati una banalità da delegare a chi ha tempo da perdere. Questo per dire che il portoghese, nonostante dimostri in potenza la tecnica per far girare il pallone con qualità, fa ancora tanti, troppi errori in impostazione per essere considerato un’eccellenza in questo ambito. All’Europeo ha passato con un’accuratezza dell’85%, mentre in Champions League col Benfica questa percentuale si abbassa ancora di più, arrivando fino al 79% (certo, anche i sistemi di gioco di Santos e Rui Vitoria, entrambi molto diretti, non hanno aiutato).

 

Ma il problema di Renato Sanches non è tanto quello di avere limiti, perché un giocatore di 19 anni che non ha limiti non è mai esistito e mai esisterà, quanto quello di avere davvero il tempo per superarli. Come si deve porre un allenatore di un top club europeo come Ancelotti nei confronti di un giocatore che potrebbe arrivare a costare 80 milioni di euro? È davvero possibile conciliare queste cifre e le ambizioni del Bayern Monaco con l’esigenza di crescita del centrocampista portoghese? Renato Sanches è un giovane da far crescere o un giocatore già formato?

 

Dalle risposte a queste domande dipenderà che parte del bivio (che poi è una gamma di sfumature) tra giocatore totale e giocatore iper-specializzato che imboccherà Renato Sanches, e quindi anche le sue possibilità di entrare all’interno dell’elite del calcio mondiale.

 

Ancelotti potrebbe sfruttare tutti i suoi pregi, spostandolo sulla trequarti o sull’esterno (che poi è la posizione dov’è nato, calcisticamente parlando), in modo da puntare tutte le fiches sui suoi punti di forza, come la progressione palla al piede, la difesa del possesso spalle alla porta, il tiro dalla distanza, il dribbling dello stretto. In questo modo Renato Sanches potrà avere subito una grande influenza sulla partita e Ancelotti subito il massimo che il giocatore può dargli oggi.

 

Renato Sanches nel breve periodo potrà così abbinare la sua anomalia fisica al grande talento, che sembra essere la base su cui si fondano tutti i grandi giocatori contemporanei. Ma se per sopravvivere alla competizione attuale vorrà davvero diventare un “tuttocampista”, un giocatore polifunzionale, prima o poi dovrà per forza di cose arricchire il suo gioco, come d’altra parte hanno fatto alcuni dei più talentuosi giocatori delle ultime generazioni, come ad esempio

, o come sta facendo addirittura anche

.

 

Perché questo accada, però, l’allenatore emiliano dovrà intraprendere la via più lunga e tenere Renato Sanches dov’è, insegnandogli a fare la mezzala davvero, al costo di pagare i limiti e i difetti che il centrocampista portoghese ha adesso. Il percorso per arrivare ad essere uno dei più grandi centrocampisti della nostra epoca è difficile e rischioso. In mezzo ci sono tante cose: la necessità di trofei di Ancelotti, le sue reali capacità d’insegnamento, le esigenze finanziarie del Bayern Monaco, la competizione altissima, la spada di Damocle degli infortuni. Non sapremo mai quant’è forte davvero Renato Sanches fino al momento in cui essere forte sarà l’unica scelta che avrà.

 

 

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