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Emiliano Battazzi
Fondamentali: Roma - Fiorentina
02 set 2014
02 set 2014
Fondamentali è la nostra nuova rubrica di analisi tattica, e la inauguriamo oggi con due puntate: nella prima, analizziamo lo scontro tra la Roma di Rudi Garcia e la Fiorentina di Vincenzo Montella.
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Emiliano Battazzi
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Le sfide tra Roma e Fiorentina, negli ultimi anni, sono state tra le più belle del campionato italiano per qualità di gioco. Neppure in questa occasione ci si può lamentare, ma per i primi 45 minuti è stato un monologo giallorosso. Anche se, a fine partita, nessuno ha rimproverato Montella per averci privato di metà spettacolo proprio nella partita di esordio della stagione 2014-2015.
Si parla spesso del numero eccessivo di giocatori stranieri nel nostro campionato (sui 28 totali scesi in campo, solo 6 erano italiani, 1 nella Fiorentina), ma c’è un altro aspetto che nessuno si ricorda di citare: in Serie A ci sono pochi allenatori stranieri. Se escludiamo Zeman e Mihajlović, in Italia da una vita, possiamo contare solo su

per riflettere su idee diverse nello sviluppo del gioco. In Premier League ci sono ben 8 allenatori non britannici (quasi tutti nelle squadre di vertice); nella Liga, uno in più che da noi. Persino in Bundesliga ne hanno due in più. Ci culliamo da decenni nell’idea che i nostri allenatori siano i migliori al mondo, e forse è (era) vero: ma ormai tutti i migliori, da Ancelotti a Lippi, da Capello a Spalletti (esonerato, ma ancora vincolato da un ricchissimo contratto con lo Zenit) sono all’estero. Non ce ne rendiamo conto, ma abbiamo bisogno di idee nuove e mentalità diverse, di modi differenti di pensare al calcio, possibilmente svincolati dall’eterna trappola del risultato a tutti i costi. Perché è più facile raggiungere un risultato se hai un’idea di come farlo, piuttosto che adattarti sempre a quella dei tuoi avversari, per fregarli.

 


La Fiorentina ha un’identità di gioco che prevede il controllo della palla e del territorio, e che prevede di sfidare l’avversario proprio su quel terreno: a costo di regalare profondità a Gervinho, come l’anno scorso, ma di rimanere sempre dentro la partita. La Fiorentina ha un’identità cosi peculiare da sembrare a volte una squadra da Liga spagnola, ed anche per questo i giocatori provenienti da quel campionato si trovano così a loro agio nella squadra viola. Il merito di questa identità va a Vincenzo Montella, il miglior allenatore italiano delle nuova generazione, dietro al ct della Nazionale Antonio Conte. Montella ha saputo costruire nel tempo una squadra diversa da tutte le altre, ottenendo buoni risultati (il quarto posto per due anni consecutivi) attraverso la ricerca costante del gioco.
Dopo le “splendide” sconfitte dello scorso anno, l’allenatore dei viola deve aver pensato che con i complimenti ci si fa poco. Per questo ha provato un approccio tattico di contenimento: togliere la profondità alla Roma, aspettarla nella propria metà campo, spingerla ad uscire il più possibile, e creare così spazi per le proprie transizioni offensive, in particolare con Babacar. Il primo tempo della Fiorentina è un tentativo molto italiano di arrivare al risultato: cambiare se stessi in base all’avversario.

 




 

I viola non sono mai riusciti a rompere il ritmo della Roma, né a provare transizioni offensive rapide, nonostante la linea difensiva giallorossa fosse notevolmente alta. Schierata con un 4-3-1-2, chiusa all’interno della propria metà campo, e soprattutto priva del pallone (al 35’ la Roma aveva raggiunto addirittura il 70% del possesso palla), con Gomez totalmente fuori dal gioco (e d’altronde, come avrebbe potuto essere più presente, lui che è un attaccante d’area) e un centrocampo completamente in balìa degli avversari, la Fiorentina non riusciva ad entrare in partita.

