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Marco De Santis
Non perdere l'equilibrio
04 ago 2015
04 ago 2015
Il complicato lavoro delle squadre medio-piccole per mantenere la Serie A senza rovinare i conti.
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Marco De Santis
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Per farlo l'approccio sarà simile a quello delle scorse “puntate”, ma allo stesso tempo adattato alla situazione, ben diversa da quelle affrontate finora. Il primo obiettivo per tutte queste squadre è riuscire a rimanere in Serie A, possibilmente senza creare danni permanenti ai conti societari. Andremo quindi a vedere non tanto quello che questi team possono fare per competere per le prime posizioni, ma cosa stanno facendo per “mantenersi in vita” e garantirsi un futuro nella massima serie.

 

Prenderemo in considerazione anche delle squadre rimaste fuori dalle scorse analisi, ma che per ricavi (reali o frutto di una continuativa politica di plusvalenze) hanno poco da invidiare alle due genovesi, inserite negli articoli precedenti più per i risultati sul campo della scorsa stagione che per un reale gap economico favorevole con le altre compagini di Serie A.  Pur avendo tutte uno stesso obiettivo, i modi per arrivarci sono diversi e ogni squadra ha la sua particolare politica societaria, tutte però accomunate dal grande peso assunto dalle plusvalenze e dagli incassi sui diritti tv, due entrate incerte e che potrebbero venire a mancare in caso di sessioni di mercato non particolarmente redditizie o di retrocessione in Serie B. Uno scenario di questo tipo mette molte squadre a rischio (anche perché sono poche le squadre di medio-bassa classifica con proprietari in grado di coprire eventuali grosse perdite) e anche per questo periodicamente assistiamo a dichiarazioni preoccupate del presidente federale Carlo Tavecchio sulla sostenibilità economica di molte squadre della massima serie nel medio periodo.

 

Partiremo dal club più solido fra gli undici rimasti, ovvero il Torino, per poi passare a Palermo e Udinese, che si mantengono sugli stessi livelli di ricavi dei granata, ma sfruttando in maniera elevata le plusvalenze, con tutti i rischi del caso. Successivamente vedremo il modello in controtendenza del Sassuolo di Squinzi e quello estremamente equilibrato dell’Atalanta. Chiuderemo poi con uno sguardo complessivo alle altre squadre, mettendo in luce qualche criticità che potrebbe emergere dalle parti di Verona (soprattutto sponda Chievo) e tentando di fare qualche considerazione nonostante i pochi dati a disposizione anche su Empoli, Carpi, Frosinone e il nuovo Bologna del proprietario Saputo e del presidente Tacopina.

 

Come fatto per le altre nove squadre, propongo in questo articolo, per ogni società, una tabella semplificata di dati estrapolati dai bilanci. Ricordo che questi dati non danno una visione globale di tutti gli aspetti economici e finanziari che deve affrontare una società, ma riescono comunque a far emergere il modus operandi delle varie dirigenze. Nota bene: per alcune società non è stato possibile inserire tutti gli ultimi cinque anni per mancanza di dati.

 



 



 

I granata hanno bilancio su anno solare, quindi i loro conti di ogni anno mostrano la situazione a cavallo di due stagioni. I ricavi molto bassi del 2010 e del 2011 mettono immediatamente in luce quanto faccia la differenza giocare in Serie A o in Serie B. Oltre a un ovvio calo degli incassi del botteghino, quello che pesa in maniera importantissima sui bilanci societari in caso di retrocessione fra i cadetti è l’assenza quasi completa degli incassi da diritti televisivi, che per il Torino attualmente rappresentano il 73% del totale dei ricavi (e per quasi tutte le squadre visionate in questo articolo si attestano fra il 65 e il 75%). Capite bene che se una dirigenza non è in grado di attuare una gestione oculata di questi soldi, evitando di indebitarsi pesantemente tramite costosi ingaggi pluriennali di nuovi giocatori, una retrocessione inaspettata può gettare qualsiasi squadra nel baratro, fino addirittura al rischio fallimento.

