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Indro Pajaro

Perché il Supporter Liaison Officer è importante

Una figura poco conosciuta ma sempre più rilevante nel calcio contemporaneo.

Nei primi anni Ottanta, Theo Weiss era uno studente di sociologia e scienze politiche poco più che ventenne con una grande passione per il calcio e in particolare per il Borussia Mönchengladbach. Interessato al mondo del tifo inteso come cultura giovanile, durante il periodo universitario trascorso a Berlino Weiss aveva fondato, insieme ad altre sei persone, lo Spreeborusses, uno dei più grandi e antichi fan club della Germania. Era stato anche il co-editore di una fanzine ideata per dare voce ai sostenitori e permettere loro di esprimere i propri desideri e le proprie paure. Era un periodo in cui buona parte del calcio europeo era funestata dall’hooliganismo e dall’avvento dell’estrema destra che associarono l’immagine del tifoso a quella di un individuo violento, ubriacone e neo-nazista.

 

Weiss era invece determinato ad abbattere questo stereotipo e a convincere gli altri tifosi della possibilità di autoregolare le proprie manifestazioni e costruire rapporti amichevoli con la dirigenza. A dargli fiducia, e a rendere possibile questo piano, ci pensò Helmut Grashoff, allora direttore generale del Borussia Mönchengladbach dopo aver inizialmente ricoperto la carica di vicepresidente.

 

Curioso di comprendere il ruolo dei tifosi all’interno delle dinamiche societarie, quindi, all’inizio del 1989 Grashoff telefonò a Weiss e lo incaricò di creare un collegamento duraturo e istituzionale tra i sostenitori e la dirigenza del club. Nasceva il prototipo di quello che nel 1992 sarebbe diventato lo SLO (acronimo di Supporter Liaison Officer), ovvero il delegato del club ai rapporti con la tifoseria – una figura voluta anche dalle istituzioni sportive tedesche, a partire dalla Federazione calcistica tedesca (DFB), il Comitato olimpico tedesco (DOSB) e i rappresentanti regionali e federali dei Ministeri dell’Interno e dello Sport, che stavano cercando un modo per contrastare la piaga dell’hooliganismo. Gli esiti furono talmente soddisfacenti che convinsero la DFB a includere lo SLO tra i requisiti per ottenere la licenza di partecipazione ai campionati professionistici tedeschi.

 

Perché lo SLO è diventato imprescindibile in Europa

La diffusione in ambito europeo arrivò invece più tardi, e il progetto fu discusso e approvato per la prima volta ad Amburgo nel 2009, in occasione dello European Football Fans Congress tenuto dalla Football Supporters Europe (FSE) – fan network europeo nato nel 2008 «indipendente e strutturato in forma rappresentativa e democratica» – che permise di dare una nuova identità ai tifosi: non più consumatori del prodotto calcistico, bensì stakeholder e “investitori culturali” a lungo termine in grado di influenzare e migliorare i processi decisionali della propria squadra.

 

Alla base di questa nuova visione c’era la consapevolezza che trattare i tifosi come parte integrante della società avrebbe migliorato il loro comportamento; al contrario, vederli come dei teppisti, escluderli o reprimerli avrebbe solo generato tensioni e malumori. Dalla stagione 2012-13, quindi, lo SLO è diventato uno dei requisiti per l’ottenimento della Licenza UEFA dopo essere stato implementato con successo da alcune federazioni nazionali, su tutte Germania e Svizzera, a partire dal 2010. In quello stesso anno si tenne a Barcellona il Congresso dei Tifosi di Calcio Europei, organizzato nuovamente dalla FSE. Venne stabilito che, in ossequio all’articolo 35 del Regolamento Uefa Licenze per Club e Fair Play Finanziario, i club avrebbero dovuto nominare uno SLO al fine di assicurare un giusto e costruttivo dialogo tra il club e i propri tifosi. La sua introduzione segnò un nuovo punto di riferimento nelle relazioni tra questi due soggetti e rappresentò l’epilogo di un processo lanciato da numerose associazioni di sostenitori volto a migliorare la governance del calcio portando maggior trasparenza e comunicazione tra le parti coinvolte.

 

D’altra parte, dell’introduzione di una figura simile era emersa la necessità già in precedenza, più precisamente in un sondaggio del 2007 condotto da SD Europe, organizzazione no-profit istituita con il sostegno della UEFA per «rispondere sia all’esigenza di un significativo coinvolgimento dei tifosi nella gestione delle attività calcistiche, sia al bisogno di uno sviluppo sostenibile del gioco nel suo insieme». Oggi la stessa SD Europe tiene dei corsi di formazione specifici, denominati SLO Project, finalizzati ad addestrare queste nuove figure secondo i dettami della UEFA contenuti nel documento Uefa Supporter Liaison Officer Handbook. Nell’introduzione, l’allora presidente Michel Platini spiegò che la diffusione dello SLO era avvenuta sulla scia dei numerosi casi virtuosi di cooperazione tra club e tifosi che avevano al tempo stesso mostrato quanto altro lavoro ci fosse da fare, spingendo la UEFA ad istituzionalizzare una carica specifica per questo scopo.

