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Ottavi italiani
11 mar 2015
Ben 5 squadre italiane, quasi un terzo di quelle in gara, si giocano gli ottavi di finale di Europa League: con quali prospettive?
(articolo)
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Napoli – Dinamo Mosca

di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

Riparto da dove mi ero fermato nella precedente guida: il peggior nemico del Napoli è il Napoli stesso e la partita di domenica sera contro l’Inter lo ha confermato ancora una volta.

Gli azzurri giocano per settanta minuti tenendo alta l’intensità e rispettando attentamente le consegne. Finiscono poi per sprecare quanto di buono fatto mollando la presa sulla partita e arretrando la linea difensiva, fino a portarla ben dentro la propria area di rigore e concedendo metà campo agli uomini di Mancini. Quello del Napoli non è tanto un problema atletico, anche perché Benítez applica un regime di turnover che definire scientifico è persino riduttivo: da anni l’allenatore castigliano utilizza un software (pare progettato su specifiche dettate dallo stesso Benítez) per catalogare tutte le informazioni che provengono dai match e dagli allenamenti, minutaggio concesso in primis.

Il problema del Napoli è soprattutto la tenuta mentale e questo è un aspetto sul quale Benítez ha insistito dall’inizio del suo mandato. Lo ha fatto e lo fa con una buona ragione. A questo proposito trovo necessaria una digressione che, per amore e necessità di semplificazione, può risultare non puntuale ma è il concetto generale che conta.

La storia del calcio può essere suddivisa in quattro periodi: fino agli anni Settanta la tecnica era il fattore predominante (pensate ai grandi dribblatori come Garrincha, Best e Matthews); nei venti anni che vanno dalla rivoluzione Oranje di Michels e Cruijff al Milan di Sacchi la tattica l’ha fatta da padrona; negli ultimi venticinque anni, i progressi nella preparazione atletica hanno inciso in maniera determinante anche nel football. Benítez conosce il calcio e sa che quello mentale è il fattore predominante del calcio degli anni Dieci del nuovo secolo. A parità delle condizioni tecniche, tattiche e atletiche, un calciatore che è in grado di fare la scelta corretta sotto pressione è il calciatore migliore. Calciatori intelligenti non è più un ossimoro, ormai anche certe università la pensano così.

Il folto gruppo dei detrattori contesta però a Benítez una certa rigidità tattica: una vera e propria ossessione verso il modulo 4-2-3-1, a prescindere dall’avversario affrontato e dal risultato maturato in corso di partita. Io credo che il tecnico voglia una squadra concentrata in entrambe le fasi di gioco e che sappia leggere il momentum della partita. Che sia quindi abbastanza intelligente da gestire il match ed adattarsi agli avversari, al di là di uomini e moduli. Sono convinto che Benítez sia disposto anche a sacrificare punti—e coi punti, la vittoria finale—pur di far compiere il definitivo salto di qualità ai suoi calciatori.

Alla luce di quanto appena detto, diventa più chiaro perché Benítez nella sua carriera sia stato un conquistatore di coppe più che di campionati; un maestro nella gestione delle motivazioni nella partita secca, piuttosto che nella maratona lunga una stagione.

I sedicesimi di finale sono stato superati agilmente, complice un avversario morbido come il Trabzonspor, ma soprattutto un atteggiamento mentale ("again and again") aggressivo e determinato fin dai primi minuti della partita d’andata.

Kevin Kurányi, uno dei primi emigrati verso la Terra Promessa russa.

L’avversario stavolta è la Dinamo Mosca, allenata da una vecchia conoscenza partenopea. Stanislav Cherchesov era infatti l’estremo difensore di quello Spartak che eliminò il Napoli dalla Coppa dei Campioni 1990-91. Quella partita rappresentò per molti l’inizio della fine dell’epopea maradoniana. Per citare Eduardo De Filippo: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male». Anche Cherchesov schiera la sua squadra col 4-2-3-1 e, così come il Napoli, anche la Dinamo ha nella batteria dei trequartisti gli uomini più tecnici della rosa.