 

La crescita del Torino è stata continua e senza strappi, con ammortamenti rimasti addirittura al livello della Serie B o poco superiori e un monte ingaggi che è sì aumentato, ma senza clamorosi salti in avanti. Inoltre la società guidata dal presidente Cairo negli ultimi anni sta facendo un ottimo lavoro sul fronte plusvalenze (basti pensare a Cerci, Immobile e Darmian) ed è riuscita a chiudere gli ultimi due bilanci in attivo con discrete possibilità di rimanere quantomeno a livelli di pareggio anche nel 2015. Grazie a una gestione oculata, rafforzata da buonissimi risultati sul campo, in questa campagna acquisti il Torino ha potuto attuare anche una mirata strategia di rafforzamento, soprattutto a centrocampo, che mette la squadra di Ventura ragionevolmente al riparo da ogni rischio di retrocessione. La gestione economica del Torino, a meno di inattesi tracolli sul campo, ha la capacità (e i giocatori da vendere per fare plusvalenze future) per mantenersi nelle zone di media classifica della Serie A senza eccessivi problemi per i prossimi anni, con la concreta speranza di togliersi altre soddisfazioni in zona Europa League dopo quelle già raggiunte l’anno scorso.

 



La squadra di Zamparini mostra qualche criticità in più rispetto al Torino:

 



 

Senza dubbio il –28 della stagione 2013/14 è dovuto anche alla stagione in Serie B affrontata dal Palermo dopo l’inattesa retrocessione dell’anno precedente (i ricavi sono scesi di 15 milioni in un solo anno). Ma guardando bene i numeri si nota come la situazione dei costi sia un po’ meno tranquillizzante, in particolare quella relativa al “monte ammortamenti”, che risulta più del doppio di quello del Torino e, come vedremo, più elevato di tutte le altre squadre analizzate in questo articolo. Ciò vuol dire che Zamparini è un po’ più di manica larga nello spendere e questo lo espone a bilanci in negativo quando le cose non vanno tutte per il verso giusto. Persino nel 2011/12 e nel 2012/13, quando ha realizzato ottime (40 milioni nel 2011/12) e buone (23 milioni nel 2012/13) plusvalenze, il bilancio finale è risultato negativo. Un po’ come avevamo visto a un livello più alto per la Fiorentina, senza 40 milioni di plusvalenze l’anno il Palermo rischia sempre un passivo di bilancio consistente.

 

Per il 2015/16 è stato quindi ossigeno puro la cessione di Dybala alla Juventus, che ha generato da sola una plusvalenza di 30 milioni che avvicina di molto l’obiettivo (raggiungibile anche con una politica di riduzione degli ammortamenti e degli ingaggi). Qualche dubbio in più sulla possibilità del Palermo di non far segnare un altro passivo piuttosto importante nel 2014/15 (i dati non sono ancora noti), perché il livello delle plusvalenze per la scorsa stagione non dovrebbe aver superato i 20 milioni. Per il futuro il primo obiettivo economico del Palermo deve comunque essere quello della riduzione degli ammortamenti a un livello simile a quello delle rivali dirette per evitare squilibri pericolosi nel medio periodo. Recentemente Zamparini ha dichiarato che la società è in vendita per 50 milioni e che il Palermo è sanissimo e ha un bilancio capace di reggersi da solo senza continui ripianamenti delle perdite. Vorrebbe dire che nell’ultima stagione si è già iniziato a mettere le basi per una corposa opera di riduzione dei costi.

 



Entriamo ora nell’affascinante “sistema Udinese”, un mondo a parte rispetto a tutto il resto della Serie A:

 



 

Della specificità del “modello Udinese” si è spesso parlato sui mass media e quindi non è un segreto né una particolare sorpresa. L’approccio economico della famiglia Pozzo al calcio è totalmente diverso da quello delle altre squadre “medie” e si basa su una cura delle “plusvalenze” a livello scientifico e molto meno episodico rispetto a tutte le altre società. Basti pensare che per la voce “costi specifici tecnici”, che comprende fra le altre cose le spese per scouting, osservatori e consulenze esterne legate alla supervisione di giocatori di tutto il mondo, l’Udinese spende ogni anno 24 milioni di euro, più del doppio di qualsiasi altra squadra di Serie A (le big investono fra i 5 e i 10 milioni in questa voce di bilancio, le medio-piccole da qualche centinaia di migliaia di euro ai 3 milioni del Torino). Di questi 24 milioni ben 7 sono indirizzati alla voce “osservatori”, quando nessun’altra squadra di Serie A spende su questi più di un milione, tranne la Juventus, che supera di poco quella cifra (1,2 milioni).

