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Alessandro Ruta
Il Paese degli allenatori
29 feb 2024
29 feb 2024
Gli allenatori provenienti dai Paesi Baschi stanno vivendo un momento d'oro.
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Alessandro Ruta
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IMAGO / Shutterstock
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E così il calcio europeo ha scoperto gli allenatori baschi - una scuola tattica antica che però quest'anno sta vivendo un momento di grazia, soprattutto grazie all'Arsenal di Arteta (terzo in Premier League ad appena due punti dalla vetta) e al Bayer Leverkusen di Xabi Alonso (sorprendente prima in una Bundesliga abituata al dominio del Bayern). Non solo loro però. Si potrebbe citare anche l'Aston Villa di Unai Emery (vera rivelazione della Premier) e la Real Sociedad rivelazione in Champions di Imanol Alguacil. Tutte squadre a guida basca, anzi, sarebbe meglio dire a guida gipuzkoana, come viene chiamata la provincia di San Sebastiàn da cui vengono tutti questi allenatori, che per inciso è la più piccola per estensione di tutta la Spagna. Coi suoi duemila chilometri quadrati è grande più o meno come la provincia di Ancona.

I tecnici provenienti da Euskal Herria, come detto, non sono una novità, e affondano le proprie radici in una lunga tradizione sportiva a 360 gradi, in una terra dove si respira calcio e in generale si pratica attività fisica con una dedizione quasi religiosa.

In passato i gipuzkoani, che gli altri baschi chiamano scherzosamente giputxis, hanno avuto grandi portieri, come Iribar, Urruti, Zubizarreta o Arconada: il motivo forse da rintracciarsi nella natura piovosa del territorio, che perfeziona la tecnica e limita le papere nel limite del possibile. Chiedete ai vecchi tifosi come “pinzava” il pallone “Txopo” Iribar, campione d'Europa con la Spagna nel 1964 e omaggiato di recente con una statua fuori dallo stadio San Mamès a Bilbao: ecco, il motivo era perché da piccolo passava ore e ore sulla spiaggia di Zarautz, che come tutte le spiagge basche può essere stupenda nei giorni di sole e fastidiosissima quando piove, cioè spesso.

Consentiteci quindi di portarvi in giro per questa minuscola provincia, sconfinando di poco nella provincia di Bilbao solo per un paio di casi, e respirate quest'aria che sta contagiando tutta Europa: l'aria della Gipuzkoa. Per la precisione sono otto gli allenatori che ho preso in considerazione, numero non casuale perché per i baschi avere otto cognomi euskaldun, quindi avere almeno fino ai bisnonni baschi, significa essere davvero autoctono e non contaminato.

Sembrano essere norme rigide, quasi razziste, ma in realtà la società di Euskadi è autoironica, come testimonia uno dei film di maggior successo nella storia del cinema spagnolo chiamato, appunto, “Ocho apellidos vascos” (letteralmente: "Otto cognomi baschi"), dove un ragazzo di Siviglia tifoso del Betis per conquistare una basca conosciuta durante una festa si finge addirittura militante separatista con esiti esilaranti. E gli otto cognomi che tira fuori davanti al futuro suocero non sono i suoi, ma quelli di ex calciatori e allenatori baschi.

Da questo elenco manca invece un altro grande basco, il CT della Francia Didier Deschamps (che è di Bayonne, la parte francese, con tanto di stadio a lui intitolato), e uno che è basco d'adozione ma nato in Extremadura, il tecnico dell'Athletic Bilbao Ernesto Valverde.

Unai Emery (Hondarribia)

Mai dimenticare le proprie radici: è il primo comandamento degli Emery, una famiglia legatissima al calcio ma soprattutto a quella porzione di territorio che tecnicamente da Spagna diventa Francia, ma che per i baschi rimane Euskal Herria. Il triangolo Hondarribia-Irùn-Hendaye sarebbe a cavallo tra due stati, secondo la geografia attuale, ma per il cuore euskaldun è solo un modo per indicare il Paese Basco sud (Hegoalde, con Hondarribia e Irun) e nord (Iparralde, con Hendaye).