Due si contendono il posto dietro la punta: uno è Mathieu Valbuena, ex Olympique Marsiglia, già 4 gol e 8 assist nella prima stagione a Mosca; l’altro è Aleksandr Kokorin, classe 1991, distintosi al Mondiale come uno dei migliori della spedizione russa (con un livello generale piuttosto basso però). Sugli esterni agisce Aleksey Ionov, ala ambidestra che trova il gol con continuità (già 3 in questa coppa). In avanti Kevin Kurányi, che nel 2010, all’apice della carriera, abbandonò lo Schalke 04 per un assegno in rubli.

Alla qualità in avanti fa da contraltare una certa fragilità difensiva. I terzini spingono molto, ma sia Kozlov che Büttner (meteora al Manchester United e ultimo abbaglio di mercato di Sir Alex) sono piuttosto leggeri in marcatura. I centrali, Samba e Douglas, sono due colossi che soffrono quando vengono presi in velocità.

Un’ultima annotazione circa la condizione fisica delle squadre, che sono in due periodi della stagione completamente diversi: il Napoli è nella fase calante di un mini-ciclo molto positivo (a febbraio 6 vittorie e 1 sconfitta, a marzo 2 pareggi e 1 sconfitta); la Dinamo potrebbe invece avere le gambe pesanti per via della preparazione alla seconda parte del campionato: domenica ha vinto in casa, ma in Russia non si giocava da dicembre per la lunghissima sosta invernale.

Wolfsburg – Inter

di Federico Aquè (@FedAque)

Prima di perdere contro l’Augsburg, il Wolfsburg era la squadra del momento in Bundesliga e una delle più in forma in Europa. Imbattuto dalla ripresa del campionato, capace di battere 4-1 il Bayern Monaco, ai quarti in Coppa di Germania e agli ottavi di Europa League dopo aver eliminato lo Sporting Lisbona, una delle squadre “retrocesse” dalla Champions League.

Poi è arrivata la trasferta in Baviera, giusto prima di affrontare l’Inter, che ha interrotto la striscia positiva e frenato l’entusiasmo attorno alla squadra. Una buona notizia per i nerazzurri, che si troveranno di fronte un Wolfsburg un po’ meno in fiducia, da affrontare dopo il 2-2 in rimonta col Napoli, che se è vero che non migliora la classifica, almeno risolleva il morale dopo la sconfitta contro la Fiorentina.

A dispetto di qualche traduzione un po’ forzata, è difficile credere che Dieter Hecking, l’allenatore della squadra di proprietà della Volkswagen, sottovaluterà l’Inter, specie dopo l’inattesa sconfitta con l’Augsburg, che ha definitivamente cancellato qualsiasi speranza di riprendere il Bayern, lontano 11 punti a 10 giornate dalla fine della Bundesliga. L’Europa League è ancora di più l’obiettivo sul quale concentrare le proprie forze, con l’opportunità molto concreta di poter arrivare fino in fondo.

Il primo punto chiave della sfida sarà la capacità dell’Inter di gestire ed eventualmente aggirare il pressing del Wolfsburg, un problema non da poco, se si pensa che nemmeno Pep Guardiola è riuscito a risolverlo. Pur non raggiungendo i picchi del “Gegenpressing” del Borussia Dortmund di Jürgen Klopp e del Bayer Leverkusen di Roger Schmidt, l’aggressività nel recupero palla è uno dei tratti caratteristici dei “Lupi” di Dieter Hecking. Il Wolfsburg difende alto e in maniera aggressiva, il pressing è molto ben organizzato, tanto da far cadere nella trappola pure il Bayern Monaco, con Boateng e Dante costretti spesso al lancio lungo a inizio azione, ovvero a fare l’esatto contrario rispetto a quanto è scritto nel Vangelo secondo Guardiola.

La seconda chiave è la pericolosità del Wolfsburg in ripartenza. Una volta recuperata la palla i biancoverdi contrattaccano velocemente e diventano difficili da limitare. Dovesse ripetersi lo scenario del San Paolo anche alla Volkswagen-Arena, con i grandi spazi concessi al Napoli in contropiede, l’Inter brucerebbe in partenza le sue chance di qualificazione, facendo la fine del Bayern nel suo viaggio in Sassonia.

