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Marco De Santis
La crescita sostenibile della Juve
16 giu 2015
16 giu 2015
I passi che hanno portato la Juventus a tornare a essere la società italiana economicamente più forte, anche grazie agli errori delle sue avversarie.
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Marco De Santis
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Nell’estate del 2006 la Juventus è stata retrocessa dalla giustizia sportiva in Serie B, l’Inter ha vinto a tavolino il primo di cinque scudetti consecutivi, un ciclo vincente culminato con il triplete del 2010, mentre il Milan era nel bel mezzo di due finali di Champions League disputate nel 2005 e nel 2007. Nove anni dopo, la Juventus domina la scena italiana e si è giocata la finale di Champions League, il Milan è fuori dalle coppe da due anni e l’Inter, oltre a non essersi qualificata per le competizioni europee della prossima stagione, si ritrova con la spada di Damocle del Fair Play Finanziario che ne limita le capacità di ripresa.

 

Cosa è successo in questi anni? Come ha fatto la Juventus a tornare a essere una società vincente ed economicamente sana? Che errori hanno invece commesso Milan e Inter? Le risposte a queste domande possono essere tante e sono condizionate anche da piccoli fattori. In questo pezzo focalizzerò l’attenzione su alcuni aspetti relativi all’evoluzione nell’ultimo decennio del conto economico della Juventus, da cui si possono trarre informazioni interessanti a proposito di cosa si deve e non si deve fare per far crescere, in maniera finanziariamente sana, una società di calcio nell’era del Fair Play Finanziario. Utilizzerò queste informazioni anche per fare un parallelismo con Milan e Inter e individuare i principali punti critici della recente gestione delle due società milanesi.

 

Ed è proprio la retrocessione del 2006 ad aver paradossalmente aiutato la Juventus a entrare di slancio in questo nuovo periodo del calcio europeo, come un cavallo di rincorsa entra fra i canapi del Palio di Siena, superando le altre società italiane nel giro di poche curve.

 



Torniamo al 2006. La Juventus prima di Calciopoli è una società sana: la famiglia Agnelli ha smesso da anni di investire sulla squadra, che si sostiene da sola tramite operazioni di calciomercato particolarmente redditizie. Eventuali bilanci in passivo vengono subito compensati con cessioni di giocatori, reinvestendo parte dei ricavi per mantenere la squadra competitiva.

 


L’impressionante Juve 2004/2005.



 

La retrocessione improvvisa porta da un anno all’altro un inevitabile crollo dei ricavi (da 220 a 145 milioni), che però viene immediatamente compensato con la cessione di numerosi giocatori che pesano sul bilancio in termini di ingaggi e ammortamenti residui (Ibrahimovic, Zambrotta, Cannavaro, Mutu, Emerson, Thuram e Vieira). Grazie a 42 milioni di plusvalenze, a un drastico taglio del monte ingaggi (che scende da 127 a 95 milioni) e a un abbattimento epocale degli ammortamenti residui sui costi dei cartellini dei giocatori (da 66 a 23 milioni), la nuova Juventus, sotto la presidenza di Cobolli Gigli, riesce a chiudere il conto economico in sostanziale pareggio, vince il campionato di B e si ripresenta nella massima serie con una squadra sicuramente meno forte di quella del 2006, ma economicamente sana e pronta a riprendere la scalata verso le vette della Serie A e a reinvestire il surplus di introiti che sarebbe inevitabilmente tornato a fluire nel corso del tempo nelle casse bianconere.

 

Dal 2007 al 2009 la Juventus compie diversi errori sul mercato (gli acquisti più costosi di quel biennio sono Amauri, Tiago, Poulsen e Andrade), ma lo fa senza deteriorare i conti: semplicemente spende male il surplus che gli permette di tornare a livelli di ricavi pre-Calciopoli. Nel 2009/2010, unico anno di presidenza Blanc, i ricavi raggiungono i 223 milioni (ai quali vanno aggiunti 17 di plusvalenze), il monte ingaggi è di 127 (cifre molto simili al 2006) e gli ammortamenti subiscono un brusco salto in avanti (da 28 milioni a 39) a causa di altri due acquisti a posteriori sbagliati e molto costosi: Diego e Felipe Melo (la somma dei loro cartellini supera i 50 milioni). È l’unico momento nel quale la Juventus rischia davvero di prendere una strada involutiva, perché a fine stagione la squadra chiude al settimo posto e senza gli introiti europei rischia di infilarsi in un vicolo cieco.

