
Nel 2017 l'ex allenatore Ángel Cappa ha scritto insieme a sua figlia Maria un libro intitolato “También nos roban el fútbol”: ci stanno rubando anche il calcio. Tutto il libro si concentra sulla denuncia della metamorfosi mercantilistica del calcio, e ne rivendica la sua importanza culturale, la cui proprietà intellettuale è – innanzitutto – delle persone: di chi ci gioca, di chi fa il tifo, della capacità di associarsi di chi lo gestisce.
È un punto di vista profondamente argentino, o per meglio dire: è in Argentina che questa visione del calcio come strumento di costruzione identitaria ha avuto particolare successo, ed è pertanto stata difesa strenuamente lungo tutto il corso della sua storia. Durante una presentazione di quel libro, César Luis Menotti disse: «i soci dei club argentini devono poter contare sulla politica e sulla giustizia per la protezione di questa conformazione: altrimenti comincia a spuntare fuori il tema della privatizzazione, dei colossi del business che iniziano a comprarsi i club e a fare quello che gli pare».
Sia Cappa che Menotti, probabilmente, avevano intuito che di lì a dieci anni il germe dell’affarismo avrebbe finito per attecchire anche nel loro Paese: era inevitabile. Lo avevano intuito e lo temevano come si temono le crepe che si aprono sui muri e che si scoprono provocate da un indebolimento delle fondamenta, segnali prodromici di un rischio di crollo. Eppure, in un calcio più puro, continuavano ad avere fede, in quella maniera tutta rioplatense in cui la fede somiglia più all’incaponimento.
In Argentina il calcio ha a che fare con la società. Non solo perché costituisce il fulcro attorno a cui ruota la quotidianità, oltre che un intero apparato simbolico e lessicografico, ma anche perché in effetti la strutturazione del suo sistema, fatto di club che sono associazioni senza scopo di lucro, è qualcosa di anacronistico, controcorrente e incomprensibile, esattamente come la società argentina.
Il fulbo, da quelle parti, non è mai solo fulbo. Nel club per il quale non solo fai il tifo, ma al quale appartieni, vai a giocare a tennis il sabato mattina, iscrivi figli a nuoto, i tuoi vicini frequentano scuole e corsi. Il club offre servizi alla collettività, fa assistenzialismo: è un posto in cui continua a sopravvivere la massima di Osvaldo Bayer secondo il quale «il calcio è un gioco socialista», «il circo della gente povera, la messa di campagna di chi è solo e vuole sentirsi in compagnia qualche volta almeno».
«In Argentina ancora oggi ogni tifoso organizza la propria vita in base al calcio, alla vita sociale del club: e quando a questo stile di vita si cominciano a dare i nomi del mondo del business, significa che qualcosa si sta rompendo», mi ha detto lo scrittore Carlos Aletto. «I soldi rendono sempre opaco il sentimento: ne indeboliscono la dimensione simbolica».
Nel 2017, all’uscita del libro di Cappa, su Radio Conexión Abierta andava in onda un programma che si chiamava “Demoliendo mitos”, distruggendo miti. Lo conduceva un economista unconventional, sopra le righe, che si chiamava Javier Milei, tifoso del Boca che però, un anno dopo, durante la Final del Siglo (cioè la finale di Copa Libertadores tra Boca Juniors e River Plate), all’ingresso in campo di Fernando Gago avrebbe deciso di tifare per il River – se non è distruggere miti questo, ditemi voi cosa lo è.
Milei-l’economista è un grande estimatore del modello inglese, chiamiamolo così: è un anarco capitalista a impronta libertaria radicale, antistatalista, dice, parlando della possibilità che i club argentini smettano di essere società senza scopo di lucro per diventare proprietà privata: «Che te ne frega di chi è il tuo club se vinci 5-0 contro il River, se sei il migliore del mondo? O preferiamo andare avanti con questa miseria?».
