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Marco De Santis
Classe media
20 lug 2015
20 lug 2015
Le difficili acrobazie finanziarie a cui sono costrette Fiorentina, Genoa e Sampdoria per mantenere una buona competitività sportiva.
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Marco De Santis
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Pur mantenendo una metodologia molto simile a quella adottata nei due articoli precedenti, prima di iniziare è opportuno fare alcune premesse. Se per certi versi è lecito considerare la Fiorentina fra le “7 big” della nostra Serie A, dato che il giro d’affari dei viola—seppur inferiore a quello di Juventus, Milan, Inter, Roma e Napoli—è paragonabile a quello della Lazio, per le due genovesi scendiamo ancor di più di livello sul fronte dei ricavi che, come vedremo, al netto delle plusvalenze sono circa la metà rispetto a quelli della squadra toscana. Se ciascuna delle “7 big” ha tutte le potenzialità per puntare con costanza a un posto in Europa League con “picchi da Champions”, per Genoa e Sampdoria la qualificazione in Europa rappresenta già un successo straordinario. È quindi del tutto evidente che se Roma, Lazio, Napoli e Fiorentina possono in qualche modo cercare di arrivare a una competitività tale da ambire—in annate particolarmente favorevoli—alla vittoria dello scudetto nonostante le enormi difficoltà date dal divario economico con la Juve e le milanesi, per Genoa e Sampdoria conquistare il tricolore allo stato attuale delle cose sarebbe un vero e proprio miracolo e “colmare il gap” con i top club un’utopia.

 

Altra importante precisazione: nell’analisi delle varie squadre farò cenno ai problemi societari che hanno investito Genoa e Sampdoria nell’ultimo periodo e che ancora non sono del tutto risolti. Non è però obiettivo di questo pezzo lanciare accuse o insinuare sospetti non del tutto verificati sui metodi gestionali delle due società. Metterò comunque in evidenza alcuni punti critici, partendo dal presupposto che tutto ciò che fanno le due dirigenze sia lecito e finanziariamente sostenibile fino a prova contraria.

 

Fatte le dovute premesse, entriamo nel merito. Se da una parte, come detto, la Fiorentina ha dei punti in comune con la Lazio, dall’altra si discosta dal modello gestionale di Lotito per investimenti molto superiori sui costi dei cartellini dei giocatori, che si riflettono sul valore del monte ammortamenti (simile invece a quello della Roma). Una scelta di questo tipo implica per i Della Valle la necessità di mantenere i bilanci in ordine tramite sistematiche plusvalenze dall’importo non irrilevante, punto che, come vedremo, è assolutamente focale anche nelle gestioni di Sampdoria e Genoa. Se volete un riassunto in quattro parole di tutto quello che leggerete nelle prossime righe in relazione alle tre squadre considerate è il seguente: “Senza plusvalenze si muore”.

 

Come fatto per le altre sei squadre, propongo in questo articolo una tabella semplificata di dati estrapolati dai bilanci di Fiorentina, Genoa e Sampdoria. Ricordo che questi dati non danno una visione globale di tutti gli aspetti economici e finanziari che deve affrontare una società, ma riescono comunque a far emergere il modus operandi delle tre dirigenze. Procediamo in rigoroso ordine di classifica dell’ultimo campionato di Serie A e cominciamo questo viaggio nei conti societari dai toscani. Curiosamente tutte e tre le squadre considerate hanno bilanci su anno solare.

