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Il giocatore più fumoso: Rafael Leao
25 mag 2021
25 mag 2021
Il premio alla stagione più inconsistente va all'attaccante del Milan.
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Ci sono tanti modi di essere fumosi. Guardate l’albo d’oro di questo premio, dopo tanti anni è diventato una specie di catalogo scientifico della fumosità del calcio. Antonio Candreva ha incorporato tutta la sua fumosità in un unico gesto tecnico: il cross. Uno strumento anacronistico e fumoso, ed essendo Candreva una macchina spara-cross, è stato premiato come giocatore fumoso. Domenico Berardi, con le sue promesse non mantenute, a un certo punto sembrava averci illusi. Era il più fumoso perché pensavamo, più furbi di tutti, d’aver scoperto che era più fumo che arrosto. Il premio a Samu Castillejo, vincitore due anni fa, non riesco ancora a spiegarmelo del tutto. L’unica cosa che mi viene da pensare è che Castillejo sembra letteralmente fatto di fumo. Non ha muscoli, ha il collo lungo, il naso lungo, le gambe lunghe, tutto lungo fino a scomparire nel nulla come l’immagine di una tv che si spegne. Lo scorso anno aveva vinto Federico Chiesa, che incarna alla perfezione uno stile quantitativo di essere fumosi: provare a spaccare il mondo in due a ogni singola azione, e riuscirci invece raramente. Lo scontro fra quanto Chiesa - quello della Fiorentina - ci credeva, a essere il più forte calciatore al mondo, e quanto poco ci riusciva, era struggente e, di questo stiamo parlando, fumosissimo.

Leao incarna invece il senso più nobile della fumosità. È un giocatore bello, bellissimo, ma poco efficace. Questo premio è l’insulto peggiore che la cultura calcistica italiana possa farti. Non c’è niente che gli italiani odiano di più di un calciatore bello e inutile, e questo è esattamente ciò che Leao è. O almeno ciò che Leao è stato quest’anno. Un calciatore che staremmo ore a guardare, ma non sapremmo dire esattamente perché, un calciatore di cui vedremmo volentieri tutte le partite; ma alla fine di queste se qualcuno ci ponesse domande venali come “che cosa ha fatto Leao”, “come ha giocato Leao”, l’unica risposta onesta che potremmo dare è “beh, non lo so”. Sareste dirmi quanti gol ha segnato Leao quest’anno? La risposta giusta è: meno di quanti immaginiate, 6. 9 meno di Ibrahimovic, 5 meno di Rebic e Kessié, 1 meno di Theo Hernandez. Estendendo il discorso alla Serie A, ha segnato meno di giocatori come Hernani, Barak, Pandev, Orsolini, Lapadula. 6 gol sono davvero troppo pochi per un giocatore che gioca in attacco e che è sceso in campo 12 volte da punta centrale, in un momento delicato della stagione, in cui Ibra era fuori e a lui era chiesta la presenza in area di rigore che sarebbe inevitabilmente mancata. Ha segnato gli stessi gol dello scorso anno, ma con 700 minuti in più di gioco. Il suo rendimento è sensibilmente peggiorato nel girone di ritorno, dove ha segnato appena 1 gol, contro il Parma. Una partita in cui ha giocato appena 6’ e ha raccolto una grande azione di Dalot segnando davanti a Sepe un gol facile, ma non per lui, che i gol facili di solito li sbaglia volentieri.

Contro l’Atalanta, nell’ultima partita, quella che era come una finale mica solo per dire, ha avuto sul piede destro la palla che chiudeva la partita. Mentre Gollini gli scivolava sui piedi, Leao lo ha scavalcato con un pallonetto dolce e carino, che ha rimbalzato sul palo e tenuto in vita le possibilità del disastro finale. La conferma che anche quando sbaglia, Leao è bellissimo.