IL PALLINO DELLE SAD
Quando nel 2022 l’Argentina ha vinto il Mondiale in Qatar, Milei sedeva già nel Parlamento argentino da un anno, ma soprattutto aveva già presentato la sua candidatura per le elezioni presidenziali del 2023. Voleva distruggere lo status quo del Paese, ribaltarlo, tagliare i rami secchi con una motosega. Uno dei suoi pallini – magari non prioritario, ma significativo a sufficienza del suo approccio globale – è sempre stato quello dell’ingresso, nel calcio argentino, delle SAD, le Sociedad Autonomas Deportivas: una modalità di gestione dei club come imprese private, orientate al profitto, in cui i soci non partecipano alle decisioni che hanno a che fare con l’entità sportiva, ma ne diventano, semplicemente, spettatori. Proiettata su uno scenario più vasto, è la visione di uno Stato orientato al profitto, in cui i cittadini compartecipano il giusto (cioè poco).
Perché questa fissazione con le SAD? Innanzitutto perché la possibilità di convertire un club in impresa sulla carta dovrebbe attrarre capitali stranieri, ovviamente, generando cash flow. Fondamentalmente per questo. Ma forse, nel profondo, non solo per questo.
Durante la campagna presidenziale Milei si è circondato di gente che, come lui, la pensava alla stessa maniera sul tema. Ricardo Schlieper, per esempio: ex procuratore calcistico, che dopo l’elezione sarebbe stato nominato sottosegretario allo sport, Schlieper non ha mai nascosto di essere un grande fan di Juan José Sebreli, sociologo argentino con una visione precisa sulla passione popolare patria che lo portava a scrivere che "i tifosi sono tutti dei deficienti". Sembra sia stato proprio Schlieper a ispirare un tweet di Milei diventato virale, arrivato a cavallo tra la vittoria del Mondiale e quella della Copa América 2024, in cui il presidente ha elencato, al fianco del nome di ogni fresco campione del mondo, la squadra in cui questi militava per rafforzare l’idea che la loro forza derivasse dal fatto che tutti militavano in SAD e che quindi, sillogisticamente, le SAD fossero l’entità che messianicamente avrebbe salvato il fulbo.
Quando qualcuno gli ha fatto notare che sarebbe stato più sensato tirare in ballo il General Urquiza, il Club Ananderado Grandoli o il Club El Torito (cioè i club senza scopo di lucro in cui si erano formati "el Dibu", Messi e Di Maria), Milei ha tirato in ballo, ancora una volta, la miseria. Poi ha estratto la motosega.
Calcio e politica nazionale si sono sempre intrecciati, in Argentina, in una maniera che non ha eguali al mondo. La polarizzazione con toni da stadio andata in scena durante le elezioni presidenziali del 2023, per esempio: c’è un altro posto del pianeta in cui sarebbe stata possibile?
Lo scontro tra i due candidati – da una parte Sergio Massa, tra l’altro dirigente di uno di quei club di cui l’anarcocapitalismo auspica la scomparsa, il Club Atlético Tigre; dall’altra Milei – è stato fortemente incentrato sul calcio non solo nei toni, ma anche nei temi.
Si potrebbe addirittura sostenere che Massa abbia fatto della purezza e durezza della sua visione sul calcio nazionale il punto, chissà, di maggiore solidità della propria campagna. Così come Milei ha continuato a perorare la sua battaglia cercando di influenzare anche le votazioni per la presidenza di uno dei club più importanti del Paese, il Boca Juniors, supportando la candidatura del principale avversario di chi avrebbe invece vinto, cioè il peronistissimo Juan Román Riquelme.
Il 18 dicembre 2023, con il 64% dei voti, Riquelme è diventato il nuovo presidente del Boca. Due giorni più tardi, Javier Milei – che intanto si era già insediato come nuovo, sorprendente, inatteso ma poi non troppo Presidente della Repubblica – ha emanato il Decreto Necesidades y Urgencias n.70.
In Argentina, il DNU è uno strumento legislativo speciale che mette il Presidente nelle condizioni di promulgare norme aventi forza di legge soprassedendo il normale iter legislativo (equivalente più o meno al nostro decreto legge): quello di Milei, intitolato “Basi per la ricostruzione dell’economia argentina”, prevedeva più di 300 modifiche ispirate alla sua visione di promozione dei mercati come longa manu che riorganizza un’intera società. Una delle modifiche – quella che interessa a noi, qua – prevedeva la modifica degli statuti societari dei club calcistici argentini affinché si potesse aprire la possibilità di trasformarsi in imprese. Lo aveva promesso. Lo ha fatto.