Non dimenticare le proprie origini significa per Unai Emery acquisire il Real Uniòn di Irùn, uno dei club più antichi di Spagna, addirittura tra i fondatori nel 1928 di quell'associazione che noi chiamiamo oggi Liga, e ultimamente caduto molto in disgrazia. Attualmente in terza serie, perlomeno adesso si può fregiare di questo prestigioso presidente, che tra le altre cose ha permesso di aprire un canale di collaborazione strategico per quanto riguarda i metodi di allenamento e la raccolta dati. Che il Real Uniòn sia destinato a diventare una società satellite dei "villans" grazie a Unai Emery? Forse diventerà quello che è il Girona per il Manchester City.

Emery, assieme a suo fratello Igor, non si è mai allontanato dai suoi posti dell'anima. A Hondarribia c'è sempre una strana calma, in un centro storico che sembra sospeso nel tempo: una piazzetta colorata con i balconi in tipico stile basco, una passeggiata che dal basso ti porta in alto e che dalla cima di un forte ti fa vedere, nei giorni soleggiati, fin dentro alla parte basco-francese.

Del resto Hendaye è distante qualche bracciata a nuoto attraverso la Baia di Txingudi, un punto riconoscibilissimo dall'alto, quando si vola sopra la zona: il confine formale tra Francia e Spagna esattamente nel mezzo, sull'acqua. Però il bello di Iparralde è che lì il calcio praticamente non esiste, si entra già in un territorio dove la religione oltre alla pelota è il rugby, con Bayonne e Biarritz coi loro club dalla grande tradizione, anche europea.

Unai Emery insieme a Nassef Sawiris, proprietario dell'Aston Villa, e suo fratello Igor, presidente Real Unión.

Gli Emery nel calcio ci sono da quasi un secolo, da quando il nonno di Unai e di Igor, Antonio, era stato un eccellente portiere naturalmente con il Real Uniòn, vincendo due volte la Coppa del Re nel 1924 e nel 1927, quando era questo il vero campionato di Spagna prima della nascita della Liga.

Un calcio che per Unai è sempre stato una sorta di monomania, di ossessione ma positiva, fin da quando da riserva delle riserve alla Real Sociedad a un certo punto di sua spontanea volontà aveva cominciato a mettere assieme delle schede sui futuri avversari della squadra di San Sebastián, da mettere a disposizione dell'allenatore. Tradizione mantenuta fino in epoca recente quando si dice che, da allenatore del Villarreal, avesse visto una ventina di partite del Manchester United prima della finale di Europa League nel 2021, poi vinta.

Mikel Arteta (San Sebastián, quartiere Antiguoko)

È difficile inquadrare il vero centro di San Sebastián, città che si sviluppa su un lungomare (anzi, lungo-oceano) e non ha di fatto un entroterra. Esiste la parte vecchia, certo, l'Alde Zaharra dove vanno i turisti e dove oggi quasi tutte le case sono state comprate da Airbnb o simili provocando la rabbia dei residenti che si sentono travolti e soffocati dai villeggianti. È la zona che va all'incirca dalla baia della Concha fino al Kursaal, dove ogni settembre si svolge il sempre attesissimo Zinemaldia, il Festival del Cinema. È il fascino di una cittadina forse fighetta, di stile più francese che basco, e che di “spagnolo” ha veramente pochissimo. San Sebastián piace al turista medio perché si vive bene ed è a misura d'uomo, come si dice.