Sarebbe disonesto non dare a Leao quel che è di Leao. Non ammettere per esempio che c’è stata tutta una parte di stagione in cui è stato un giocatore importante, e anche uno dei più determinanti della Serie A, e quindi del Milan, che ci rinunciava mal volentieri. È stato un periodo breve, durato cinque partite in cui ha segnato 2 gol e servito 3 assist, e coronato nella prestazione in casa contro la Roma. A San Siro - in un 3-3 pazzo - ha fatto girare la testa a Karsdorp. Partiva da sinistra, girando attorno a Ibrahimovic, facendo di tutto per sfruttare un dominio aereo dello svedese che oggi pare scolorito nel tempo. Correva per raccogliere tutte le seconde palle, oppure partiva in transizione palla al piede con un’eleganza mozzafiato in conduzione: la testa sempre alta, i passi brevi e rapidi, o lunghi, potenti e sempre composti come quelli dei grandi felini. Dopo pochi secondi ha messo a Ibra una palla solo da spingere in porta. Dopo pochi secondi dall’inizio del secondo tempo ha bruciato Karsdorp con un doppio passo e ha messo un altro pallone facilissimo da segnare, stavolta per Saelemakers.

Dopo il buon girone di ritorno dell’anno scorso, e dopo un tale inizio, tutto lasciava immaginare cose pirotecniche da Leao. È quel tipo di giocatore le cui possibilità sembrano sconfinate. Un fascio di muscoli e talento partoriti dall’immaginazione di qualcuno che non sa come sono fatti gli esseri umani veri - che a differenza di Leao non corrono staccati qualche centimetro da terra. Pure Pioli ha ammesso che è normale che su di lui ci siano aspettative alte, che il suo potenziale è “incredibile”. La verità è che quest’anno Leao ha dimostrato che il suo talento non può andare ovunque, e che almeno per ora ha una forma ben precisa. Il suo rendimento è calato in modo drastico quando non ha giocato più Ibra: quando lo svedese aveva smesso di liberargli spazio in isolamento, a fornirgli seconde palle da attaccare contro difese disordinate e prese in controtempo. Leao partiva da sinistra, ma di fatto agiva da seconda punta - con Saelemakers a destra a compensare con applicazione e corsa gli squilibri di un sistema volutamente asimmetrico. Non è un giocatore che crea spazi ma uno che li sfrutta: era così al Lille, ed è così anche ora. Lo ha ammesso anche lui, che preferisce partire dall’esterno senza il disagio del gioco spalle alla porta: «Ho più spazio a disposizione per correre, andare all’uno contro uno, tirare in porta e fare anche assist». E Pioli ha confermato che il suo ruolo è quello, a sinistra. Certo, la sua tecnica lascerebbe immaginare possibilità evolutive da prima punta. Ma Leao, per un motivo o per l’altro, non ci si trova.

Non sembra avere grande voglia di impegnarsi in tutta quella dimensione sporca fatta di piccoli posizionamenti, manipolazioni del corpo, contatto fisico. Forse è pigrizia, forse davvero “chi nasce tondo non può morire quadrato”, o forse il sistema di Pioli e il calcio italiano non sono il contesto adatto per lui in quel ruolo, che ha giocato bene da prima punta nel Lille di Galtier, trovandosi bene a correre in spazi ampi. Ibrahimovic ha detto che Leao «È molto forte, ha un fisico quasi migliore del mio. Ha velocità, tecnica. Deve solo concentrarsi sul calcio come sta facendo. Sta giocando al Milan, qua non c’è tanta pazienza». O forse ha solo bisogno di crescere e maturare, visto che ha solo 22 anni e l’arco evolutivo dei centravanti è di solito più lento e graduale. Di sicuro deve crescere la sua intensità mentale, una delle qualità più intangibili dei giocatori e più difficili per i giovani. La capacità di gestirsi durante le partite, e di restare attaccato ai momenti importanti, capire cosa serve di più alla squadra.

Nel frattempo Leao può prendere questo premio come un complimento; un riconoscimento alla sensazione di bellezza e potenza che riesce a trasmetterci, ai margini di miglioramento che ancora ci suggerisce. Federico Chiesa, premiato lo scorso anno, in questa stagione è diventato concreto e decisivo oltre ogni immaginazione. Pioli ha detto che il prossimo deve essere l’anno della sua esplosione, ma anche dovesse rimanere inconcludente e fumoso, rimarrà bellissimo da veder giocare.

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