A pochi giorni dalle elezioni Milei aveva detto che «il Chelsea è interessato a investire nel calcio argentino: potrebbero arrivare investimenti per più di un miliardo di dollari». Ad appoggiarlo aveva trovato "el Kun" Agüero: «Se Dio vuole che si riesca a fare, già saprei chi sentire». L’Independiente stava passando un brutto periodo, rischiava il fallimento, "el Kun" lo avrebbe fatto salvare senza indugi dal City Group.
A qualcuno potrà sembrare un intento di quelli a latere, secondario: ok, Milei vuole agevolare gli investimenti, come potrà nuocere al calcio argentino? A latere, in realtà, non lo è per niente, soprattutto per i modi con cui l’intento si manifesta.
La federazione calcistica nazionale, la AFA, da statuto non riconosce le SAD. Il DNU, per arginare la reticenza della AFA, ha introdotto la possibilità che "nessun diritto di affiliazione a una confederazione, federazione, associazione, lega o unione potrà essere negato se le società sceglieranno – col voto di due terzi dei soci – di trasformarsi in SAD". «Alla fine della fiera», come spiegava Agüero, «se ai soci va bene, due più due fa quattro. Perché non dovrebbero farli votare? Hanno paura? Che succede, si stanno cagando sotto? Si stanno cagando sotto perché a gestire così i club hanno i loro tornaconti personali».
Non è per niente secondaria, la volontà ferrea di Milei di introdurre le SAD, perché va contro una forma mentis – per di più istituzionalizzata, in quanto codificata dalla AFA – radicata. E la sua missione politica è esattamente quella di sradicare forme mentis.
«Il calcio è tutto, in Argentina», ha scritto Ezequiel Fernández Moores. «E se Milei potrà dire “Ho cambiato il calcio!”, allora potrà convincersi di poter cambiare tutto: sarebbe la prova provata del fatto che sui capitali privati, sulla deregolamentazione, aveva ragione lui». Forse era questa, la sua necessità e la sua urgenza. Rivoltare il Paese come un calzino.

Come hanno vissuto questa anticipazione di svolta epocale i principali club argentini? Male, ovviamente. Malissimo. Perché se c’è qualcosa che è davvero complicato cambiare – in termini mileiani: se c’è un’erba mala impossibile da eradicare – in Argentina, è la tradizione, i valori, l’identità costruita dal fulbo. "Seguendo lo spirito dei nostri fondatori, rifiutiamo le SAD nel calcio argentino", ha comunicato il River all’indomani della promulgazione del DNU. "Il club è dei soci e delle socie", ha fatto eco l’Independiente, e ad abbracciare lo stesso punto di vista ci sono stati il San Lorenzo, il Racing, tutti i principali club del Paese. Dirigenti, soci, tifosi, giocatori: un plebiscito contro la novità.
Quando a luglio 2024 l’Argentina fresca vincitrice della Copa América è stata invitata a mostrare il trofeo dal balcone della Casa Rosada, l’AFA ha declinato. Nel frattempo ha scritto alla FIFA, denunciando il decreto come una fonte di ingerenza nella propria autonomia amministrativa. Ne è sorto un contenzioso che è presto passato – e tuttavia permane – nelle mani della Corte Suprema.
LO STRANO RAPPORTO TRA MILEI E MACRI
Perché allora insistere così tanto in un’azione così impopolare? Nella lista delle reazioni dei club non ho dimenticato di citare il messaggio di disaccordo del Boca, l’ho solo tenuto da parte perché mi sembra, in questa storia, importante in maniera diversa. Il comunicato stampa degli xeneizes recitava: "La premessa è che il nostro club è della sua gente, di soci e socie che lo rendono, giorno dopo giorno, sempre più grande", ed era firmato da Juan Román Riquelme.