 





 

I numeri mettono in luce una situazione particolarmente chiara e stabile fino alla scorsa stagione, tendente al peggioramento nel 2014 (i cui risultati di bilancio sono stati presentati la scorsa settimana). I ricavi al netto delle plusvalenze sono dal 2010 inferiori ai costi al netto degli ammortamenti e a questo segno meno va aggiunto il peso del monte ammortamenti che, come sottolineato in precedenza, non è affatto irrilevante rispetto al valore del fatturato ed è cresciuto in maniera preoccupante nell’ultima stagione. Ciò vuol dire che, stando così le cose, la Fiorentina ha assoluta necessità di mettere in cassa ogni anno elevate plusvalenze per far quadrare i conti. Guardando ai dati del 2012 e del 2013 notiamo che la società è riuscita a chiudere in leggerissimo attivo entrambi i periodi, ma a fronte di plusvalenze per ben 40 milioni l’anno (qui considerate come la somma fra le vere e proprie plusvalenze per cessione definitiva di giocatori e tutte le altre operazioni legate alla compravendita dei giocatori, come gli incassi relativi ai diritti dei giocatori in compartecipazione, i prestiti, ecc…). Senza quelle cessioni il bilancio societario sarebbe stato in profondo rosso e molto simile a quello del 2011 e del 2014, annate nelle quali la dirigenza non è riuscita a mettere a segno importanti operazioni in uscita chiudendo la stagione con deficit rispettivamente di 32 e 37 milioni. Andando indietro nel tempo va menzionato che i dati del 2010 sono “falsati” in positivo da un’operazione finanziaria una tantum che portò nella società viola quasi 15 milioni extra.

 

In questa prima parte del 2015 la Fiorentina avrà sicuramente potuto sfruttare il buon cammino Europeo per diminuire la quantità di denaro da reperire attraverso plusvalenze per far quadrare i conti, ma è evidente che i ricavi dell’Europa League da soli non bastano. Anche per questo, nei documenti programmatici presentati a margine dei bilanci, la dirigenza ha segnalato la necessità impellente di trovare risorse straordinarie attraverso progetti innovativi che permettano di far crescere i ricavi non direttamente dipendenti dalla partecipazione della squadra alle competizioni europee, in primis l’idea di costruzione di un nuovo stadio, che però per il momento sembra ancora lontana dall’effettiva realizzazione. In mancanza di ciò i documenti ammettono che la società per reggersi in piedi a certi livelli non ha altra strada che affidarsi alle plusvalenze. Ecco allora chiarito come mai l’ottima plusvalenza incamerata dalla cessione di Cuadrado a gennaio (23,5 milioni di impatto positivo a bilancio fra la plusvalenza di 17,6 milioni e i risparmi di ingaggio e ammortamento annuale), che ha bissato le altrettanto remunerative operazioni Jovetic e Nastasic nel 2012 e nel 2013, non è stata al momento spesa per acquisire nuovi importanti giocatori sul mercato. Quei 25 milioni circa (insieme ai risultati europei) sono probabilmente quelli che servivano per garantire alla Fiorentina buone chance di chiudere in pareggio il bilancio 2015, mentre i soldi per la campagna acquisti dovranno arrivare da altre cessioni, da ulteriori aumenti di ricavi o da tagli dei costi relativi al personale tesserato.

 



La gestione del Genoa di Preziosi da quando la squadra è tornata in Serie A è stata a dir poco avventurosa, come dimostrano i numeri in tabella.

 



 

A fronte di ricavi nettamente inferiori a quelli della Fiorentina, e che fluttuano fra i 45 e i 60 milioni, troviamo dei costi nel 2012 e nel 2013 addirittura superiori a 100 milioni e una “potenza di fuoco” (data dalla somma di monte ingaggi e monte ammortamenti) superiore agli 80 milioni. Numeri totalmente incompatibili con un bilancio strutturalmente sano. Se cercate un esempio di società alla quale Tavecchio si riferisce quando esprime grossa preoccupazione per il futuro economico dei club l’avete trovato… Eppure, se ci limitiamo a bilanci finali, troviamo sì delle perdite, ma nemmeno così clamorose come ci si potrebbe aspettare. Il motivo è da ricercarsi nelle solite plusvalenze, che per Preziosi più che una necessità o un’opportunità da sfruttare in particolari casi hanno rappresentato fino al 2013 un vero e proprio “stile di vita”.