 

Foto di Claudio Furlan / LaPresse

 

Pur essendo passati quasi una decina d’anni, e nonostante il calcio continui ad evolvere, le mansioni dello SLO sono rimaste pressoché invariate: il suo principale compito è la sensibilizzazione dei tifosi verso i valori sportivi, quali il rispetto dell’avversario, il fair play e l’antirazzismo, esplicate anche attraverso iniziative specifiche della società. Dal 2011, per esempio, lo SLO del Borussia Dortmund, Daniel Lörcher, organizza dei viaggi formativi nei campi di concentramento dove vennero sterminati migliaia di ebrei. Il lavoro dello SLO, dalla cui riuscita dipendono la sua credibilità e autorevolezza, prevede anche la ricezione e successiva trasmissione delle informazioni dalla società ai tifosi e viceversa – come se fosse una sorta di avvocato e ambasciatore che cura gli interessi dell’una e dell’altra parte. Le relazioni non si limitano solo a questi due fronti, ma si snodano anche tramite la partecipazione ad incontri periodici con la polizia, il delegato per la sicurezza in materia di safety e security allo stadio, i rappresentanti della UEFA e i colleghi delle altre squadre nelle giornate precedenti alla partita. Quello che è invece cambiato riguarda l’imprescindibilità dello SLO nel panorama europeo: la DFB obbliga tutti i club della Bundesliga ad averne almeno tre, due in Zweite Bundesliga e uno in 3. Liga, la Serie C tedesca.

 

La situazione italiana

In Italia, invece, l’importanza di questa figura è stata recepita un po’ in ritardo, come confermato dai club di Serie B nel 2015 in un questionario organizzato dalla Federcalcio in cui le squadre della serie cadetta lamentavano la mancanza di risorse e organizzazione. Soltanto un anno prima, a Roma, si era svolto un convegno sull’essenzialità dello SLO («è una figura fondamentale per stringere il rapporto tra le componenti del mondo del calcio e favorire l’abbattimento degli steccati che ci sono stati in passato») organizzato dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive a cui avevano partecipato i giovani delle Università e i rappresentanti delle società sportive di Serie A e B. La FIGC ha concretizzato questa opportunità stabilendo che «lo SLO rappresenta l’unica funzione nel club a cui è affidata la conoscenza dei tifosi e le comunicazioni “bidirezionali” con essi», mentre nel 2016 la Serie A ha realizzato il portale Fanplace per consentire ai tifosi di «ottenere tutte le informazioni di cui hanno bisogno per seguire la squadra del cuore e conoscerne le iniziative dedicate ai sostenitori».

 

È fondamentale che ogni SLO sia in primo luogo un sostenitore della squadra per cui lavora e sia rispettato dall’intera tifoseria, compresa quella organizzata degli ultras. Nei loro confronti la sua funzione assume i tratti del comunicatore incaricato di prevenire eventuali problemi connessi all’ordine pubblico mediante un’attenta attività di educazione, dialogo, informazione e contatto costante volta a responsabilizzarli e far loro prendere coscienza delle proprie azioni. Si tratta di un aspetto cardine e cruciale nelle interazioni, perché laddove si verificano episodi di violenza il margine di intervento dello SLO si azzera e la gestione passa tutta nelle mani di steward o polizia – con risoluzioni non necessariamente bonarie.

 

Ma non sono solo gli ultras il target cui si rivolge uno SLO. Alla lista appartengono anche i fan project, le associazioni di tifosi indipendenti, i Supporters Trust, il pubblico virtuale di internet e dei social network, i disabili, le famiglie e i bambini, le minoranza etniche e le organizzazioni di sostenitori nazionali ed internazionali tra le quali, oltre alle già citate FSE e SD, figurano Football Against Racism in Europe (FARE), la European Gay & Lesbian Sports Federation (EGLSF) e il Centre for Access to Football in Europe (CAFE). Ad ognuno di loro lo SLO si rivolge utilizzando un approccio specifico e dedicato volto ad arricchire la stadium and matchday experience: fornisce informazioni generali, accoglie le loro istanze, propone iniziative e favorisce la partecipazione alla vita del club.

 

I benefici e i vantaggi correlati a queste attività sono molteplici e trasversali: una diretta linea di comunicazione tra club, lega e tifosi non si rivela soltanto più efficace – conferendo una maggior conoscenza reciproca dei rispettivi punti di vista e incrementando di conseguenza i processi di problem solving e decision-making –, ma serve anche a diminuire le incomprensioni e gli attriti con il management e ad accrescere il livello di identificazione dei tifosi con la propria squadra. Questo si ripercuote sull’atmosfera durante le partite e, più in generale, su tutto quello che riguarda il concetto di “profittabilità”. Saper intercettare i bisogni dei propri sostenitori – venendo loro incontro per quanto riguarda il prezzo dei biglietti o fornendo supporto alla realizzazione delle coreografie – consente in secondo luogo di accrescere sia i ricavi da stadio, sia quelli derivanti dal merchandising ufficiale.

