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Foto di Franco Romano / NurPhoto via Getty Images
Ultimo Uomo Awards Emanuele Atturo 1 giugno 2022 8'

Il giocatore più fumoso: Nicolò Zaniolo

È il giocatore della Roma ad aver vinto il premio di quest’anno.

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Il premio di calciatore più fumoso è senz’altro il più crudele tra quelli che assegniamo alla fine di ogni stagione. Certo, premiare qualcuno come delusione dell’anno (quest’anno Moise Kean) ha un sapore più definitivo, ma nel giocatore più fumoso c’è una sfumatura di crudeltà superiore. Fumoso non è soltanto qualcuno che ha giocato male, ma che lo ha fatto in modo fastidioso, portandosi dietro l’inganno perpetuo di una promessa che non può mantenersi. Il giocatore più fumoso è, essenzialmente, un ciarlatano. Qualcuno, si pensa, è caduto in quell’inganno, continua a caderci, e quindi meglio premiarlo per svelarlo agli altri. Rivelare a tutti chi è il giocatore fumoso: un sopravvalutato, uno di cui ancora non si è parlato abbastanza male e su cui bisogna quindi infierire. Uno che col suo gioco mette sabbia negli occhi di chi guarda. Uno che personifica il proverbio “non è tutto oro quello che luccica”. Ma siamo sicuri non sia tutto oro quello che Niccolò Zaniolo fa luccicare?

 

Da quando è stato votato come calciatore più fumoso dai lettori de l’Ultimo Uomo – cioè appena una settimana fa – ha segnato il gol vittoria nella finale di una coppa europea. Magari per qualcuno una coppa a sua volta “fumosa”, per quanto solida (alla fine pesa 11 kg) che da giorni Zaniolo alza davanti alla faccia di molti tifosi e hater. È passato qualche giorno da quella finale e quel gol è sbiadito sullo sfondo, ininfluente. Di Zaniolo invece si parla in relazione a due cori lanciati dai tifosi della Roma durante i festeggiamenti: uno volgare sulla sua vita privata (a cui ha reagito in modo imbarazzato), e uno contro i rivali cittadini della Lazio (che ha cantato a squarciagola, forse fomentato dai pesanti trascorsi). Pochi giorni prima, durante i festeggiamenti per lo scudetto, Theo Hernandez, Bennacer e Brahim Diaz (fra gli altri) avevano cantato dei cori contro l’Inter. Sia loro che Zaniolo sono stati deferiti dalla procura federale, ma il processo mediatico è toccato solo al giocatore della Roma. Su Repubblica è stato scritto: «C’è anche chi si è chiesto come sia possibile che un calciatore possa essere convocato in Nazionale pochi giorni dopo un episodio così grave: secondo qualche straniero, all’estero non sarebbe accaduto». E per rassicurare tutti, almeno stando a quanto riporta la stampa, come prima cosa appena arrivati in ritiro Roberto Mancini ha pensato bene di rimproverarlo.

 

Si parla sempre di Zaniolo. A inizio stagione José Mourinho aveva rivolto un appello ai media: «Se posso, faccio un appello alla stampa di Roma: non scrivete bugie su di noi. Capisco che le bugie fanno vendere di più. Ma io sono qui per aiutare Zaniolo non per pregiudicarlo. Se ci lasciano tranquilli anche Mancini, anche la Nazionale possono giovarsene» e in primavera è tornato sconsolato sull’argomento: «Siccome Zaniolo vende si parla sempre di lui e del perché gioca o non gioca. Per il calcio italiano sarebbe meglio lasciarlo tranquillo».

 

Prima c’era stato l’argomento arbitri, visto che in ogni partita Zaniolo sembra ingaggiare la sua personale battaglia coi direttori di gara. Il suo gioco è sempre al limite, ama vivere a contatto coi marcatori, cerca di dominarli soprattutto atleticamente, spostandoli nel duello fisico, mettendo una spalla o una gamba avanti mentre corre. Secondo gli arbitri supera spesso i limiti. Gli sono stati fischiati 47 falli in questa stagione, come mai in carriera. Dopo Rey Manaj (che ha giocato meno di lui) è il giocatore offensivo della Serie A con più falli commessi, e quello con più cartellini (9 gialli e 2 rossi). Segni di un gioco aggressivo, certo, ma anche di una severità forse eccessiva degli arbitri nei suoi confronti. C’è forse, più sottile, anche un atteggiamento generale che non gli viene perdonato. Qualcosa su cui Mourinho e la Roma hanno lavorato, senza grandi risultati. A maggio Mourinho è entrato nell’argomento: «L’atteggiamento di Zaniolo è cambiato. Non è cambiato l’atteggiamento degli arbitri con lui. Nicolò è consapevole di essere un bersaglio. Non prende cartellini gialli per proteste, ma gli arbitri sono sempre uguali con lui». Come è possibile che uno dei giocatori che dribbla di più in Serie A abbia commesso quasi più falli di quanti ne abbia subiti?