Roberto Parrottino, su Tiempo Argentino, ha seguito sempre molto da vicino il cortocircuito cognitivo che le volontà di Milei hanno generato da subito nella visione del mondo del fulbo argentino. «La volontà di Milei di trasformare i club in SAD», mi ha detto quando abbiamo parlato del tema, «non era tanto la sua volontà, quanto quella di compiacere Macri. Soprattutto al principio della legislatura erano molto, molto vicini. Oggi invece sono nemici giurati. Quella di privatizzare il calcio è sempre stata l’ossessione vorace di Macri». Mauricio Macri è stato ex presidente dell'Argentina ed ex presidente del Boca Juniors, e in un certo senso ha anticipato le politiche liberiste di Milei, anche se in forma molto più sfumata.
Ricordate le scene di Milei che si presenta alla Bombonera per votare nelle elezioni presidenziali del club? Ho anticipato che supportava il rivale di Riquelme, che era Andrés Ibarra, ma non ho chiarito bene un punto, che è un po’ un segreto di Pulcinella: l’appoggio, chiaramente, neppure troppo tra le righe, era non tanto a Ibarra quanto all’eminenza grigia alle sue spalle: Mauricio Macri.
Portare investimenti esteri nel calcio argentino è sempre stato un pallino di Macri. Nel 1999, quando era presidente di uno dei Boca più vittoriosi della storia e alla Casa Rosada sedeva Menem, si era già parlato di SAD: il progetto di legge, però, era allora naufragato di fronte all’ostracismo dei club, delle tifoserie, del sentimento comune. Eppure, durante il periodo della sua Presidenza (del Boca, e poi della Nazione, dal 2015), Macri aveva a più riprese, più o meno nell’ombra, cercato un pertugio attraverso il quale capitali esteri potessero intrufolarsi nel fulbo. Ha trattato segretamente l’affare secondo il quale, nel quadro della sponsorizzazione del club da parte di Qatar Airways, potesse arrivare a vestire la maglia degli xeneizes Almoez Ali, il centravanti del Qatar. Non se ne è fatto nulla, e forse non casualmente a fine 2023 il contratto di sponsorship non è stato rinnovato.
Oggi, a più di un anno e mezzo da quella tornata elettorale (in cui Macri ha aiutato Milei a diventare Presidente della Repubblica, ma Milei non è riuscito ad aiutare Macri a diventare Presidente del Boca), i due si vedono come il fumo agli occhi, anzi meglio: Milei sta di fatto cercando di mandare in pensione Macri dopo averlo surclassato nella rincorsa all’egemonia delle forze di destra del Paese. Nelle ultime elezioni amministrative, nell’area di Buenos Aires, i mileiani de La Libertad Avanza hanno raccolto il 30% dei voti, il doppio rispetto al PRO (sigla di Propuesta Republicana) di Macri. «Hai fatto caso che negli ultimi tempi Karina Milei, la sorella del presidente e allo stesso tempo anche la Segretaria della Presidenza, si fa fotografare spesso con Claudio "Chiqui" Tapia? Quelli sono messaggi per Macri», mi dice Parrottino. Conquistare la fiducia del presidente dell’AFA significa, in qualche modo, abbattere non l’ultima ma la più importante, e potente, sacca di resistenza. Se l’AFA si dichiarasse non dico d’accordo, ma disposta a valutare la trasformazione del sistema, a ponderare l’apertura alle SAD, il presunto fiume di capitali non avrebbe più dighe a bloccarlo: esonderebbe sul Paese, rendendolo fecondo, come il limo per il Nilo.
IL CASO ESTUDIANTES
Il braccio di ferro sulle SAD si dipana, imperterrito, immarcescibile, per interi mesi. E raccoglie insospettabili sostenitori, in un gioco che non sembra solo e soltanto collegato alla matrice politica, anzi. Prendiamo il caso di Daniel Scioli.