 

È perciò del tutto naturale che i costi dell’Udinese siano molto più elevati rispetto agli altri club della stessa fascia (negli ultimi anni hanno addirittura superato i 100 milioni), ma i Pozzo riescono a sostenere queste grosse spese proprio grazie alla enorme capacità di portare a casa ogni anno elevatissime plusvalenze tramite la vendita a peso d’oro dei giocatori scoperti in giro del mondo e acquistati prima che le loro qualità vengano a conoscenza di altre squadre (addirittura, per poter valutare meglio i talenti acquistati, il presidente ha in questi anni rilevato il Granada in Spagna e il Watford in Inghilterra per parcheggiare lì i giocatori e farli crescere, obiettivo raggiunto se si pensa che entrambe le squadre sotto la sua gestione sono approdate nelle massime serie dei rispettivi paesi).

 

A ulteriore dimostrazione di come l’Udinese “compri basso, per vendere alto” possiamo notare in tabella i livelli di “costo del personale” e di “ammortamenti” assolutamente sostenibili e stabili anno dopo anno. Oltre ai già citati “costi specifici tecnici”, le spese dell’Udinese hanno subito un balzo verso l’alto negli ultimi due anni anche per gli effetti collaterali dovuti a qualche investimento su giocatori che non hanno reso come ci si attendeva, costringendo la società a qualche minusvalenza di troppo, oltre che alla necessità di dover risolvere a proprio favore alcune compartecipazioni (vietate da quest’anno), rimandando al futuro la possibilità di incassare plusvalenze sui giocatori “riacquistati”.

 

Anche per questo i dirigenti si sono dichiarati non eccessivamente preoccupati del passivo di bilancio del 2013/14, peraltro ampiamente inferiore alla somma dei tre bilanci in attivo chiusi nelle stagioni precedenti. Nella stagione in corso i friulani hanno già incamerato 40 milioni di plusvalenze (principalmente per le cessioni definitive di Pereyra, Muriel, Allan e Basta) e quindi anche per quest’anno il loro lavoro di “venditori” lo hanno portato a termine più che egregiamente. A fianco della gestione economica, va segnalato che l’Udinese sta ristrutturando lo Stadio Friuli, dopo averne rilevato la gestione per 99 anni dal comune per una cifra attorno ai 25 milioni, e si augura che ciò possa aumentare i ricavi da stadio a partire dalla prossima stagione. Se proprio vogliamo trovare dei motivi di preoccupazione per i tifosi bianconeri, questi potrebbero risiedere nei grandi guadagni che tutte le squadre di Premier League avranno da questa stagione per l’aumento importante del valore dei loro diritti televisivi che potrebbero far riflettere il presidente Pozzo sull’opportunità di investire più sul Watford che sull’Udinese. La campagna acquisti finora è stata meno entusiasmante del solito: dopo un'annata già non eccezionale, è legittima qualche perplessità sull’effettiva competitività della squadra nella prossima stagione.

 



Altro “unicum” fra le medio-piccole è il sistema gestionale del Sassuolo:

 



 

Dalla tabella la particolarità degli emiliani non si nota, perché compresa nella voce “ricavi”. In realtà il Sassuolo può essere visto come un “piccolo Manchester City” o un “piccolo Paris Saint-Germain”: un team che vive al di sopra delle proprie possibilità economiche e commerciali grazie al proprietario, che tramite sponsorizzazioni fuori mercato da parte della sua azienda “gonfia” i ricavi. Ed è proprio quello che fa il presidente Squinzi, con la Mapei che nel 2014 ha versato nelle casse del Sassuolo ben 22 milioni a titolo di sponsorizzazione (per fare un confronto, le altre squadre qui considerate hanno ricavi commerciali onnicomprensivi di tutti gli sponsor che non superano i dieci milioni, attestandosi quando va bene fra i 6 e gli 8, e non basta l’annotazione che a differenza delle altre squadre il Sassuolo ha ceduto anche i diritti del nome dello stadio alla Mapei per giustificare questo enorme gap).