La pericolosità del Wolfsburg è nella sua media gol (2,2): solo Barcellona, Real Madrid e Bayern Monaco fanno meglio dei “Lupi” nei principali campionati europei (quelli di Inghilterra, Germania, Spagna, Italia e Francia). Il contributo principale è dell’olandese Bas Dost, 13 gol nelle ultime 10 partite, ottimo finalizzatore, ma ancora più importante nel fare da sponda per i tre trequartisti. Uno degli schemi tipici della squadra di Hecking prevede appunto il movimento a venire incontro di Dost, che fa da riferimento e libera spazi alle sue spalle per i tre trequartisti, ovvero i giocatori in cui è concentrata la qualità della squadra.

Saranno i movimenti dei tre che giocheranno dietro Dost la principale minaccia per l’Inter, che dovrà ovviamente avere un occhio di riguardo per Kevin De Bruyne, la stella del Wolfsburg. Il belga sta giocando su livelli altissimi e dopo qualche mese di ambientamento è stato capace di imporsi come uomo squadra. Adesso è praticamente imprescindibile: gli 11 gol e i 18 assist messi a tabellino tra campionato ed Europa League sono lì a ricordarlo.

L’Inter dovrà sfruttare uno dei punti deboli della squadra di Hecking, che difende malissimo sui cross, pur potendo contare su tre giocatori dal metro e novanta in su come Naldo, Klose e Knoche, che si alternano al centro della difesa. Oltretutto Hecking ha trasformato in terzino destro Vieirinha, una carriera da esterno offensivo, chiaramente in difficoltà se deve marcare un avversario in area di rigore. Dovesse giocare lui e non Jung, così come è capitato nelle ultime partite di Bundesliga, Mancini non avrebbe difficoltà a individuare l’uomo da puntare.

In questo senso il 4-2-3-1 col quale ha rimontato al San Paolo potrebbe essere la soluzione migliore per attaccare ai fianchi i tedeschi, pur in assenza di esterni di ruolo in rosa. Sarà molto delicato il compito in fase offensiva dei terzini, che verosimilmente avranno molto spazio da attaccare. Il Wolfsburg difende stretto e con distanze corte tra i reparti, scoprendosi ed essendo quindi vulnerabile sul lato debole. Vista l'assenza per infortunio di Campagnaro, Mancini con ogni probabilità si affiderà ancora a D’Ambrosio e Santon, la soluzione migliore per trovare una via d'uscita dalla pressione avversaria (la tranquillità palla al piede di Santon torna molto utile in questo caso) e per attaccare la difesa tedesca, ma che potrebbe concedere qualcosa in fase difensiva, specie se i due terzini non alzeranno il livello di concentrazione rispetto a quanto visto al San Paolo contro il Napoli.

Tutto sta nel tipo di gara che vorrà impostare l’allenatore nerazzurro: in questo momento probabilmente l’Inter non ha le risorse per pareggiare l’intensità dei ragazzi di Hecking, quindi potrebbe essere una scelta saggia quella di difendersi in maniera ordinata, controllare gli spazi per poi ripartire. Nessuno dei centrali difensivi del Wolfsburg è a suo agio a difendere con molto spazio alle spalle e il “mismatch” contro giocatori più veloci come Shaqiri o Palacio potrebbe essere determinante.

Zenit San Pietroburgo – Torino

di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

Domenica pomeriggio André Villas-Boas, taccuino alla mano, era in tribuna allo Stadio Friuli. Lo spettacolo offerto dal Torino però non è stato di grande livello. Sebbene con l’attenuante di alcuni titolari in panchina, i granata sono sembrati mentalmente scarichi. Dopo l’impresa al San Mamés, trovarsi a giocare in uno stadio con una sola tribuna agibile e il cantiere tutto attorno non deve essere stato troppo stimolante.

Lontano parente della squadra di Bilbao, il Toro è apparso lento di gambe e di testa: poco reattivo e molto prevedibile nei movimenti. Esattamente la squadra che Villas-Boas vorrebbe vedere anche a San Pietroburgo. Quando gli hanno chiesto se si sente più tranquillo dopo la partita vista ad Udine il tecnico dello Zenit ha risposto in modo intelligente: «Il Toro comunque veniva da un buonissimo momento, con 12 risultati (utili), 15 in Europa. E poi, al di là del risultato, ha una sua personalità, un suo gioco ben caratteristico che lo contraddistingue. Tatticamente è molto interessante a livello offensivo, una squadra da studiare per bene per come si propone in campo. È intelligente, anche in difesa stanno compatti, stanno insieme ed è difficile trovare gli spazi. Sarà davvero interessante affrontarli». Chiaramente il tecnico portoghese è tornato in Russia sapendo di non poter preparare una partita pensando di affrontare il Torino di Udine, ma il Torino di Bilbao.