 

Zaniolo sembra stare antipatico, ad arbitri, a tifosi, ad addetti ai lavori in generale, come stava antipatico Federico Chiesa prima dell’Europeo. Oggi, dopo quella coppa insperata vinta da trascinatore, fatichiamo a ricordarlo, ma c’è stato un momento in cui su questa rivista bisognava scrivere articoli in sua difesa – mentre i tifosi lo consideravano un bluff, e altri un simulatore patentato. Il problema per Chiesa ieri, come per Zaniolo oggi, è che la sicurezza nei loro mezzi viene interpretata come arroganza. Ad accomunarli anche uno stile di gioco rischioso, ambizioso, individualistico. Casi che ci ricordano che nella cultura calcistica italiana niente viene perdonato meno della mancanza di umiltà.

 

Zaniolo è giovane, bello e talentuoso: il fatto che sembra volersi godere tutte queste cose è inaccettabile agli occhi di tanti tifosi. Certo, lui in questi anni non ha fatto niente per abbassare il volume delle chiacchiere intorno, risultando ingenuo o quanto meno mal consigliato. La lunga epopea di gossip che lo ha riguardato non nasce solo dalla morbosità dei nostri occhi, ma anche perché lui non ha fatto niente per tirarsene fuori e preservare la sua reputazione. Niente però che possa giustificare il clima isterico che lo circonda, che in questi anni ha espresso una violenza a tratti inaccettabile. Il servizio televisivo in cui intervistano la madre sotto casa, con lui in macchina, screditandola davanti a suoi occhi per farne spettacolo televisivo. I tifosi avversari che cantano i cori contro la madre, o che lo chiamano “zoppo di Roma” negli striscioni. Il Corriere della Sera che scrive di cadute in disgrazia fantasiose come: «Gli archivi digitali custodiscono il tweet di un giornalista anche competente secondo cui Zaniolo era meglio di Messi; salvo poi cadere in disgrazia a causa dei dissapori con Mourinho, ed essere recuperato alla patria giallorossa dopo il gol vittoria di mercoledì». Zaniolo ha dovuto attraversare tutto questo, oltre ai due tragici infortuni al ginocchio.

 

Ci sarebbe da parlare del piano sportivo. L’impressione, però, è che il modo in cui si parla delle sue prestazioni in campo sia influenzato da questo livello tossico supplementare. Perché non ci sarebbero grandi motivi per essere così severi nei giudizi, con un giocatore che si è rotto il ginocchio due volte a vent’anni e che in questa stagione tornava in campo dopo circa un anno e mezzo di inattività, salvo un breve intervallo di partite. D’altra parte sono le sue caratteristiche a rendere Zaniolo un giocatore equivoco, difficile da giudicare.

 

Non è stata la miglior stagione di Zaniolo, che è sembrato vivere un’annata di transizione, passata a capire il miglior compromesso possibile tra il suo nuovo corpo e le sue vecchie ambizioni. Un corpo più pesante e meno elastico rispetto a prima dell’infortunio, che non sempre ha assecondato i tentativi di assoli di Zaniolo in campo aperto. A volte ha dato davvero la triste impressione di essere imprigionato in un corpo troppo pesante, incapace di prendere il volo in quegli strappi con cui, a inizio carriera, ricordava vagamente il suo idolo, Kakà. Il sistema tattico della Roma non ha fatto molto per mascherare questi difetti, esponendolo al meglio e al peggio del suo repertorio quasi in ogni azione.

 

Dimentichiamo anche, forse, che Mourinho ha iniziato l’anno con un 4-2-3-1 molto sbilanciato in avanti. Un modulo in cui Zaniolo ha giocato in isolamento sull’esterno destro: lontano da Pellegrini, impegnato a collegare il gioco a tutto campo, lontano spesso anche da Abraham, fisso come riferimento centrale. Se dall’altro lato Mkhitaryan riusciva a smarcarsi meglio nei mezzi spazi, Zaniolo è rimasto confinato sulla fascia, piuttosto lontano dalla porta, impegnato in lunghe serie di uno contro uno che non lo portavano quasi mai a rifinire o a provare la conclusione.

 


Tutto il peggio di Zaniolo quest’anno in un’azione. Perde il tempo per mandare Pellegrini in porta (forse perché non si fida del destro), prova il dribbling su Koulibaly, reclama un fallo.