Mikel Arteta, per la precisione, viene dal quartiere Antiguoko, uno di quelli dalla personalità più spiccata. Ci si entra dopo aver percorso praticamente tutta la passeggiata del lungo-oceano fino alla spiaggia di Ondarreta, una delle tre grandi playas di San Sebastián dopo la già citata Concha e la Zurriola, quest'ultima paradiso dei surfisti. Lo si specifica sempre, al momento della presentazione: “Sono dell'Antiguoko”. E in effetti con i suoi mercati, i bar eleganti rimasti bene o male fuori dal normale circuito turistico, il verde diffuso e il livello economico medio-alto della borghesia che ci abita, non c'entra granché con il formicaio dell'Alde Zaharra.

Mikel Arteta ha trascorso gran parte del suo tempo in Inghilterra, da calciatore tra Everton e Arsenal e ai "Gunners", di nuovo, come attuale tecnico dopo essere stato il braccio destro di Pep Guardiola al Manchester City. Eppure è nato nell'Antiguoko ed è stato un giocatore dell'Antiguoko, un club che è una sorta di leggenda non solo nei Paesi Baschi: suo grande amico nelle giovanili infatti era stato proprio Xabi Alonso, poi rivale nei derby Everton-Liverpool. Dalla cantera di questo club sono venuti fuori altri talenti come Aduriz e Iraola (altro allenatore di moda del momento).

Xabi Alonso (in basso a sinistra) e Mikel Arteta (in basso a destra) nelle giovanili dell'Antiguoko.

La Real Sociedad in questi casi andava sul sicuro: i migliori dell'Antiguoko se li portava ancora “calcisticamente in fasce” tra le proprie fila e da lì, se avessero confermato il loro talento, avrebbero preso il volo. Con Arteta andò in modo diverso, perché il Barcellona fu più rapido e nel 1997, quando aveva 15 anni, lo mise sotto contratto con l'idea di farne “il nuovo Guardiola”. Non sarebbe andata proprio così, ma ai fini di questa storia conta poco.

Imanol Alguacil (Orio)

Imanol Alguacil è un ultrá della Real Sociedad. Dopo aver vinto la Coppa del Re nel 2021, quella del derby basco in finale contro l'Athletic Bilbao, è andato ai microfoni in conferenza stampa e ha intonato: “Erreala alé, irabazi arte, beti egongo gara zurekin!”, “Forza Real, fino alla vittoria, saremo sempre con te!”, con addosso una maglia del club e sventolando una sciarpa della squadra del suo cuore, sgolandosi con la sua “r” un po' moscia alla francese.

L'allenatore della Real è di Orio, incantevole borgo marinaro appena a ovest di San Sebastián. Qui le religioni sono due: l'Erreala, come si chiama in basco la Real,e soprattutto la squadra, maschile e femminile, di traineras, canottaggio in mare aperto. Una disciplina che d'estate su tutta la costa basca, ma fino alla Cantabria e alla Galizia, paralizza città e abitanti, con una classifica generale da conquistare e alcune gare da non mancare, se si vuole entrare nella leggenda. Per esempio la “Bandera de la Concha”, che sta alle traineras come Assen alla MotoGp: regata in mare aperto appena fuori dalla baia della Concha, appunto, nel centro di San Sebastián, le prime due domeniche di settembre. La prima serve per stabilire i finalisti, la seconda per la gara decisiva: in quei giorni in città non entra nemmeno uno spillo. Ecco, Orio col suo giallonero è uno dei club più titolati (assieme al team di Urdaibai della cittadina di Bermeo, questa però in provincia di Bilbao) e ci tiene sempre a rimarcarlo. Per qualcuno è “il Real Madrid” delle traineras, perché va a prendersi i migliori vogatori su piazza.

Imanol naturalmente è un ultrà anche nel canottaggio, lo si vede festeggiare quando l'Orio vince qualche regata, anche se è con la Real che sta raggiungendo traguardi clamorosi. Teoricamente non avrebbe dovuto essere lì, ma a fare da coordinatore delle giovanili. Chiamato nel 2018 a fare due volte il “tinkerman”, il traghettatore, al posto di Eusebio Sacristán e di Asier Garitano, alla fine la società si era detta che forse il miglior allenatore possibile per la Real Sociedad sarebbe stato proprio lui, che per sette anni era stato il tecnico o il vice del Sanse, la squadra-B che militava in terza divisione.