Scioli è un personaggio noto per la sua flessibilità politica: tecnicamente parte del Partido Justicialista, semplificando diremmo peronista, Scioli rappresenta tuttavia il cardiopalma del peronista pragmatico, abile a dialogare un po’ con tutti. Ex campione di off-shore (sport che gli ha causato la perdita di un braccio), già Ministro dello Sport sotto Duhalde, poi vice di Néstor Kirchner alla presidenza, ambasciatore nel Brasile di Bolsonaro e oggi Segretario del Turismo, Ambiente e Sport sotto Milei, Scioli ha cambiato idea sulle SAD qualcosa come mille volte. Oggi si dichiara sostanzialmente a favore, almeno a favore della possibilità di scegliere. Sette anni fa fu promotore di un progetto di legge che mirava alla preservazione di quel modello che rappresenta qualcosa di più di un pallone che rotola, cioè quello dei club come associazioni senza scopo di lucro.
Cosa gli ha fatto cambiare idea, allora? Il sospetto che possa funzionare? Semplice trasformismo politico? La paura di non salire in tempo sul carro del vincitore, di essere dalla parte sbagliata della storia? Chissà che un peso non lo abbia avuto il recente fiancheggiamento di broadcasting nazionali e internazionali, come Clarín e Disney, i principali soggetti interessati nella negoziazione dei diritti televisivi, ai quali l’arrivo di capitali freschi, dall’estero, non dispiacerebbe così tanto, in un’epoca di tagli ai sussidi statali di ogni tipo.
Scioli si è fatto fotografare a più riprese con Juliana Santillán, una deputata mileiana di ferro (ricordatevi questo nome), e con Guillermo Tofoni, uno degli imprenditori che ha più a cuore la conversione in SAD. Al loro fianco, di volta in volta, sono state immortalate figure presentate come portatrici di ferrea affidabilità, come i rappresentanti di 777 Partners, la più grande multi-club-ownership privata del mondo (se consideriamo che il City Group è di fatto controllato dagli Emirati Arabi Uniti), che per un periodo è stata proprietaria del Genoa, e che in Sudamerica nel 2022 ha rilevato il 70% del Vasco da Gama, salvo poi rilasciarlo due anni più tardi quando sono cominciate ad emergere accuse per frode fiscale.
Un altro personaggio di cui bisogna parlare è Foster Gillet. Foster Gillet è l’imprenditore statunitense che nel 2007, con il padre, ha rilevato il Liverpool, che ha poi ceduto dopo tre anni di tensioni con i tifosi e difficoltà finanziarie, e che ha cercato di acquistare l’Olympique Lione senza successo. In un’intervista, quando gli hanno chiesto chi preferisse tra Maradona e Messi, ha risposto: «Mascherano», qualsiasi cosa voglia dire.
Tra novembre 2023 e agosto 2024, Gillet è stato avvistato molte volte in Argentina.
Quando si è presentato a La Plata, con l'idea di acquistare il Gimnasia, insieme al Ministro per la Deregolamentazione e la Trasformazione dello Stato Sturzenegger, i tifosi – forse subodorando il pericolo – hanno esposto allo stadio striscioni eloquenti come "Gimnasia es de los socios" (cioè: il Gimnasia è dei soci), oppure "La hinchada de Gimnasia le dice NO a las SAD" (cioè: la tifoseria del Gimnasia dice no alle SAD). A Sturzenegger hanno dedicato cori che dicevano «Traditore», oppure «Scroccone».
Gillett, che è quel tipo di persona che si fa fotografare con un quadro di Milei tra le mani, ha incontrato più volte Santillán, "el Kun" Agüero, Scioli, il miniplotone incaricato di inoculare il germe delle SAD nella pancia del Paese per far esplodere una pandemia.
Un ruolo interpretato molto seriamente in particolare, da Santillán, che la sua operazione di convincimento ha scelto di portarla avanti quasi porta a porta.
Ha contattato il Club Social y Deportivo Bancruz de Río Gallegos, una squadra di quarta divisione, per chiedere loro di «collaborare ai piani del Governo». Ha detto a uno dei dirigenti: «Puoi trasformarti in un eroe: stiamo portando a termine una pratica e abbiamo bisogno di un club coraggioso». Se conosciamo questa storia è perché dopo un anno di negoziazioni, a inizio 2025, audio di quelle conversazioni sarebbero stati pubblicati su Reddit. «È il passo di cui abbiamo bisogno affinché poi si accodino tutti gli altri. È molto importante per Javier Milei, che mi ha affidato la questione: il presidente ne ha bisogno, alla fine tutto porta alla trasformazione di ogni club in SAD».