 

Il Genoa ha messo in atto una girandola incredibile di acquisti e cessioni che hanno portato il club a realizzare plusvalenze addirittura superiori al resto dei ricavi del club, con picchi impressionanti di 83 e 79 milioni nel 2011 e nel 2012. Fra gli altri dal 2010 al 2013 sono stati venduti, fra giocatori facenti effettivamente parte della rosa e giocatori in comproprietà, Milito a 25 milioni, Bonucci a 10,5, Thiago Motta a 10,2, Ranocchia a 18,5, Bocchetti a 9,5, Floccari a 8,5, El Shaarawy a 15,5, Criscito a 15, Destro a 11,5, Palacio a 10,5 e addirittura Constant a 8, all’interno di un’operazione non a caso con il Milan, club spesso usato per “gonfiare” un po’ il cartellino dei giocatori in una sorta di aiuto reciproco fra Galliani e Preziosi (niente di illecito, nei limiti di qualche milione di differenza rispetto ai prezzi reali, intendiamoci… è la stessa cosa che stanno facendo negli ultimi anni Juventus e Sassuolo e che a fronte di vantaggi immediati porta però anche degli svantaggi se poi i giocatori acquistati vedono calare il loro valore in misura importante negli anni seguenti).

 

Un ricorso così esasperato al “Player Trading” è anche però una delle cause dei costi di gestione così elevati per una squadra di medio livello: gettarsi a capofitto nelle operazioni di mercato con acquisti e cessioni a ritmi da “borsa di Wall Street” può fruttare elevate plusvalenze, cosa che in effetti il Genoa è riuscito a fare, ma a volte costringe anche a minusvalenze per liberarsi in fretta di giocatori che non hanno reso per quanto si poteva pensare. Il tutto per garantirsi quella disponibilità di denaro liquido per continuare a operare sul mercato anche nelle successive sessioni. Negli ultimi due anni, a mio parere poiché il sistema messo su da Preziosi era vicinissimo al collasso e per il generale impoverimento del calcio italiano (e dell’amico Milan…), che non garantiva più una soddisfacente probabilità di continuare a incamerare elevate plusvalenze, il Genoa ha schiacciato con forza il piede sul freno, tanto da presentare nel maggio del 2014 un prospetto di “business plan” triennale che si pone come obiettivo quello di ridurre di almeno il 30% sia il monte ingaggi che il monte stipendi, per rendere la società un po’ più sana e il suo futuro un po’ meno legato a incerte operazioni di mercato (tanto che senza questo intervento drastico i revisori dei conti avevano dichiarato di non poter garantire con un margine di certezza sufficiente la continuità aziendale). I dati del 2014 mostrano in effetti un’inversione di tendenza, con la “potenza di fuoco” scesa da 88 a 73 milioni. Purtroppo però la diminuzione drastica delle plusvalenze ha portato come risultato il peggior passivo degli ultimi dieci anni (decennio nel quale, fra l’altro, a parte il bilancio in pareggio del 2013, il Genoa ha sempre chiuso il proprio conto economico con il segno meno).

 

Stime parziali sui movimenti di mercato del 2015 mi portano a ritenere che il Genoa stia continuando su questa strada, che potrebbe portare a fine anno a una ulteriore riduzione da 73 a 60 milioni circa della “potenza di fuoco”. Per quanto riguarda le plusvalenze, a parte gli 8 milioni incassati per Bertolacci, si conferma almeno per il momento un minor ricorso a queste per sistemare i conti societari. In conclusione, pare che il Genoa sia arrivato davvero a un passo dal rischiare la fine del Parma (e non credo che dietro al ritardo di iscrizione che è costato ai grifoni la licenza UEFA ci sia solo una semplice dimenticanza relativa ai 4 milioni da saldare per alcuni acquisti di giocatori). Per questo motivo nei prossimi anni, più che puntare a un miglioramento dei risultati sul campo, Preziosi sarà impegnato con tutte le sue forze a incanalare il club all’interno di un modello di crescita aziendale sostenibile che non ne metta in pericolo la sopravvivenza nel medio periodo.