Ventura, da parte sua, non era a San Pietroburgo sabato pomeriggio per assistere alla vittoria dello Zenit sull’Ural per 3-0, con la tripletta della punta venezuelana Rondón. Recuperando i video della partita però il tecnico del Torino ha sicuramente capito la temibilità dei russi. Nelle tre partite ufficiali giocate nel 2015 (andata e ritorno col PSV ed esordio in RPL) lo Zenit ha sempre vinto, ha segnato 7 gol e non ne ha subito nessuno. La squadra della Gazprom è costruita per giocare in Champions League e può contare su diversi anni di apprendistato europeo, anche se non è mai riuscita a replicare i successi del 2008, anno in cui vinse la Coppa UEFA. Di quella squadra sono rimasti solo sei superstiti, tutti nella fase discendente della carriera (ad eccezione del jolly Fayzulin, che a 28 anni si troverebbe nel proprio picco, ma comunque è infortunato; e del centrale belga Lombaerts, che si giocherà il posto da titolare con Neto e Garay). Il capitano che alzò la coppa, Tymoshchuk, e l’ex stella, Arshavin (che salterà anche lui il Torino), sono ormai delle riserve; allo stesso modo del portiere Malafeev e dell’esterno basso Anyukov, tutti nomi storici che ormai devono lasciare il posto a giocatori in una fase diversa della carriera.

Lo Zenit di Villas-Boas, primo in classifica in RPL, non è al livello del Porto con cui il tecnico dominò l’Europa League nel 2011, ma rimane una squadra candidata alla vittoria finale, anche perché zeppo di giocatori di grande livello. La base di partenza è un 4-2-3-1 o un 4-3-3 estremamente fluido e bello da vedere quando ingrana. Il tecnico portoghese chiede movimento senza palla da parte di tutti i componenti della rosa e un gioco fatto di passaggi corti che non preclude transizioni veloci. La fase di non possesso non somiglia affatto a quella del Porto 2011 e non coinvolge tutto l’undici, ma è comunque organizzata e letale nel caso in cui la palla venisse recuperata alta. In fase di possesso, la dinamicità degli interpreti offensivi rende lo Zenit difficile da leggere. Danny (colpevolmente sottovalutato fuori dalla Russia), molto tecnico, è in grado di creare pericoli in qualsiasi momento, vista la facilità con cui salta l’uomo e cerca l’assist o la conclusione. A lui si affiancano il versatile Shatov, la punta potente Rondón, in grande forma in questo 2015 e ovviamente Hulk (anche se la sua presenza dal 1' è in dubbio). La tendenza di quest’ultimo alla conclusione è croce e delizia dello Zenit: il brasiliano non ci pensa mai più di un secondo a scaricare in porta il sinistro da qualsiasi angolazione, spesso però lo fa in modo velleitario. Il ritorno con il PSV ha mostrato un Hulk più propenso a giocare con la squadra, ma resta un giocatore poco affidabile.

Ecco spiegato perché Hulk tira da ogni posizione.

La base di partenza del gioco dello Zenit è un centrocampo formato da Javi Garcia e da Witsel. Lo spagnolo cerca di dare equilibrio alla squadra proteggendo la difesa e aiutando la circolazione della palla senza prendersi troppi rischi. Diverso è il compito di Witsel, bravo in tutte le fasi gioco, elegante e tecnico palla al piede, intelligente nella gestione del possesso, è un giocatore fondamentale per la squadra. È forse proprio Witsel a personificare la natura dello Zenit: la capacità di dominare gli avversari, ma col rischio, in ogni momento, di piacersi troppo e perdere di concretezza. Cosa di cui hanno approfittato Monaco e Bayer Leverkusen nel girone di Champions, e debolezza di cui deve approfittare Ventura. Lo Zenit si piace, manovra bene e porta tutta la squadra a partecipare al gioco: i due esterni bassi Criscito e Smolnikov restano molto alti sia per cercare il fondo che per partecipare alla fase di circolazione della palla. In caso di perdita del pallone, però, la squadra è molto esposta ai contropiedi veloci, con Garay che potrebbe soffrire il molto campo da coprire dietro di sé.