Mentre Santillán cercava di convincere questo club piccolo, ma con una storia vecchia 139 anni, a trasformarsi nella prima SAD del Paese, il processo, inesorabilmente, si concretizzava altrove. In quegli stessi giorni, infatti, Foster Gillet stipulava un preaccordo con Juan Sebastián Verón per rilevare quote dell’Estudiantes de La Plata, uno dei club storici del calcio argentino, un accordo che prevedeva l’afflusso graduale, nelle casse dei "Pincharratas", di qualcosa come 150 milioni di dollari. Come regalo d’ingresso Foster Gillet pagava per intero il cartellino di Cristian Medina, centrocampista ex Boca: un regalo da quindici milioni di dollari.
Affinché l’accordo potesse concretizzarsi in maniera definitiva, ovviamente, c’era bisogno – secondo l’iter stabilito dal DNU – che venisse indetta una consultazione dei soci, e che i due terzi votassero a favore.
Secondo Guillermo Tofoni – uno che ha versato quasi un milione e mezzo di dollari nei conti di Patricia Bullrich per la sua campagna vicepresidenziale, al quale sono quindi particolarmente care le battaglie di Milei – con quel preaccordo il calcio argentino stava «quasi per attraversare il Mar Rosso». Sarebbe stato un test fondamentale, cruciale: se fosse andato in porto, nessuno avrebbe più frenato la voglia dei tifosi di far amministrare il loro club a capitali europei, statunitensi, a chiunque portasse soldi, campioni, gloria.
«Tofoni è un tipo che paragona un giocatore a una casa», ha scritto Roberto Parrottino, «e che sostiene che se Foster Gillett non ha ancora finalizzato l’accordo è solo perché lo hanno spaventato, perché in Argentina ti tirano le bombe».
Forse non è un caso che sia stato proprio l’Estudiantes, il primo club a provarci. In fondo Javier Milei, da ragazzetto, ha giocato nelle giovanili dei Pincharratas, ma forse a contare di più è stato il fatto che "la Bruja" Verón, sul tema delle SAD, si sia sempre dichiarato un possibilista: per lui una forma mista, in cui i soci sono i proprietari del club e gli investitori si occupano di gestire le operazioni economiche, non solo è possibile, ma addirittura auspicabile. Quella che ha in mente Verón sarebbe una specie di terza via, un modello misto. «Chapeau», ha detto Milei di Verón «sta dimostrando di essere un campione dentro e fuori dal campo».
Viene da chiedersi, però, se Verón conosca chi fosse Roberto Marelli, medico di quell’Estudiantes in cui giocava suo padre, quella squadra maledetta che vinse la Coppa Intercontinentale a Manchester. Marelli, nello spogliatoio, dopo il discorso di Zubeldía, cancellò gli appunti sulla lavagna e scrisse soltanto: «Oggi si affrontano un gruppo di giovani che difendono gli ideali del Sud America con una società anonima inglese». Quella contrapposizione, fissata col gesso, è stata una delle motivazioni principali per la vittoria finale. Magari, però, i tempi sono cambiati. Gli ideali del Sudamerica: pure.
«Tutto i discorsi di Milei, di Bullrich e degli altri», mi dice Parrottino «le storie sul Chelsea che avrebbe comprato club argentini, gli imprenditori che arrivano come i salvatori della patria, tutte le storie su 777 Partners, su Foster Gillett: è tutto un circo dal quale sono scappati i pagliacci, i giocolieri e pure i leoni tristi».
Che Foster Gillett fosse un esempio di credibilità in termini di investimenti – non solo dopo Liverpool, ma anche dopo l’acquisto sfumato del Rampla Juniors dall’altra parte del Rio de la Plata, e poi quello degli Heart of Midlothian in Scozia, e del Lione – era comunque – ed è ancora oggi – tutto da dimostrare. "Non c’è miglior pubblicità contro i benefici delle SAD nel calcio di Foster Gillett", ha scritto Parrottino.