 



Negli ultimi dieci anni anche la gestione della Sampdoria è stata molto difficile. Il punto di maggiore criticità è arrivato con il passaggio in pochi mesi da una qualificazione ai preliminari di Champions, che pareva elevare i blucerchiati a livello dei club di medio-alta classifica, all’incredibile retrocessione in Serie B del 2011, che ha fatto scendere i ricavi sotto i 30 milioni, con conseguenze che vengono scontate ancora oggi nei conti societari.

 



 

Pur non arrivando alle “acrobazie economiche” del Genoa e mantenendo soglie di costi e ammortamenti più basse rispetto alla rivale cittadina, i problemi della Sampdoria sono più o meno gli stessi dei grifoni, a causa di ricavi che superano di poco i 40 milioni e di una minore capacità di coprire le falle anno per anno con importanti plusvalenze. All’interno di questo quadro l’estate scorsa è arrivata la cessione della società dalla proprietà facente capo a Garrone a quella che fa riferimento al presidente Ferrero, che si è presentato dichiarando a più riprese di voler rilanciare la squadra in un’ottica di consolidamento dei conti. Avrete probabilmente letto tutti le accuse a Ferrero lanciate da qualche quotidiano pochi giorni fa in merito alla sua limitata o nulla esposizione finanziaria nella Sampdoria che, secondo alcune ricostruzioni, vivrebbe ancora grazie ai soldi di Garrone. Ipotesi smentita dal presidente e sulla quale non ho nulla da aggiungere, né per sostenerla né per controbatterla, ma che non poteva essere omessa per avere una visione il più chiara possibile della tribolata situazione che vive anche la sponda blucerchiata di Genova.

 

Così come Preziosi nel 2014, anche Ferrero pochi mesi fa ha presentato un piano triennale che prevede il raggiungimento del punto di pareggio già fra il 2015 e il 2016, per poi portare i conti societari in attivo a partire dalle stagioni successive. Per fare ciò la società dichiara di puntare sull’aumento degli introiti dei diritti tv (su questo punto tornerò a conclusione dell’articolo, perché vale anche per le altre squadre), sulla diminuzione del monte ingaggi che—a differenza degli ammortamenti—è a livello di quello del Genoa, e sull’immancabile ricorso alle plusvalenze per sostenere i conti nel breve periodo. Buone intenzioni che almeno per il 2015 non sembrerebbero al momento però suffragate dai fatti, nonostante la dirigenza abbia recentemente confermato l’obiettivo di ridurre del 50% il monte ingaggi entro fine anno.

 

Se nell’estate del 2014 si era partiti bene con un mercato in attivo di bilancio, grazie soprattutto alle cessioni di Mustafi, Icardi e Poli, nella sessione invernale e all’inizio della sessione estiva del 2015 le plusvalenze sono un po’ mancate, con quelle relative alla vendita della metà di Gabbiadini e di Obiang che non dovrebbero bastare a portare ai conti societari l’ossigeno necessario, date soprattutto le altre operazioni di mercato concluse in entrata. A favore della Sampdoria potrebbe giocare però l’eventuale qualificazione alla fase a gironi di Europa League, condizionata al superamento dei due turni preliminari estivi. In caso di prematura eliminazione non escludo altre cessioni importanti da parte del club a fine mercato, uscite che in misura minore potrebbero comunque arrivare anche in caso di approdo ai gruppi della seconda coppa continentale. A proposito di Europa League, la qualificazione dei blucerchiati alle coppe ha come conseguenza che i conti della società verranno posti al vaglio della UEFA, che dovrà valutarne la conformità rispetto ai vincoli del Fair Play Finanziario. Dati i risultati dell’ultimo triennio, è possibile che la Sampdoria venga ritenuta in violazione di alcuni di essi (in particolare quello relativo al limite di deficit massimo) e che potrebbe quindi subire delle restrizioni simili a quelle comminate alla Roma nella scorsa primavera.