Quella del Torino deve essere una partita di sacrificio e massima concentrazione, in cui sarà fondamentale il meccanismo di recupero del pallone e la velocità nella transizione. Lo Zenit non è nuovo ad uscite shock dall’Europa e non è costruito per reagire quando le cose non vanno come dovrebbero. Il compito del Toro dovrà essere proprio quello di costringere i russi di fronte a situazioni di gioco che non sono in grado di fronteggiare.

Fiorentina – Roma

di Emiliano Battazzi (@e_batta)

Se è vero che per vincere una partita è importante studiare l’avversario, Montella e Garcia si trovano in una strana condizione: con le due partite di Europa League, Fiorentina e Roma si saranno affrontate ben 4 volte in 53 giorni. Le due squadre quindi si conoscono a fondo, e la domanda allora sarebbe: come potrebbe questo derby europeo presentare degli elementi di imprevedibilità?

Per capirlo bisogna risalire all’origine della saga tra giallorossi e viola, che sembra lontana diverse ere geologiche: invece era il 30 agosto 2014, Stadio Olimpico, la prima giornata di campionato. In quell’occasione, la Roma sembrava proiettata verso una stagione di grande livello, grazie ad un gioco di posizione molto fluido, nel quale la palla circolava rapidamente, le due ali erano in continuo movimento e si cercava anche un pressing alto sul primo possesso avversario (con scarsi risultati, ma c’era almeno un tentativo). La Fiorentina, invece, sembrava addirittura bloccata nel suo processo di evoluzione: arrendevole e senza troppe idee, aveva deciso di cedere per intero il controllo del pallone all’avversario, ma senza alcuna strategia di riconquista e ripartenza. La Roma sembrava in grande evoluzione, la Fiorentina in una triste stagnazione.

Più di cinque mesi dopo, la situazione si è totalmente ribaltata, e fa impressione: i giallorossi non trovano più soluzioni di gioco, il possesso palla è diventato inutile, i singoli sono costretti a giocate rischiose in tutte le zone del campo, il pressing alto è una bugia da conferenza stampa. La crisi di gioco si riflette, seppur in assenza di sconfitte, sui risultati: nelle ultime 10 partite di campionato, la Roma ha raccolto ben 8 pareggi, una collezione di mediocrità che ai tifosi romanisti ha ricordato quella molto simile della stagione 1993-94, con Mazzone in panchina. Nel mezzo, la Roma è riuscita ad eliminare il Feyenoord, grazie a una sofferta vittoria a Rotterdam (in ogni caso di prestigio, visto che nessuna squadra italiana ci aveva mai vinto), ed è stata eliminata dai quarti di Coppa Italia con una netta sconfitta interna per 2-0 proprio contro la Fiorentina di Montella.

I viola, nel frattempo, hanno accelerato e stanno cambiando il volto di una stagione che sembrava quasi segnata: ad eccezione della sconfitta della Befana contro il Parma, e dell’ultima schiacciante sconfitta contro la Lazio, il 2015 per ora è all’insegna del risveglio, con vittorie anche di grande livello come quella allo Juventus Stadium o quella contro il Tottenham. La mezza rivoluzione del mercato di gennaio ha contribuito in modo decisivo a ritrovare l’identità di gioco, oltre che a crearne di nuove: con l’innesto di Salah e Diamanti (non inserito nella lista dell’Europa League), Montella può ricorrere spesso ad un 4-3-3 molto dinamico. Il giocatore egiziano, in particolare, garantisce maggior ampiezza alla squadra, salta spesso l’uomo, e si accentra per andare al tiro con il piede sinistro. Oltre a giocare tra le linee, sa attaccare bene la profondità, come si è visto contro la Juventus in Coppa Italia, ed è già stato schierato da punta centrale in due spezzoni contro Tottenham e Inter. La Fiorentina ha venduto il suo pezzo più pregiato, Cuadrado, e non ha accusato il benché minimo calo, e anzi sembra averne tratto giovamento. Il colombiano non sembrava avere più le motivazioni giuste e tendeva spesso a forzare le soluzioni offensive.