L’australiano Brillante verrà crocifisso per l’errore sul gol di Nainggolan (prestazione mostruosa con un mix di fase difensiva e offensiva perfetto: 4 tackle, 2 anticipi, ben 5 passaggi chiave, 1 assist da gol, 88% di precisione nei passaggi), ma i suoi compagni non sono stati da meno. Borja Valero ha giocato probabilmente la peggior partita da quando è in Italia, spaesato nel ruolo di trequartista (il suo ruolo originario nel Real Madrid Castilla) e lontano dal gioco (solo 39 passaggi, 3 in più di Astori).

Questo “Italian Job” non ha funzionato, ed è triste che sia accaduto al terzo anno della gestione Montella. Significa che ci sono dubbi sull’identità della squadra: significa che la Fiorentina non è più sicura di come vuole raggiungere il risultato. Il secondo tempo dimostra invece che non bisogna arretrare di un millimetro.

Nel loro ambiente naturale, la metà campo avversaria, i viola sembravano fenicotteri rosa che si posizionavano in uno stagno e hanno ricominciato a giocare un calcio fatto di controllo del pallone ed occupazione intelligente degli spazi: così sono ridiventati protagonisti della partita (La Fiorentina ha eseguito 64 dei 97 passaggi tentati nella trequarti della Roma nel secondo tempo, cioè due terzi). Vincenzo, rimani te stesso, immagino che sia questa la lezione dell’Olimpico.

 




 

I dubbi sui giocatori invece rimangono: ci si chiede se gli interni di centrocampo siano adatti. Vargas, un terzino sinistro, poi ala, non è più carne né pesce; Brillante è la dimostrazione che il nostro campionato, per fortuna, non è ancora al livello della A-League australiana.

Un capitolo a parte merita Mario Gomez. Il centravanti tedesco è un grande predatore d’area di rigore, capace di trasformare in gol qualunque cosa capiti nei 16 metri; può indirizzare il gioco con la sua forza fisica, e regalare molti duelli aerei vinti, oltre a consentire una soluzione di gioco come i cross. Gomez, però, non partecipa molto al gioco di squadra, non l’ha mai fatto: la sua media di passaggi nelle passate stagioni oscilla tra i 10 e i 15 a partita, persino inferiore al suo connazionale Klose, il re dell’area di rigore e non proprio un centravanti di manovra.

Inoltre, alla Fiorentina mancano forse delle ali: il compito di Ilicic in campo continua ad essere nebuloso. Quando è entrato Joaquin la squadra ha finalmente dato ampiezza al suo gioco, costringendo la Roma tutta dietro la linea del pallone. Ecco perché la permanenza di Cuadrado vale come un acquisto.

 
http://www.youtube.com/watch?v=4QXudHiHbuY



 


Con Garcia, già dall’anno scorso la Roma si era incamminata verso una idea di gioco che ormai sembra diffondersi in Europa (da Brendan Rodgers a Pochettino, ad esempio) e non solo in Spagna. Al di là della brutale banalizzazione del tiki-taka, nel

ci sono alcuni cardini fondamentali che devono essere rispettati affinché la squadra funzioni come un’orchestra. Nel primo tempo giocato dalla Roma contro la Fiorentina, qualcosa si è visto: la formazione continua di triangoli di passaggio, sia in mezzo al campo che sulle fasce; la necessità che l’azione sia impostata in modo “pulito” dalla linea difensiva, con la salida lavolpiana di De Rossi ormai recitata a memoria. Nella passata stagione, il controllo del pallone sembrava solo una paziente ricerca di spazi, in attesa di scardinare la provinciale di turno; l’idea principale era quella di azionare negli spazi i veloci esterni d’attacco.