 

In mancanza di grossi aumenti dei ricavi anche per la Sampdoria, così come per il Genoa, l’obiettivo di breve periodo non può che essere il rafforzamento finanziario della società, anche a costo di mettere in secondo piano le ambizioni sportive.

 

Abbiamo quindi visto che tutte e tre le società considerate hanno l’impellente e assoluta necessità di aumentare i ricavi. Un’occasione per loro arriverà già quest’anno, con l’aumento del valore dei diritti televisivi della Serie A che porterà qualche milione garantito in più nelle casse di ogni squadra. Questi introiti non basteranno da soli a risolvere tutti i problemi, ma non vanno assolutamente sprecati con strategie “suicide” simili a quelle che hanno messo in crisi i conti di molte squadre negli ultimi anni, quando numerosi club sono riusciti a spendere a tempo di record i soldi pluriennali garantiti dai contratti tv per poi ritrovarsi a boccheggiare senza un euro in cassa per i successivi due anni e mezzo. Se il passato è servito da lezione ci si può augurare che questi nuovi introiti siano inseriti, come la Sampdoria ha già dichiarato di voler fare, in un contesto di miglioramento dei conti societari e non siano invece una nuova occasione per mettere in atto politiche miopi e con conseguenze nefaste.

 

In conclusione di questa panoramica su Fiorentina, Genoa e Sampdoria ci si deve a mio avviso porre la seguente domanda: queste squadre hanno necessità di riequilibrare i conti e sono quindi costrette a sacrifici sul mercato finché non saranno in grado di arrivare a un punto di equilibrio più sostenibile, ma se un giorno ci riuscissero cosa potrebbero fare per essere un esempio di corretta gestione sportiva? Dato per scontato che una crescita dei ricavi che le porti a livello delle tre big italiane nel medio periodo è improbabile, per non dire impossibile (soprattutto per le genovesi), ciò che devono fare queste squadre è ribaltare il modello gestionale mantenuto finora. Ovvero dovrebbero—oltre a ricercare nuove fonti di ricavo come da piano della Fiorentina—continuare a puntare sulle plusvalenze, ma non per la necessità di sistemare conti fuori controllo bensì per incamerare quei surplus di bilancio che permettano una crescita calibrata, sostenibile e soprattutto non irreversibile degli investimenti sulla squadra stagione per stagione.

 

Per fare ciò è di primaria importanza dotarsi di una rete di osservatori che permetta di scoprire potenziali futuri campioni a basso costo: gli investimenti su talenti “low cost” hanno infatti il doppio vantaggio di non rappresentare un rischio troppo elevato in caso di rendimento deludente dei giocatori e di essere una enorme possibilità di guadagno se i calciatori sono successivamente in grado di mostrarsi all’altezza della Serie A. Certo, in questo modo è praticamente impossibile puntare allo scudetto e molto difficile superare i risultati ottenuti dalla società che più di tutte ha messo a frutto questo tipo di approccio nell’ultimo periodo, ovvero l’Udinese, ma soprattutto per Genoa e Sampdoria non credo ci siano alternative credibili se vogliono rimanere discretamente competitive con continuità in Serie A. La Fiorentina—avendo, come segnalato all’inizio dell’articolo, un potenziale maggiore delle due genovesi in termini di aumento dei ricavi e di conseguenza la capacità economica di far fronte all’acquisto di un discreto numero di giocatori di buon livello—una volta ottimizzati ricavi e costi può invece puntare a mettere in pratica una delle strategie seguite da Roma, Lazio e Napoli, già analizzate nell’articolo “Colmare il gap”, per puntare a risultati ancora migliori dei quarti posti raggiunti negli ultimi tre anni.

 
 

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