Nessuno meglio di lui per un club deciso a puntare in maniera quasi scientifica sul vivaio. Perché questa è la grande forza della Real, crescere ogni anno con acquisti mirati e soprattutto pescando dalle giovanili. Da Oyarzabal a Zubeldia, da Le Normand a Barrenetxea. Praticamente anche tutte le riserve vengono dal Sanse, e non c'è un giocatore che Imanol non conosca da quando era un bambino o poco più.

Andoni Iraola (Andoain)

Folgorato sulla via di Rosario (poi vedremo perché), Andoni Iraola, che con il suo Bournemouth sta cercando di ritagliarsi un po' di spazio in una Premier che non lascia respirare nessuno. Un basco, un altro giputxi naturalmente, che forse tra qualche anno troveremo su una panchina di prestigio, con tutto il rispetto per i "cherries". Del resto Iraola è un classe 1982 (come Arteta), ma ha già macinato diversi chilometri come allenatore: AEK Larnaca a Cipro, Mirandés e Rayo Vallecano, queste ultime portate entrambe a incredibili qualificazioni alle semifinali di Coppa del Re (il Mirandés addirittura quando era in seconda divisione, nel 2020).

A luglio, un po' a sorpresa, il Bournemouth lo ha scelto come nuovo tecnico e dopo un inizio difficile gli ha dato fiducia, col risultato di trovarsi adesso saldamente fuori dalla zona-retrocessione, con tanto di storica vittoria 3-0 a Old Trafford contro il Manchester United lo scorso 9 dicembre. L'obiettivo del club del Dorset era cambiare uno stile di gioco considerato troppo passivo e in un piccolo club inglese non era semplice.

Folgorato sulla via di Rosario, dicevamo, cioè nello specifico da Marcelo Bielsa, l'allenatore che lo trasformò nel 2011 da terzino destro tutto sommato normale a un'arma tattica micidiale: quella fascia, in coppia con Markel Susaeta, più offensivo, era una minaccia costante per gli avversari in un'annata conclusasi per l'Athletic con la doppia finale persa in Europa League e in Coppa del Re.

Quarto per presenze in assoluto con la maglia dei bilbaini al momento del ritiro (510, adesso è sceso al sesto posto superato da De Marcos e Muniain), Iraola è stato un esempio di come col duro lavoro si possa arrivare a traguardi impensabili. Pochissimi avrebbero scommesso su una carriera leggendaria, come effettivamente è stata la sua con l'Athletic, quando era un'aletta senza arte né parte e in seguito un terzino. Ora anche al Bournemouth si stanno accorgendo che forse hanno fatto centro con il nativo di Andoain, paesone alle porte di San Sebastian, una specie di città-dormitorio.

Le squadre di Iraola, a cominciare dal Rayo Vallecano hanno sempre attuato un robusto pressing, transizioni veloci e in fase offensiva la tendenza a cercare il più in fretta possibile le ali, che poi stringono verso il centro per lasciare la fascia ai terzini. Un gioco adrenalinico e offensivo che non a caso ricorda proprio quello di Marcelo Bielsa.

Xabi Alonso (Tolosa)

Prima o poi il Bayer Leverkusen avrà un crollo, o semplicemente perderà una partita, e su Xabi Alonso inizieranno a volteggiare le streghe. Si dirà che è stato tutto uno scherzo, una carnevalata come quelle che si fanno nella sua cittá, Tolosa, da non confondere con la Toulouse francese. Imperdibile comunque, la settimana in cui nell'elegante borgo gipuzkoano ci sono le “Inauteriak”, il Carnevale appunto: roba da far invidia se non all'Italia quantomeno alle chirigotas di Cadice.