 

Non solo: proprio tramite la Mapei, Squinzi garantisce anche la continuità aziendale, dichiarandosi pronto a coprire eventuali buchi di bilancio, come accaduto nel 2014 con il –16 del primo anno di Serie A dopo tre bilanci di Serie B in sostanziale pareggio. L’aumento dei ricavi, in gran parte grazie ai diritti tv della Serie A, ma anche per l’aumento della sponsorizzazione Mapei da 15 a 22 milioni, è stato velocemente fagocitato dal raddoppio del costo del personale (già molto elevato per una medio-piccola), del monte ammortamenti (ancora sotto controllo) e dei costi in generale.

 

Pur avendo il vantaggio di avere un futuro garantito dal patron Squinzi, indipendentemente dai passivi di bilancio, se il Sassuolo volesse avvicinarsi a un conto economico più sostenibile senza ridurre le spese per il rafforzamento della squadra dovrebbe sicuramente aumentare le plusvalenze, ferme anche nel 2014 a 10 milioni. Cosa che per altro sta in effetti facendo, se si pensa che la sola cessione di Zaza ha portato in cassa una plusvalenza di 10,4 milioni e quelle di Kurtic e Pavoletti circa altri 6 milioni. Per l’anno prossimo è prevedibile un’ulteriore plusvalenza con la cessione di Berardi, che però non sarà elevatissima, contando che quest’anno il Sassuolo ha riscattato la metà del giocatore in mano alla Juventus per ben 10 milioni di euro. Pur non essendo l’Europa l’obiettivo degli emiliani, va evidenziato che una gestione di questo tipo (nella quale la società controllante finanzia tramite una sponsorizzazione “fuori mercato” il team) potrebbe portare a delle sanzioni se venisse provato che la differenza fra i soldi versati dalla Mapei e il reale valore di mercato del Sassuolo fosse decisiva per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio richiesti dai vincoli del Fair Play Finanziario.

 



Da una gestione volutamente “squilibrata” a una che è l’emblema dell’equilibrio:

 



 

Al di là del –11 dell’anno penalizzato da sei mesi di Serie B, l’Atalanta mantiene dei numeri molto stabili anno dopo anno in tutte le voci di bilancio. Dai ricavi al costo del personale, dagli ammortamenti ai costi, passando per le plusvalenze (attorno ai 15 milioni annui con impressionante regolarità), l’impressione è che i bergamaschi abbiano trovato la loro dimensione economica e in quella si muovano senza inutili rischi e stando ben attenti a non peggiorare nessuna voce di bilancio. Anche nel mercato attualmente in corso le plusvalenze dovrebbero raggiungere la fatidica quota 15 grazie alle cessioni di Baselli, Zappacosta e altri giocatori. Raggiunti gli obiettivi economici, l’importante per l’Atalanta ora è costruire una squadra per raggiungere quelli sportivi, rappresentati da una serena permanenza in Serie A. Sulla carta, nonostante un mercato non eccezionale e la perdita di due giocatori importanti, ci sono squadre che partono con meno credenziali dei nerazzurri, che quindi hanno tutte le possibilità per rimanere nella massima serie mantenendo i conti in ordine.

 



Concludo con una veloce carrellata della altre squadre che disputeranno il prossimo campionato di Serie A, partendo dalle tabelle. Tutte hanno dei dati mancanti: Bologna e Chievo non hanno ancora comunicato il loro bilancio 2013/14, per il Verona manca quello 2009/10 e buchi ancora più importanti potete notare nelle tabelle relative a Empoli e Carpi. La tabella del Frosinone è assente perché non sono riuscito a reperire alcun dato a proposito del conto economico della squadra.

 



 





 





 





 





 

I dati della tabella del Bologna non sono molto indicativi: nell’ottobre del 2014 la società è stata rilevata da un gruppo di imprenditori facenti capo a Joey Saputo e ha come nuovo presidente Joe Tacopina, il quale si pone come obiettivo il rilancio della squadra a buoni livelli anche con investimenti mirati sulla società. Se i nuovi proprietari manterranno fede alle loro promesse, la promozione in Serie A sarà solo il primo passo della rinascita per il Bologna, che ha vissuto dal 2006 a oggi un decennio davvero tribolato della sua storia, con l’alternarsi al timone di comando di ben sette presidenti e il ventilato rischio fallimento dopo la retrocessione in Serie B che aveva aperto un buco nei conti societari già in perdita (seppur non clamorosa) anche durante gli anni della Serie A. Nei progetti della nuova dirigenza c’è anche il nuovo stadio come obiettivo di medio periodo, ma il primo traguardo è  il mantenimento della massima serie per iniziare un più credibile piano di consolidamento dei conti e di rafforzamento della squadra. Come potenzialità la piazza di Bologna può senz’altro competere per le zone alte della parte destra della classifica, ma il destino degli emiliani è in mano alle capacità manageriali di Saputo & Co.