Nell’ultima partita giocata dalle due squadre, quella del 3 febbraio a Roma, quarti di finale della Coppa Italia, la Fiorentina ha vinto grazie a una doppietta di Mario Gómez. Garcia nel primo tempo aveva iniziato con il 4-3-3 ma era poi passato al rombo, con Ljajic a schermare Pizarro e a cercarsi lo spazio tra le linee, ottenendo il controllo della partita con alcuni pericoli per la porta viola. Il 3-5-2 della Fiorentina riusciva nell’intento di togliere profondità alla Roma, ma senza che Gómez e Diamanti riuscissero a creare occasioni. Poi nel secondo tempo i viola avevano alzato il ritmo, pressando alto sul primo possesso della Roma: uno strumento tattico sempre efficace contro i giallorossi, in grande difficoltà nella fase di inizio azione. I due interni di centrocampo della Roma erano sempre schermati, Maicon non riusciva più ad occuparsi della fase difensiva, e Montella si era portato a casa la partita cercando con oculatezza l’ampiezza di gioco proprio sulla fascia del brasiliano: doppietta di Gómez, agevolato dai movimenti scoordinati dei due centrali difensivi della Roma.

Nella partita di andata (e forse anche in quella di ritorno) di Europa League però il tedesco non ci sarà, mentre Babacar, appena guarito da un problema muscolare, ma con due soli allenamenti sulle gambe, sarà a mezzo servizio, o anche meno. Ci sarà però Salah, che in Coppa Italia non c’era, e forse giocherà da falso nove: il nuovo acquisto Gilardino non è inserito nella lista europea. Contro la Lazio, Montella ha provato con Ilicic punta centrale, ma il piano è naufragato miseramente. L’egiziano, invece, è un giocatore che, con la sua velocità, sa attaccare bene la profondità, e pur essendo un’ala, ha segnato 6 gol nelle 8 partite giocate in maglia viola. Forse la Fiorentina ripiegherà di nuovo sul 3-5-2, con Ilicic e Salah ad allargare la difesa romanista e favorire gli inserimenti dei centrocampisti: Montella ha i giocatori contati in avanti, e nessun centravanti di ruolo disponibile.

Tutti i gol di Salah con la Fiorentina.

L’incredibile ribaltamento dei ruoli non è solo tra le due squadre ma anche tra gli allenatori: in questo momento Garcia è in transizione negativa, e Montella invece destinato finalmente ad affermare tutte le sue qualità che sembravano sempre un po’ soffocate. La Fiorentina del 2015 ha una duttilità tattica così efficace da renderla quasi imprevedibile, con uno stile di gioco che andrebbe bene in qualunque grande campionato europeo. La Roma, invece, è ormai avvolta in una nuvola di impotenza, e da mesi il suo allenatore non riesce a trovare soluzioni a una serie di difetti conclamati: l’impressione è che i giocatori, oltre a perdere fiducia in loro stessi, l’abbiano persa anche nelle capacità del loro allenatore. La lentezza della manovra, l’improvvisazione delle scelte nella trequarti avversaria, la scarsa efficacia ed organizzazione sui calci piazzati, sono tutti elementi di una crisi di gioco di dimensioni significative e che ormai hanno coinvolto ogni giocatore, nessuno escluso.

Il derby italiano di Europa League potrebbe essere davvero imprevedibile, proprio perché le squadre conoscono molto bene l’avversario, ma non i propri limiti, positivi e negativi. La Roma, in questo momento, parte probabilmente sfavorita perché non conosce più sé stessa, ha perso la sua identità e non sembra riuscire a ritrovarla. L’impressione è che riuscirà a vincere la sfida chi meglio saprà utilizzare le proprie qualità, ed è per questo che negli spogliatoi dell’Olimpico lo slogan giusto non è più «siamo la Roma», ma quello del Tempio di Apollo a Delfi: «Conosci te stesso».

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