Sta di fatto che Xabi Alonso, figlio d'arte, era destinato fin da calciatore ad essere un grande allenatore. In ogni squadra dove ha giocato, persino a scartamento ridotto, il fulcro era lui: fin da quando, ventunenne, era il leader assoluto del centrocampo della Real Sociedad che a momenti vince la Liga nel 2003, liquefacendosi alla penultima giornata a Vigo e lasciando via libera al “solito” Real Madrid. La squadra, cioè, che tutti indicano come futura, prima o poi, panchina per Xabi Alonso, il giocatore basco più vincente della storia, se contiamo non solo i club (Liverpool, Real Madrid, Bayern Monaco), ma anche la Nazionale di cui era un assoluto protagonista del quadriennio d'oro del Mondiale vinto e i due Europei conquistati.

A Tolosa esiste uno dei templi della pelota, il vero sport nazionale basco. È il frontòn chiamato Beotibar, dove in passato si sono disputate diverse finali dei tornei individuali o di coppia, prima che le grandi città prendessero il sopravvento con le loro strutture più grandi, per accogliere un numero maggiore di spettatori. Se passate a Tolosa nei giorni delle feste patronali, dal 18 al 26 giugno per celebrare San Juan, però, accidenti se lo sentite ancora ruggire, il Beotibar, come se avesse una vita propria.

Prima di Leverkusen Xabi aveva allenato al massimo la Real Sociedad giovanile, il Sanse, portandolo a una storica promozione in Segunda Divisiòn nel 2021 con nomi che adesso riempiono soprattutto la panchina della squadra di San Sebastián: del resto sono ancora tutti molto giovani, da Turrientes a Pacheco. Con uno sforzo di immaginazione anche il Bayer può essere visto come una specie di "Sanse", ma con ragazzi più esperti a livello internazionale, provenienti dalle più disparate zone del globo. Fin qua gli sta riuscendo un autentico capolavoro, ma del resto anche in campo Xabi Alonso faceva sembrare tutto semplice.

Jagoba Arrasate (Berriatua)

Nessuno si ferma a Berriatua di solito perché nessuno sa davvero dov'è. Ci deve essere proprio una ragione specifica per concedersi una sosta in questo minuscolo borgo incastonato tra cittá molto più famose e importanti come Markina, all'interno, oppure Ondarroa, sulla costa. Quest'ultima, la città di Kepa Arrizabalaga e Inigo Martinez, attualmente portiere del Real Madrid e difensore centrale del Barcellona. Siamo usciti, di pochissimi chilometri, dalla Gipuzkoa, per entrare nella provincia di Bilbao, in Bizkaia. Qua si parla un basco davvero particolare, con un accento inconfondibile per chi è abituato comunque a sentire nel quotidiano questa lingua: è un sotto-idioma, quello della zona di Berriatua-Ondarroa-Mutriku, fatto di neologismi e di una velocità d'espressione persino divertente. Insomma, quando si sentono le conferenze-stampa di Jagoba Arrasate, tecnico dell'Osasuna, chi mastica il basco capisce a occhi chiusi da dove viene il diretto interessato.

C'è molto di questo territorio, del fango delle categorie inferiori e quasi di un compiacimento della sofferenza, nella carriera di Arrasate (da calciatore un decennio mai sopra la Serie C, sempre in squadra basche), ex vice di Philippe Montagnier alla Real Sociedad già dieci anni fa e in seguito promosso alla guida del club di San Sebastián quando ancora ci giocava Griezmann.

Da sei stagioni invece Jagoba ha attaccato il cappello con l'Osasuna ed è stato amore a prima vista. Un crescendo persino sorprendente quello dei "Gorritxos", culminato lo scorso maggio con la finale in Coppa del Re persa 2-1 con il Real Madrid e la conseguente storica qualificazione al turno preliminare di Conference League, terminato subito con la doppia sconfitta contro il Bruges.