 

https://www.youtube.com/watch?v=isRYNjl4MkI

«Un fenomeno all’Olimpico».



 

Fortunatamente per i bianconeri, la proprietà se ne accorge per tempo e decide di rivoluzionare tutto: alla presidenza arriva Andrea Agnelli, che ingaggia immediatamente Giuseppe Marotta come direttore generale e inizia a mettere mano ai problemi societari. I tempi sono stretti: il conto economico inizia a preoccupare e siamo in prossimità dell’entrata in vigore del Fair Play Finanziario, che mette un limite ai deficit massimi: per il biennio 2011/13 e per il triennio 2011/14 un deficit massimo complessivo di 45 milioni; per i trienni dal 2012/15 in poi si tratta di 30 milioni (dai passivi di bilancio la Juventus può sottrarre ai fini di questo calcolo circa 20 milioni all’anno di costi virtuosi).

 

Si decide quindi un intervento estremo: non preoccuparsi dell’importante passivo di bilancio atteso al termine della stagione 2010/11 e porre le basi per un graduale miglioramento dei conti. Si parte dalla stagione successiva con un aumento di capitale di 120 milioni che vada a coprire parte del pesante passivo del 2010/11 e che serva a finanziarie il successivo piano quinquennale, con l’obiettivo di permettere alla società di reggersi in piedi da sola dal 2016 in poi. Dopo la retrocessione in B, ecco quindi un altro punto chiave della rinascita juventina: compiere, nell’ultimo anno possibile, quelle operazioni economiche in perdita che non sono più realizzabili dopo l’entrata in vigore delle norme sul Fair Play Finanziario.

 



Il primo anno dell’accoppiata Agnelli-Marotta non è privo di ombre, anzi: sul mercato, fra gli acquisti più onerosi, troviamo meteore come Krasic e Martínez, i ricavi senza le coppe scendono ai minimi del decennio (154 milioni più 18 di plusvalenze), il monte ingaggi rimane allineato sui 127 milioni, ma crescono ancora gli ammortamenti (47 milioni), con un passivo finale che tocca i 95 milioni. Inoltre, la squadra fallisce di nuovo la qualificazione alle coppe. La nuova dirigenza ha però due assi nella manica: il già citato aumento di capitale, che viene ufficializzato il 23 giugno 2011, e il nuovo stadio di proprietà (lo Juventus Stadium), che permette di prevedere un aumento degli introiti per la stagione successiva di circa 30 milioni.

 

Il piano societario viene esplicitato nel resoconto annuale del bilancio 2010/11. Rileggendolo a quattro anni di distanza, troviamo lì tutti i passi che hanno riportato la Juve ai vertici del calcio europeo. Quattro i punti fondanti dichiarati:

 


- ritorno nel più breve tempo possibile a competere stabilmente ad alto livello sia in Italia che in Europa, attraverso un’aggressiva politica di investimenti e disinvestimenti destinati a completare il rinnovamento della prima squadra e a elevarne il livello qualitativo, nonché a consentire un adeguato ricambio nella stagioni sportive successive;

- rilancio del settore giovanile con l’obiettivo di inserire in squadra entro 3-5 anni giovani che possano generare risorse e ridurre il fabbisogno di investimenti;

- raggiungimento e mantenimento dell’equilibrio economico e finanziario con un approccio maggiormente dinamico alle campagne trasferimenti per cogliere opportunità di valorizzazione e di investimento, d’incremento e di diversificazione dei ricavi con un controllo ai costi operativi;

- raggiungere standard elevati dei risultati sportivi, garantendo alla società l’equilibrio economico e finanziario.

 



Il primo è un chiaro manifesto di ciò che ha fatto la Juventus sul mercato in questi anni. Abbandonata ogni idea di risolvere i problemi con un solo acquisto che accenda l’entusiasmo delle folle, ma non eccessivamente utile per la crescita di una rosa di 25 elementi, la società ha deciso di compiere nelle prime stagioni del progetto più acquisti di medio livello, andando a prendere i giocatori qualitativamente migliori, che però fossero contemporaneamente occasioni di mercato.