LA RESISTENZA DELL'AFA
L’AFA, per statuto, proibisce l’affiliazione alla federazione di SAD: vale a dire, in altre parole, che club professionistici strutturati come imprese con scopo di lucro, semplicemente, non possono far parte della federazione. Possono esistere, certo, ma non sotto la loro egida, né partecipare alle loro competizioni, né a quelle confederate (le coppe continentali, per capirci).
Se durante la campagna elettorale per l’elezione del Presidente la posizione dell’AFA è stata così netta, così potenzialmente in grado di spostare gli equilibri – il segretario esecutivo, braccio destro di Tapia, Pablo Ariel Toviggino aveva esplicitamente invitato a votare Massa, qualcosa di impensabile alle nostre latitudini, è perché il progetto legato alle SAD costituiva, neppure troppo tra le righe, un guanto di sfida.
Dopo l’elezione di Milei, il progetto è diventato qualcosa più di un progetto. È per questo che nell’ottobre del 2024, con un anno d’anticipo sulla scadenza del mandato, Claudio "Chiqui" Tapia ha convocato – e stravinto – nuove elezioni, prolungando quindi il suo magistero fino al 2028. Surfando sull’onda trionfale dei successi a catena dell’Albiceleste, Tapia si è guadagnato non solo lo scranno più alto del calcio argentino, ma un posto in prima fila, da condottiero, nella crociata contro le SAD.
La federazione, cementificata attorno a lui, cova comunque qualche – poche, ma sostanziali – serpe in seno: i presidenti dei club di Primera a favore della trasformazione, che sono Verón – seppur con i presupposti di cui abbiamo già parlato – e soprattutto Andrés Fassi, presidente del Talleres de Córdoba.
Ex preparatore fisico e direttore tecnico, Fassi ha trascorso buona parte della sua carriera in Messico, dove è poi entrato a far parte della schiera di azionisti del Grupo Pachuca, multiproprietario non solo dei "Tuzos" e del León in LigaMX, ma anche del Real Oviedo in Spagna, dell’Everton di Viña del Mar in Cile e degli uruguayani dell’Aténas. «Le SAD sono opportunità per dare trasparenza, stabilità economica e professionalità ai club argentini», ha dichiarato a più riprese «Non possiamo più permetterci la gestione tradizionale che ci ha portati al dissesto», ha chiosato.
Di quale dissesto parlasse – quello dei club? o quello dell’Argentina intera? – non è mai stato troppo esplicito. O forse il problema è che pur senza essere esplicito è stato invece molto chiaro.
Al momento in cui scrivo, l’Estudiantes non ha ancora indetto la votazione che dovrebbe portare i soci a pronunciarsi sull’ibridazione del club. Nonostante Verón abbia più volte sottolineato che il club continuerà a rimanere un’associazione senza scopo di lucro, e che Foster Gillet semmai si occuperà solo delle operazioni di investimento sportivo, cioè dell’acquisto di calciatori, non è chiaro come andrà a finire. Nel caso in cui tutto dovesse risolversi con un nulla di fatto, Gillett potrebbe reclamare la restituzione dei soldi – o il cartellino – di Medina, oltre all’anticipo già versato al momento del preaccordo, pari a 5 milioni di dollari, che comunque a marzo 2025 era finito nelle casse della società solo per un importo pari alla metà di quanto pattuito.
Cherquis Bialo, direttore de El Gráfico, ha messo in guardia sui pericoli delle SAD, secondo lui i «migliori strumenti per il riciclaggio di denaro». Si è chiesto, provando a prefigurare scenari futuri: cosa succederà se i club verranno acquistati, ristrutturati, indebitati con fondi provenienti da prestiti bancari nazionali per poi essere abbandonati dai nuovi proprietari? È davvero questa, la soluzione per risollevare il fulbo?
In Brasile, nel 2021, il Botafogo è diventato una SAD, acquistato dal magnate americano John Textor, proprietario anche del Lione. Dopo la vittoria della Libertadores, Textor ha spostato il premio di 23 milioni di dollari sulle casse del Lione, così come la vendita di Luiz Henrique allo Zenit – per non parlare del trasferimento gratuito di Thiago Almada – con lo scopo di coprire uno scoperto di 500 milioni di dollari. Non ci è riuscito, il Lione è stato comunque retrocesso, e il Botafogo ne è uscito impoverito in termini calcistici, soprattutto. Chi ha vinto, in questo caso? Apparentemente nessuno.