L'Osasuna di Arrasate è una squadra tanto chiara nel suo stile come camaleontica, con giocatori in grado di ricoprire anche 3-4 posizioni diverse in campo, e dove anche qua come alla Real Sociedad è il vivaio a farla da padrone. Poi lo schieramento può essere un 4-3-3, un 4-1-4-1 o un 4-2-3-1, ma spesso i giocatori sono gli stessi, polifunzionali e soprattutto attaccatissimi alla maglia. Sono nomi che non diranno molto ai più, ma la spina dorsale dei navarri è composta da ragazzi usciti dallo spartano ma efficiente centro sportivo di Tajonar, alle porte di Pamplona, dove per chi vuole c'è anche la possibilità di studiare il basco a spese del club: David Garcia, Unai Garcia, Jon Moncayola (che nel 2021 firmò un rinnovo di contratto di 12 anni), Kike Barja e la giovanissima perla dell'Osasuna, Aimar Oroz, sono tutti cresciuti qua.

Qualcuno è proprio pamplonese purosangue, viscerale come sanno essere i navarri, che dagli altri, baschi ma non solo, vengono soprannominati naburros, dallo spagnolo burro, cioè “asino”, perché sono considerati un po' grezzi, ecco. Il più grande navarro di sempre, Miguel Indurain, potrebbe comunque non essere d'accordo. Arrasate però è anche un tipo raffinato, che nel tempo libero compone e canta bertsoak, una sorta di improvvisazioni in rima, ovviamente in basco. Così è la vita, per uno che sembrava destinato a una carriera da maestro elementare nella sua Berriatua.

José Luis Mendilibar (Zaldibar)

Ripescato dall'Olympiakos in Grecia, dopo una carriera che possiamo definire quantomeno bizzarra (Basconia di Basauri, Aurrerá di Vitoria, Lanzarote, Valladolid, Osasuna, Levante, Alavés e Siviglia), classico nome da "minors", da traghettatore per squadre in difficoltà e puntualmente esonerato all'inizio della stagione dopo la riconferma, è difficile ricordare oggi Mendilibar trionfare lo scorso maggio in Europa League con il Siviglia, battendo la Roma ai rigori. Per fare un paragone con un nostro tecnico di un'altra era, sarebbe come se Nedo Sonetti avesse vinto la Coppa UEFA. «Mi state facendo così tanti complimenti che mi viene il dubbio di essere un coglione», le prime parole di Mendilibar, a fotografare un carattere forgiato su campi di periferia.

Mendilibar, detto "Mendi", da calciatore era stato un buon centrocampista soprattutto con il Sestao River, squadra di questa città-dormitorio alle porte di Bilbao giunta fino alla Segunda Divisiòn. Con lui in attacco un imberbe e minuto attaccante basco di adozione ma nato in Extremadura: Ernesto Valverde, attuale allenatore proprio dell'Athletic Bilbao e grande amico di Mendilibar. "Mendi" pure si è seduto sulla panchina dell'Athletic, nell'estate 2005: periodo disgraziato quello per i biancorossi, eliminati al secondo turno di Intertoto ai rigori dai romeni del Cluj e disastrosi in avvio di campionato. Il giorno di Halloween dopo una sola vittoria in 10 giornate ecco la cacciata e la sostituzione con Javier Clemente, chiamato per la terza volta al capezzale dei "Leones".

Mendilibar con la maglia del Sestao.

Il capolavoro di Mendilibar sono stati i sei anni con l'Eibar, dal 2015 al 2021. Cinque salvezze di fila e un'amara retrocessione per la squadra con meno soldi a disposizione di tutta la Liga (11 milioni di budget), il minuscolo stadio di Ipurua reso fortino e un 4-4-2 ferreo come i nomi di alcuni dei pretoriani del tecnico: Joan Jordán, Pedro Leòn, il portiere-rigorista Marko Dimitrovic o quei giocatori presi giovanissimi e valorizzati come Bryan Gil, ripescato anche al Siviglia, Marc Cucurella o il giapponese Takashi Inui, atterrato come un marziano e diventato un fattore determinante. Il tutto martellando di cross le aree avversarie in cerca del centravantone abile nel gioco aereo, da Kike Garcia a Borja Bastòn, altri nomi di culto.