 

Foto di Fabio Sasso/LaPresse

 

Il perseguimento di questi obiettivi comporta per il management di ogni club una grande attenzione nella scelta e successiva nomina dello SLO. Se il requisito primario risiede nella sua capacità di essere ben accettato dagli altri tifosi, unito all’esigenza di una profonda conoscenza di ognuno dei target di riferimento, può essere utile anche aver svolto un ruolo nel sociale in passato o addirittura aver condotto studi in ambito sociologico. Generalmente i club assumono uno o più SLO a tempo pieno, seppur esistano situazioni in cui le realtà minori sono costrette ad accontentarsi di una figura part time o addirittura su base volontaria. Non è neppure esclusa l’ipotesi che uno SLO, in assenza di un’adeguata risorsa presente nella fan base, possa venire pescato dal board dirigenziale. Qualunque sia lo scenario, sono richieste particolari skill tanto umane – come la capacità di lavorare in team e un alto grado di dedizione, flessibilità e affidabilità – quanto professionali: tra queste ci sono l’esperienza nella gestione di gruppi di persone, aver conseguito una qualifica professionale o un diploma di laurea, la conoscenza dei new media e la neutralità politica.

 

Durante la settimana lo SLO si occupa di tutto quello che concerne l’interazione con i tifosi, la società e le forze dell’ordine in termini di lancio di campagne contro la discriminazione, aggiornamenti sulla sicurezza dello stadio e sullo stanziamento dei biglietti per le partite fuori casa. In occasione degli incontri di campionato o coppa, invece, fornisce indicazioni utili circa i preparativi del viaggio e i luoghi di ritrovo nella città ospitante, assiste alla gara nel settore ospiti, segue le fasi di afflusso e deflusso e fa da mediatore o mediatrice in caso di eventuali dissidi tra sostenitori e steward.

 

L’esempio tedesco

L’insieme di queste attività costituisce ormai la routine per Thomas Weinmann, da ventisei anni uno dei cinque SLO che lavorano nel Borussia Mönchengladbach. Insieme hanno pensato e realizzato il progetto Fans inside the stadium, che ha dato la possibilità a circa 15mila tifosi di acquistare al costo di 19 euro un cartonato con il proprio volto da sistemare sulle tribune del Borussia-Park per ovviare alle partite giocate a porte chiuse a causa delle restrizioni da coronavirus. «È nato tutto per scherzo – scrive Weinmann, raggiunto via mail da Ultimo Uomo – e simboleggia in chiave ironica che i sostenitori dovrebbero stare dentro gli stadi e non fuori».

 

Una simile iniziativa, emulata anche da altre squadre in Inghilterra e Spagna, ha avuto il merito di sottolineare nuovamente la considerazione che le società stanno cercando di avere nei confronti dei propri tifosi attraverso l’istituzione di questa figura. Se la Bundesliga, considerati i maggiori campionati europei, rappresenta probabilmente l’emblema della centralità assunta dai sostenitori, bisogna pur notare come questo percorso non sia stato uniforme per tutte le partecipanti al campionato. Il Borussia Dortmund, per esempio, fu l’ultimo club ad implementare lo SLO nel 2008 per via della reticenza del management a responsabilizzare una delle più grosse fanbase del calcio tedesco – probabilmente per timori legati a presunte infiltrazioni di gruppi neonazisti. Lo Schalke 04, invece, ha introdotto una sorta di sportello d’ascolto dove le persone accusate di aver commesso un reato possono fornire la propria versione dei fatti. Spetta poi al club decidere se imporre o meno un divieto di accesso all’impianto.

 

In ogni caso, a distanza di un trentennio dall’implementazione dello SLO, la Germania è ancora il Paese trainante per quanto concerne l’impiego e l’influenza rivestita da questa figura. In un calcio sempre più tecnologico e attento alle dinamiche di campo, anche l’attenzione destinata ai rapporti con la tifoseria costituisce una valida discriminante tra una buona e una cattiva gestione societaria. Per quanto può sembrare scontato per delle squadre di calcio, sapersi interfacciare con il tifo utilizzando un canale diretto e bidirezionale rappresenta il valore aggiunto per rendere più appagante l’esperienza allo stadio e dare seguito ad un cambiamento culturale votato alla democraticità. Di questo rapporto, oggi, non si può più fare a meno.

 

 

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Indro Pajaro ha 24 anni ed è un giornalista praticante. Collabora con Undici e ha scritto per Vice Italia. È autore di due libri sul calcio inglese.