 

I numeri del Carpi mostrano una realtà totalmente diversa da quelle viste finora (e credo proprio che quelli del Frosinone non siano troppo diversi). I valori di bilancio sono talmente bassi che ho ritenuto opportuno inserire anche un decimale per mettere in mostra le piccole variazioni anno per anno. Va da sé che i 15-20 milioni che arriveranno nelle casse del Carpi dai diritti tv della Serie A andranno a quadruplicare come minimo i ricavi, ma la dirigenza sembra ben conscia che la squadra non si possa permettere investimenti che pesino sui bilanci successivi a quello di quest’anno, per evitare un tracollo totale in caso di retrocessione. Per questo il Carpi, così come il Frosinone, si sta muovendo con molta oculatezza sul mercato alla ricerca di giocatori in prestito o disposti a firmare un contratto annuale con rinnovo automatico solo in caso di salvezza. Uniche eccezioni per ora, comunque arrivate a parametro zero, l’ala brasiliana Martinho (accordo triennale), il portiere Benussi (biennale) e l’attaccante polacco Wilczek (triennale), ai quali però sono stati garantiti stipendi sostenibili e che potrebbero in futuro trovare acquirenti se messi sul mercato nel caso in cui la squadra non dovesse riuscire a salvarsi.

 

La situazione dell’Empoli è difficilmente decifrabile, visto che i pochi dati disponibili risalgono agli anni di Serie B. Non posso perciò sbilanciarmi troppo sul futuro dei toscani, anche se sarebbe interessante capire se dietro alla rinuncia alla richiesta della Licenza UEFA per il 2014/15 (che ricordo impone di soddisfare alcuni vincoli economici) ci sia la semplice presa d’atto che la società non aveva possibilità di qualificarsi per l’Europa League oppure ci sia qualche problema nei conti societari.

 

Chiudiamo con le due veronesi. Dalle tabelle si nota che è bastato un solo anno in Serie A al Verona per superare (seppur con un “aiutino” come vedremo) i ricavi del Chievo, sempre stabili fra i 32 e i 34 milioni di euro. Entrambe le squadre anche in questo caso hanno bisogno delle plusvalenze per rimanere in attivo, ma da questo punto di vista la situazione del Chievo sembra più preoccupante di quella del Verona. Nel 2012/13 la società di Campedelli è riuscita a chiudere in attivo solo grazie a 27 milioni di plusvalenze, un dato molto lontano dalle cifre nettamente minori incassate nel mercato 2014 e in questo inizio di campagna acquisti 2015. Senza questi ricavi esistono seri dubbi sul fatto che il Chievo sia riuscito a chiudere in attivo il bilancio 2013/14 (che stranamente non sono riuscito a recuperare nonostante avrebbe dovuto essere comunicato già da tempo) e ancor di più quello 2014/15.

 

Se a questo aggiungiamo che nemmeno il Chievo ha richiesto la Licenza UEFA per il 2014/15 credo sia lecito porsi qualche domanda sulla gestione finanziaria della squadra nell’ultimo periodo. Anche il Verona per il momento sembra in difficoltà nel realizzare plusvalenze in questa stagione, ma l’Hellas finora ha avuto bisogno di meno introiti di questo tipo per la struttura dei suoi conti. Attenzione però anche al loro equilibrio finanziario, perché il bilancio 2013/14 sfrutta una ventina di milioni di ricavi una tantum, relativi principalmente alla cessione del marchio a prezzi di mercato dalla “Hellas Verona Football Club s.p.a.” alla “Hellas Verona Marketing & Comunication s.r.l.”, che sono serviti a rilanciare la squadra nel primo anno di Serie A, ma che devono essere coperti tramite altri introiti in questa e nelle successive stagioni.

 

 

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