 

Nella prima campagna trasferimenti del “periodo Conte” sono arrivati Vucinic, Lichtsteiner e Vidal, ma nessuno di loro è costato più di 15 milioni e la squadra è stata impreziosita con l’ingaggio di Pirlo a parametro zero. Questo approccio non è stato variato nemmeno negli anni successivi quando, una volta poste le basi della squadra, la rosa è stata via via impreziosita con alcuni elementi di valore, nessuno dei quali pagato più di 20 milioni di euro (soglia di spesa toccata per la prima volta lo scorso anno per Morata, un giocatore che nei programmi societari rappresenterà una stella della squadra per tanti anni oppure un’importante plusvalenza futura, quindi in ogni caso un investimento elevato ma con un ritorno assicurato).

 


Per rapporto qualità-prezzo, Andrea Pirlo è stato uno dei colpi migliori del nuovo corso juventino.



 

Sul settore giovanile va fatto un distinguo: se da una parte la società fatica a portare in prima squadra prodotti del vivaio (Marrone e De Ceglie sono ai margini della rosa, Marchisio è un prodotto della gestione precedente, Giovinco è stato venduto e attualmente il solo Mattiello, prima dell'infortunio, ha fatto intravedere le capacità per entrare in prima squadra in futuro), dall’altra la società è stata attivissima nel bloccare i giovani più promettenti in giro per l’Italia e non solo. L’acquisto di Pogba a parametro zero è la “ciliegina sulla torta” che permetterà, al momento della sua cessione, di mettere a posto i conti societari per diversi anni, ma non dimentichiamo l’arrivo di Coman, Sturaro, dello stesso Morata e il controllo di prospetti quali Rugani, Zaza e Berardi. Oltre a questi, che sono la punta dell’iceberg, la Juventus è proprietaria del cartellino di numerosi giovani interessanti che magari non arriveranno mai a giocare fra i bianconeri, ma permetteranno con la loro cessione di generare plusvalenze utilissime per mantenere i conti in ordine (due esempi recenti su tutti: Immobile e Gabbiadini).

 

Per quanto riguarda il terzo punto, l'equilibrio economico, possiamo notare che la Juventus solo dall’anno prossimo otterrà i primi veri frutti della nuova politica di marketing. Dopo una crescita di 10 milioni dei ricavi pubblicitari nel 2011/12 (passati da 43 a 53 milioni), questo dato è rimasto più o meno stabile a causa degli effetti della crisi economica italiana e mondiale, ma anche per il minore appeal del brand Juventus e dell’intero campionato italiano rispetto al decennio precedente. I risultati degli ultimi anni sono quel volano che Andrea Agnelli attendeva per incidere anche su questa voce, che dovrebbe aumentare di una ventina di milioni già nella prossima stagione. Una voce che, inoltre, grazie alle inevitabili ricadute positive in termini di immagine del raggiungimento della finale di Champions League, dovrebbe crescere ancor di più in futuro.

 

La realizzazione dei tre punti precedenti porta come conseguenza il raggiungimento del quarto obiettivo: gli standard elevati in termini di risultati sportivi dell’ultimo quadriennio sono sotto gli occhi di tutti. La presenza stabile in Champions League e la crescita continua e ragionata degli investimenti legata alla crescita dei ricavi fa sì che la società possa contare anche su un invidiabile equilibrio economico. Possiamo semplificare l’analisi prendendo in considerazione solo alcuni dati significativi sul conto economico societario degli ultimi anni.

 



 

Come si vede, il primo anno ha risentito ancora dei problemi emersi nella precedente gestione, in particolare dovuti alla mancata partecipazione alla Champions League e alla mancanza di uno stadio di proprietà che permettesse di aumentare i ricavi. Una volta raggiunto questo primo obiettivo, i ricavi in crescita hanno permesso via via di aumentare sia il monte ingaggi (con ovvia ricaduta sui costi totali) che, in quest’ultima fase, il monte ammortamenti.

 

Se fino a questa stagione la Juventus ha dovuto comunque utilizzare il mercato per far tornare i conti (fino al punto di realizzare ben 36 milioni di plusvalenze nella scorsa stagione), dall’anno prossimo la società vedrà aumentare ancor di più le capacità di spesa grazie a nuovi contratti televisivi e commerciali che dovrebbero far crescere i ricavi fissi (ovvero indipendenti dall’andamento della squadra in Champions League) di circa 40 milioni l’anno. Inoltre, la forza della squadra permette di stimare come molto probabile la presenza della Juventus nella principale competizione continentale per molti anni a venire, garantendo una fonte di introiti sempre più ricca e importante alla società bianconera. La ricaduta di tutto ciò si potrà notare in questo calciomercato e anzi si è già vista quando la società bianconera ha ufficializzato l’acquisto di Dybala per 32 milioni (più 8 di bonus), ovvero l’acquisto più costoso dai tempi della triade Buffon, Nedved e Thuram, acquistata nel 2001 con il ricavato dei soldi della cessione di Zidane.