 

La Roma dell’esordio sembra aver raggiunto quella combinazione di controllo del pallone e di ricerca della verticalità che era forse l’obiettivo iniziale della “rivoluzione” americana, quando venne chiamato Luis Enrique direttamente dalla casa madre (il Barcellona, ovviamente) per impiantare in Italia questo tipo di gioco. Il possesso palla della Roma è sembrato molto più efficiente rispetto allo scorso anno: ben 6 giocatori su 11 hanno raggiunto percentuali di precisione nel passaggio superiori al 90% (e non si considera Seydou Keita, il preferito di Guardiola: entrato lui, la partita si è improvvisamente calmata, quasi congelata, e la Roma è uscita dallo sbandamento).

Nel corso della partita la Roma ha evidenziato anche lacune: in particolare il pressing sul primo portatore avversario a volte è parso disorganizzato. E’ uno strumento fondamentale per questa filosofia di gioco, e questa imprecisione genera alcune domande, soprattutto in prospettiva europea. Cosa farà la Roma in Champions League, affronterà gli avversari pressando alto o piuttosto si abbasserà molto, cercando di chiudere tutti gli spazi e poi provare a bucare la linea difensiva avversaria con transizioni veloci affidate a Gervinho ed Iturbe?

 




 

Il pressing un po’ anarchico visto contro la Fiorentina potrebbe esporre a grandissimi rischi; ma la Roma ha bisogno del pallone, e potrebbe soffrire troppo se chiusa nella propria metà campo. Inoltre, anche in fase offensiva si è vista una certa confusione, legata ai movimenti di Totti (che da falso nove in realtà non ci ha giocato quasi mai), spesso posizionato sulla destra (tanto che la seconda linea di passaggi più eseguiti nella partita è proprio quella da Torosidis a Totti), fascia che la Roma ha utilizzato quasi sempre per attaccare (ben il 51% delle azioni, uno squilibrio significativo tra le due fasce).

 

La strana idea della Roma, diciamo da festa a sorpresa, e cioè che si debba arrivare in area di rigore (inizialmente vuota) tutti insieme come uno sciame di api, oppure all’improvviso con accelerazioni verticali, comporta anche una difficoltà nel chiudere le partite. In alcune azioni offensive la Roma non aveva neppure un giocatore in area di rigore, sembrava senza attaccanti. Questo rimarrà un “problema” strutturale della Roma anche quest’anno: Totti è libero di posizionarsi in campo e lo fa quasi sempre fuori dall’area; Destro potrebbe essere la soluzione, è il nuovo centravanti d’area italiano, uno che farà sempre gol ma senza partecipare troppo al gioco della squadra, come invece serve alla Roma per azionare i triangoli con le ali d’attacco. Gervinho e Iturbe hanno bisogno costante di triangolazioni strette per rompere linee difensive molto chiuse, ed è quello che hanno provato a fare nel primo tempo.

 


La prima partita di un campionato non può dare grandi indicazioni per nessuna delle due squadre, ma può almeno evidenziare la necessità di rivedere alcune convinzioni e aprire domande sulle prospettive per l’intera stagione. La Fiorentina ha dimostrato che c’è un solo percorso da seguire: seppur con modifiche ed adattamenti legati al singolo avversario, la squadra viola non può prescindere dal tentativo di imporsi sul campo, cercando di dominare la partita nella metà campo avversaria, com’è accaduto in buona parte del secondo tempo. Al terzo anno della gestione Montella, c’è bisogno di un salto di qualità, se si vogliono raggiungere obiettivi ancora più alti: vedremo se il ritorno in contemporanea di Gomez, Rossi e Cuadrado sarà sufficiente a garantire una stagione di successo (aspettando anche Marco Marin).

 

La Roma ha evidenziato la sua volontà di seguire un percorso di gioco europeo, e di migliorare rispetto alla scorsa stagione: in parte sembra riuscirci (la gestione del pallone, la capacità di saper cambiare registro), in parte ha dimostrato qualche difficoltà, soprattutto nel pressing, sia offensivo che nella propria metà campo, quando la Fiorentina aveva preso il controllo del gioco. La Roma ha già fatto molta strada, adesso bisogna capire quanta ne resta da percorrere per soddisfare le ambizioni di società e tifosi.

 

 



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