Calciatore-simbolo della mentalità di "Mendi": Anaitz Arbilla, stopperone vecchio stampo dotato di una misteriosa ma efficacissima stecca da fuori, anche su punizione. «Per me è titolare sempre, anche in sedia a rotelle», ha detto una volta. Per la cronaca, Anaitz è ancora lì.

Eibar è già in Gipuzkoa, primo comune che si trova in provincia di San Sebastián proveniendo da Bilbao. Al di lá del confine, invece, quindi in Bizkaia ma davvero di un'incollatura, c'è Zaldibar, minuscolo borgo di nascita di Mendilibar tutto costruito sul costone di una montagna e che praticamente non ha parti in piano. Lo si poteva tranquillamente vedere in giro a comprare il pane quando era senza squadra. Personalmente l'ho incrociato una mattina infrasettimanale nel reparto-carni di un centro commerciale a soppesare vari tagli, quando ancora era all'Eibar.

Julen Lopetegui (Asteasu)

Ad Asteasu tutti si conoscono, incluso i Lopetegui. Sono mille anime e poco più di paesino immerso in una zona rurale ricca di saliscendi, a pochi chilometri dal nord della Navarra, la regione con Pamplona come capoluogo. Julen Lopetegui, al momento, non ha una squadra ma a Wolverhampton forse lo rimpiangono. Idem a Siviglia, dove ha vinto nel 2021 l'Europa League battendo l'Inter. Prima ancora il suo assurdo flop al Real Madrid.

Non è che ci torni spesso, Julen Lopetegui, ad Asteasu, cittadina che potrebbe essere un riassunto fedele di tutta la regione basca: rurale, l'euskera come lingua predominante e la sua collocazione “in mezzo al nulla ma vicino a tutto” visto che è a 30 chilometri da San Sebastián o a 10 da Tolosa (di nuovo), che è il centro nevralgico di quella zona dell'interno.

Il papà di Lopetegui ad Asteasu ci è rimasto più tempo. Anzi, durante l'era franchista era diventato addirittura sindaco del Paese. Certo, più del calcio gli piaceva una disciplina tipica dei Paesi Baschi, il sollevamento-pietre: era infatti José Antonio “Agirre II”, un harrijasotzaile, uno di quelli che partecipava a tornei con altri colleghi oppure andava di città in città per esibizioni tirando su con le nude mani pietre rotonde o cilindriche di oltre 100 chili. Le gare possono essere di velocità, cioè chi solleva più pietre in tot minuti, o di pura forza, sul peso di questi massi che visti da vicino mettono paura.

C'è tutta una tradizione dietro questo sport che in televisione fa ancora la sua figura e dal vivo raduna sempre un mucchio di appassionati che si esaltano quasi più dei diretti interessati. Negli ultimi anni è stato inaugurato anche il circuito femminile, cresciuto in maniera esponenziale con addirittura con dei “talent” appositi trasmessi sulla tv pubblica basca EITB (quella dove commento il Giro d'Italia).

Conosco personalmente uno di questi campioni di sollevamento pietre, si chiama Urdax Magunazelaia, ed è un ragazzone di un metro e 85 per 120-130 chili, dipende se è in forma o no. Precocissimo, è uno di quelli chiamato e spesato dalle varie “Pro Loco” dei paesini tipo Asteasu per esibirsi in piazza o al coperto, da solo o contro altri. Una volta mi sono lasciato per gioco sollevare da lui e devo essergli sembrato davvero un fuscello coi miei 75 chili.

Lopetegui padre è stato una specie di Maradona di questa disciplina quasi esclusivamente basca, uno dei migliori di ogni epoca. Ad Asteasu, e non solo, il suo nome è forse anche più pesante (scusate) di quello di Julen, che pure ai Paesi Baschi qualcosa l'ha dato.

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