 

Ma le potenzialità della Juventus sul mercato di quest’anno non terminano con l’acquisto di Dybala, fermo restando che un’eventuale plusvalenza relativa alle cessioni di Vidal o (soprattutto) Pogba amplierebbe ancor di più il ventaglio dei possibili movimenti di mercato. Si nota, quindi, come il volume di ricavi e costi della Juventus sia cresciuto in maniera omogenea anno per anno, senza mai fare il passo più lungo della gamba e con un solo azzardo calcolato e andato a buon fine all’inizio della gestione Andrea Agnelli. Crescita costante e continua che ha permesso alla società di accrescere la sua “potenza di fuoco” (data dalla somma monte ingaggi + monte ammortamenti) da 189 a 241 milioni in quattro anni (anche se va detto che sulla stima 2014/15 incidono per circa dieci milioni le ipotesi di maggiori premi ai giocatori dovuti ai risultati ottenuti sul campo).

 



Il problema principale per le due milanesi è dovuto al fatto di aver vissuto gli ultimi anni prima dell’entrata in vigore del Fair Play Finanziario al di sopra delle loro possibilità. Sono stati sfruttati i generosi investimenti di Silvio Berlusconi e Massimo Moratti per poi dover frenare bruscamente, privi di un’adeguata pianificazione di fronte ai nuovi vincoli della UEFA.  Partendo dai bilanci del Milan dell’ultimo decennio, si nota che nel 2010 e nel 2011 la società ha chiuso la stagione con passivi di 65 e 76 milioni. Circoscrivendo l’analisi agli ultimi cinque bilanci e prendendo in considerazione gli stessi dati utilizzati per la Juventus, troviamo una situazione di questo tipo (ricordo che il Milan ha bilancio su anno solare e non su stagione sportiva):

 



 

Detto che il –91 del 2014 è falsato da alcune operazioni straordinarie e che quindi va preso con beneficio di inventario, quello che si nota subito è che i conti del 2011 erano nettamente fuori controllo, con un monte ingaggi/ammortamenti che superava i 250 milioni e che ha costretto il Milan nell’estate seguente a cedere Ibrahimovic e Thiago Silva come prima opera di una riduzione del monte ingaggi. Gli effetti sono arrivati in parte nel 2012 e in parte nella stagione successiva, riportando la “potenza di fuoco” al di sotto dei 200 milioni. Essere arrivati “lunghi” alle “colonne d’Ercole” del Fair Play Finanziario ha comportato la necessità di indebolire la squadra e la conseguenza a posteriori di perdere un posto fisso in Champions League proprio nel corso del triennio 2012/15, il più ricco di sempre come premi elargiti alle partecipanti, senza nemmeno avere la certezza di partecipare a questa coppa (che sarà sempre più ricca) in futuro.

 


Malinconia.



 

Ecco perché dico che la Serie B a posteriori ha dato una grossa mano alla Juventus nell’affrontare il nuovo modello sostenibile di calcio europeo: quando sei obbligato a ridurre le spese in un anno in cui l’obiettivo stagionale è vincere la Serie B (raggiungibile anche indebolendo la squadra), è molto facile farlo. Quando sei lanciato ai massimi livelli della Serie A, obbligato ogni anno a lottare per lo scudetto e far bella figura in Europa, è molto più difficile prendere la dolorosa decisione di iniziare a “smantellare parte della squadra” e annunciare ai propri tifosi alcuni anni di vacche magre. Nel calcio, soprattutto in Italia, i tifosi vogliono tutto e subito.

 

La necessità di mantenersi ad alti livelli porta a volte a scelte sbagliate, che nel caso del Milan sono state l’aver rinviato fino all’ultimo le decisioni più dolorose e non aver creato per tempo un adeguato ricambio di giocatori che permettesse alla squadra di mantenersi competitiva, cosa non impossibile visto che Lazio e Napoli (le ultime due “terze” in Serie A) hanno ricavi nettamente inferiori ai rossoneri.