«Semmai le SAD dovessero diventare realtà, in Argentina», mi ha detto Parrottino «dovrebbero comunque farlo all’argentina. I privati si dovrebbero adattare alla situazione che trovano, non viceversa». Cosa significa? Significa che l’introduzione delle SAD non salverà il calcio, semmai sarà il calcio a salvare gli affari. In un Paese che ha trionfato in tre Mondiali, e in sedici Copa America, come ha scritto Ezequiel Fernández Moores, «è impossibile non avere la tentazione di impadronirsi di questo formaggio succulento».
La domanda centrale, però, in Argentina, è soprattutto un’altra: davvero, assecondando il capitalismo, tutto può diventare mercanzia, inclusa la passione delle persone?
Attualmente il DNU è sospeso cautelarmente: secondo alcuni tribunali viola alcune norme costituzionali – la mancata urgenza, per esempio – e statutarie – come quelle dell’AFA già citate. Sarà la Corte Suprema a doversi pronunciare sulla validità o meno.
Eppure Milei continua a premere sull’acceleratore, galvanizzato anche dai successi elettorali che ha inanellato dal momento della sua elezione ad oggi, e incoraggiato dalle continue disfatte delle squadre argentine (non ultima l’eliminazione dal Mondiale per Club sia di River che di Boca) che, nella sua visione, porterà i tifosi esasperati a convincersi della bontà delle SAD, pur di tornare a essere competitivi.
Ma la pancia del fulbo, i tifosi, i soci dei club, continuano a difendere quello che Milei vede come un fortino di interessi maliziosi, e che per loro, invece, in fondo è semplicemente la cosa loro, come è sempre stata. «Preferisco sapere chi è che gestisce il club, conoscerlo anziché vedere la mia squadra gestita da chissà chi da chissà dove», mi ha detto Brian Pecora, giornalista e socio dell’Huracán. L’Huracán è stato protagonista della finale dell’ultimo campionato argentino (che ha perso), giocata a Santiago del Estero, piuttosto lontana da Buenos Aires. «Se tanti tifosi sono riusciti ad esserci», mi dice Brian «è grazie al club, che è sempre vicino alle necessità della sua gente, dei suoi tifosi, dei suoi soci. È una questione di vicinanza, di empatia con i tifosi: un imprenditore, un investitore estero, si sarebbe speso così?».
«Se le imprese vogliono delle squadre di calcio formino delle squadre di calcio, si facciano i loro campionati tra imprese e a chi piace fare il tifo per un’impresa che diventi un tifoso d’impresa. Che lascino stare i club, che sono e continueranno a essere club», ha detto lo scrittore Martín Kohan. «Che inizino tra i dilettanti», gli ha fatto eco Patricio Erb, «poi diventino professionisti, comprino terreni in barrios dimenticati da dio e dalla gente, senza scroccare dalla storia centenaria dei club argentini».
Una storia che ha peraltro resistito, ed è sopravvissuta, a decenni interi di crisi economiche, sociali, politiche. Una resilienza possibile solo grazie al loro spirito primigenio: i club argentini sono un fenomeno così peculiare, e solido, seppur complesso, da resistere ancora – chissà per quanto – alla mercificazione imperante. Anche, diremmo soprattutto, grazie alla loro complessità.
Ma per Javier Milei, per la sua politica fatta a colpi di motosega, non esiste complessità, non esistono sfumature. "Basta socialismo dei poveri nel calcio!", continua a tuonare su X.
Certo è che se in Argentina c’è ancora qualcosa capace di sopravvivere alla visione manicheistica dei libertari, in cui ogni cosa è ridotta a bianco o nero, un modello di libertà in effetti piuttosto curioso, in cui trovano terreno fertile le mezze verità (che sono spesso il travestimento delle più grandi bugie), quel qualcosa è proprio il fulbo.
Intanto, giusto per avvantaggiarsi, se capita di tirar giù una statua di Osvaldo Bayer beh, la si tira giù. Per il resto, come dire: tempo al tempo.