 

Fino al 18 dicembre Zaniolo non aveva ancora segnato in campionato. Poi è arrivata Atalanta-Roma: la squadra di Mourinho da circa un mese era passata al 3-5-2 (o 3-4-2-1), Zaniolo gioca più centrale e più vicino ad Abraham. In quella partita segna, fa assist e offre una delle sue migliori prestazioni stagionali. Le cose sono migliorate, anche se non del tutto. La Roma attacca spesso su un campo lungo, in modo diretto, andando frettolosamente in verticale. Zaniolo, come prima, gioca spesso isolato, stavolta spalle alla porta e con uno o due uomini addosso. Fisicamente è bestiale, può portare uno strappo decisivo in qualsiasi momento e la Roma si appoggia molto a lui e ad Abraham per risalire il campo. È un gioco dispendioso e difficile, però, in cui Zaniolo mostra tutti i suoi difetti. Un primo tocco non sempre morbidissimo, un gioco di contatti troppo aggressivo, l’uso esclusivo del sinistro e, più di ogni altra cosa, una tendenza a incaponirsi in ostinate azioni individuali. È lo Zaniolo di tutto il 2022, quello che ci rimane di più negli occhi: quello che gioca con la testa bassa, che prova a saltare uno o due giocatori in ogni azione, che prova a portare attacchi decisivi anche partendo da centrocampo, senza avere la pazienza di appoggiarsi ai compagni. A volte ha dato l’impressione di concepire il gioco in modo troppo individuale, o troppo semplicistico. Il calcio come una lunga sequenza di sfuriate individuali palla al piede, tanti, inutili assalti di cavalleria. È la stagione in cui gli sono riusciti più dribbling (2.2 per 90’), ma anche quella in cui ne ha falliti di più (2.1) e in cui ha perso più palle. Nei suoi momenti di forma più opachi, Mourinho non lo ha fatto giocare, e in una delle migliori prestazioni stagionali della Roma – nel derby di ritorno contro la Lazio – Zaniolo se ne è stato in panchina per tutti e novanta i minuti. Senza di lui la squadra sembra meno pigra, più incline a palleggiare e a cercare soluzioni pazienti tra le linee.

 

Zaniolo, insomma, deve migliorare nelle letture per giocare in un sistema come quello della Roma, che gli richiede di prendere tante scelte complesse quasi in ogni azione. Deve imparare a essere più calmo e ad associarsi di più ai compagni. Sfruttare di più gli aspetti meno vistosi del suo gioco – le abilità nelle corse senza palla, una presenza in area di rigore sempre temibile, mostrata proprio nella finale di Conference League.

 

 

 

Nel mezzo, è riuscito comunque a dare un grande contributo alla Roma, anche senza contare uno dei gol più importanti della sua storia. È fra i migliori attaccanti del campionato per passaggi progressivi ricevuti, e quarto per corse progressive, quelle che fanno avanzare la squadra. È dietro a Leao, Berardi e Candreva. Senza Zaniolo per la Roma sarebbe stato molto più complicato risalire il campo, il suo talento ha messo una pezza alle scarse qualità in palleggio della squadra. Aspetti che raccontano di un contributo poco fumoso e molto concreto. Questo grande lavoro fisico, però, lo ha reso più impreciso negli ultimi metri. Spesso stanco e in affanno, ha servito pochi assist (2) e tirato molto e male. Si è preso tiri che non doveva prendere, e dentro l’area ha calciato senza lucidità. Ha tirato verso la porta più di Abraham (3.2 tiri per 90’, contro i 2.8 dell’inglese), raccogliendo appena 2 gol. Eppure sulle sue qualità balistiche ci sarebbe poco da discutere.

 

È questo stile di gioco individualistico e sterile, in sostanza, a rendere in fondo meritato questo premio di giocatore più fumoso dell’anno. Una categoria che si basa sulle nostre impressioni, quella di un giocatore che sembra sul punto di caricarsi il mondo sulle spalle, ma che quasi sempre fallisce. In passato lo hanno vinto altri giocatori protagonisti di annate negative, che ci hanno provato tanto e che sono riusciti poco. Giocatori che col tempo hanno trovato la misura, affilandosi e diventando decisivi. Lo scorso anno vinse Rafael Leao – oggi MVP del campionato – e quello prima Federico Chiesa – uno dei migliori giocatori offensivi dello scorso Europeo. Speriamo quindi che questo premio porti un po’ di fortuna a Zaniolo: il talento è lì, bisogna solo capire come metterlo a frutto.

 

Tags : As Romaconference leaguejosé mourinhonicolò zaniolouu awards

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

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