 

Con la scadenza di numerosi contratti onerosi al 30 giugno 2015 il Milan otterrà in questi mesi un ulteriore abbassamento del monte ingaggi (in rosa potrebbe rimanere il solo Montolivo con uno stipendio maggiore di 2,5 milioni netti) che, insieme all’esclusione delle coppe che tiene la squadra per il momento al riparo dai controlli sul Fair Play Finanziario, lascia margini per nuovi investimenti (anche grazie all’ingresso di freschi capitali dall’estero).

 

A questa buona notizia fa da contraltare il fatto che il valore della rosa si è svalutato in questi anni e sono davvero pochi i giocatori con i quali si potrebbe fare una buona plusvalenza da utilizzare sul mercato. Persino i giovani De Sciglio ed El Shaarawy, accreditati di un valore molto elevato solo un anno fa, oggi varrebbero molto di meno se fossero venduti. Ambizioso il progetto di aumentare notevolmente i ricavi tramite l’espansione del brand nel mercato asiatico, anche se il ritorno economico potrebbe non essere così immediato come i tifosi sperano.

 



La situazione dell’Inter è se vogliamo ancora peggiore. Perché, a differenza di Berlusconi, Moratti è stato ancor più generoso negli investimenti personali sulla squadra (coprendo nel 2007 un passivo annuale di più di 200 milioni e superando abbondantemente i cento nei due anni successivi), ma è stato anche totalmente assente nelle strategie di marketing.

 

L’Inter ha vissuto per anni totalmente sulle spalle del proprietario, non sfruttando un brand che almeno nel periodo del triplete aveva un grandissimo potenziale inespresso. Per questo, subito dopo la conquista della Champions League e con il Fair Play Finanziario incombente, Moratti ha deciso di chiudere i rubinetti lasciando di stucco Benítez, che se ben ricordate poco prima di rescindere il contratto con i nerazzurri aveva dichiarato: «Mi avevano promesso delle cose poi, forse per il bilancio finanziario, non mi hanno comprato nessuno».

 

Credo proprio che Moratti abbia finalmente preso atto della situazione “drammatica” dei conti dell’Inter proprio in quell’estate, fra l’ingaggio di Benítez e la campagna acquisti poi condotta in tono minore, nella quale inoltre la società ha perso la grande occasione di monetizzare vendendo a peso d’oro alcuni dei suoi pezzi pregiati. Un difetto enorme di programmazione nel medio termine, che rischia di essere pagato per molti anni ancora. Vediamo i dati relativi all’Inter degli ultimi cinque anni, dal triplete in poi:

 



 

Ed è importante notare come i dati economici dell’Inter 2013/14 siano molto simili a quelli della Juventus 2010/11. Purtroppo per Thohir, però, i nerazzurri non possono contare su ricavi sicuri dallo stadio di proprietà per l’anno prossimo, stanno subendo una sanzione per violazione del Fair Play Finanziario che impedisce investimenti che erano invece leciti fino a quattro anni fa e hanno un progetto di sviluppo del marketing che ha bisogno di diversi anni e buoni risultati sportivi per svilupparsi. L’Inter in questo momento ha una “potenza di fuoco” di 180 milioni (notevolmente ridotta per venire incontro ai dettami del Fair Play Finanziario rispetto ai 295 dell’anno del triplete), ma è costretta dalla UEFA a diminuirla ulteriormente, perché la società non produce ricavi adeguati e continua a segnare notevolissimi deficit di bilancio.

 

Uscire da una spirale negativa di questo tipo è molto difficile. A differenza del Milan, i nerazzurri qualche giocatore da vendere a buon prezzo sono riusciti a portarlo in rosa negli ultimi anni e forse potranno affrontare i prossimi mercati con delle cessioni dolorose, ma ragionate. A quel punto sarà comunque necessario non sbagliare più gli acquisti: una cosa che al momento anche la nuova dirigenza non è riuscita a fare. Basti pensare al costoso, ma poco redditizio sul campo, mercato di gennaio.

 

La parola d’ordine per tentare la risalita, sia per il Milan che per l’Inter è solo una: programmazione. Quella che in questi anni è sempre e costantemente stata messa in secondo piano per tentare di raggiungere obiettivi di breve termine, oltretutto quasi sempre troppo ambiziosi e per questo molto spesso falliti.

 
 

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