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Il laboratorio pazzo di Nick Nurse e Masai Ujiri
26 gen 2022
26 gen 2022
I Toronto Raptors sono la squadra più strana della lega.
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Julio Aguilar/Getty Images
(foto) Julio Aguilar/Getty Images
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Volendo scherzare con le percezioni, si potrebbe dire che i Toronto Raptors vivono in una bolla da ormai quattro stagioni. Prima la bolla onirica del titolo 2019, il primo della storia della franchigia; poi la bolla di Orlando, dove nonostante la partenza di Kawhi Leonard e le difficoltà della prima ondata della pandemia i Raptors uscirono soltanto alla settima partita della semifinale contro Boston; poi ancora la bolla di Tampa, sempre in Florida, dove i Raptors hanno dovuto giocare tutta la passata stagione per motivi di protocollo sanitario; e infine la bolla di para-mediocrità in cui sembrano finiti in questa stagione NBA 2021-22. Undicesimo attacco e diciannovesima difesa: quindicesimi spaccati per Net Rating (leggermente positivo, +0.7) e un record di 23 vittorie e 22 sconfitte. In questa stagione i Raptors hanno vinto due volte sul campo dei Milwaukee Bucks campioni NBA in carica e hanno battuto tre delle prime quattro del tabellone a Ovest (Golden State, Utah e Memphis), ma hanno anche perso contro Indiana, Oklahoma City e due volte con Detroit. Dal punto di vista statistico (e non solo) sia Fred VanVleet che OG Anunoby e Paskal Siakam – ovvero i tre giocatori di punta – stanno giocando la miglior pallacanestro delle rispettive carriere; eppure, nonostante la consueta organizzazione e la volontà di coach Nick Nurse di lasciare in campo le sue stelle anche per 42-43 minuti a sera, i Raptors sembrano sempre alla ricerca dell’ultimo centesimo per comporre il metaforico dollaro per trovare la definitiva chiusura del cerchio. https://www.youtube.com/watch?v=jwcZsX1aUgs

Che sia Scottie Barnes il pezzo mancante?

Di squadre ossimoriche, capaci di grandi prestazioni e di altrettante prove deludenti, se ne sono viste parecchie nel corso degli anni. Ma se ampliamo un po’ gli orizzonti, uscendo dal contesto odierno (lo stesso che dice che i Raptors potrebbero benissimo non partecipare ai playoff per il secondo anno consecutivo, nemmeno attraverso il play-in), ci accorgiamo che il programma della franchigia canadese appare più interessante di quanto non dicano record e prestazioni.Un lavoro seminaleToronto ha allestito un roster giovane e atipico, imbottito di giocatori dal grande atletismo e che fanno della polifunzionalità il loro punto di forza. Nel corso degli anni, il presidente delle operazioni cestistiche Masai Ujiri si è dimostrato fenomenale nel trasformare i Raptors in un autentico laboratorio di pallacanestro, un atelier quasi senza precedenti dove mettere in mostra quelle che saranno le mode future della lega. Provare ad analizzare la loro metodologia di lavoro può essere interessante per capire come si pongono le basi per una franchigia, se non vincente, quantomeno virtuosa.Guardate questo isolamento disegnato per Scottie Barnes contro Orlando.

Adesso guardate questo isolamento disegnato per Paskal Siakam contro Boston.

La somiglianza tra i due giochi non è di per sé gran cosa. Certo, l’esecuzione è pulita, le spaziature ordinate, il tocco di pregevole fattura: ma quanti canestri del genere si possono osservare all’interno di una regular season NBA? Per rendere la questione davvero interessante occorre introdurre l’elemento del Tempo. Non il timing con cui si muovono gli uomini sul parquet, né i secondi rimasti sul cronometro dei 24, ma il Tempo inteso come percezione di successione degli eventi: mentre Barnes ha segnato il suo canestro il 29 ottobre 2021, una manciata di partite dopo il suo debutto, il canestro di Siakam è datato 25 ottobre 2019. Tra le due azioni sono trascorsi quasi due anni esatti, eppure, a giudicare dai pattern tecnico-tattici osservabili, potrebbero benissimo essere entrambe state eseguite all’interno di questa stagione, o della scorsa, o di quella prima, o della prossima.Durante un clinic a Berlino nel corso degli Europei del 2015, Gregg Popovich disse che il primo giorno di ogni training camp i suoi Spurs iniziano con lo stesso esercizio. Soltanto dopo aver consolidato le fondamenta di sempre (le caratteristiche dinastiche) si iniziano ad aggiungere le novità, le modifiche sul piano tecnico e tattico. Ogni aggiustamento, per quanto importante, sarà sempre secondario al tracciare quelle linee guida da mantenere negli anni. Dall’arrivo di coach Nurse, i Raptors stanno facendo la stessa cosa, in una sorta di “innovare restando se stessi” ma con lo sciroppo d’acero al posto della salsa barbecue.

Barnes è sicuramente una delle novità di questa stagione. “Una point guard con misure da orco” come l’ha definito Lorenzo Neri, ma anche un ragazzo dalla competitività feroce che a 20 anni non si fa problemi a mettersi in isolamento spalle a canestro contro Kevin Durant.

Creare un modello di riferimento all’interno del proprio programma significa lavorare in modo seminale e mai circostanziale, piantando germogli che non necessariamente fruttino un successo immediato, piuttosto una visione d’insieme che sia al contempo flessibile e lungimirante. E flessibilità e futuribilità sono anche le due pietre angolari della cultura della franchigia canadese.Essere lungimiranti significa essere avveduti, prepararsi diversi piani per non rischiare di restare impantanati quando il tuo miglior giocatore saluta per trasferirsi a Los Angeles dopo una stagione dominante. Ma essere lungimiranti significa anche essere sagaci, scaltri, intuire in anticipo la temperatura del termometro della lega (cc: l’evoluzione del gioco), o dove si nascondono le insidie/opportunità – a seconda della situazione e dell’inclinazione filosofica.Esempi della saggezza (intesa come lungimiranza) di Ujiri se ne trovano ovunque, in ogni stagione. Indicare la trade che portò all’arrivo di Kawhi Leonard (e Danny Green, eterno sottovalutato) sarebbe fin troppo facile e finirebbe con l’oscurare la luna del suo talento. Ujiri non ha bisogno di possedere il coltello dalla parte del manico per compiere ottime decisioni. Riuscire a strappare Precious Achiuwa in una sign-and-trade con pochissimo potere contrattuale come quella con Miami della scorsa estate, accorgersi della necessità di prendere un hub come Marc Gasol per completare la squadra da titolo del 2019, oppure convertire i 90 milioni per cinque anni di Norman Powell nei più maneggevoli 54x3 di Gary Trent Jr.

Non soltanto Trent Jr. è l’unico tiratore davvero affidabile a roster ad eccezione di VanVleet, ma anche uno dei pochi a saper creare dal palleggio. Il suo 37% dalla lunga distanza è tanto importante quanto l’essere nel 68° percentile in situazioni di pick and roll: non a caso, con lui in campo i Raptors segnano 113.6 punti su cento possessi, il dato più alto della squadra.

Flessibilità e lungimiranza sono termini che si applicano molto bene anche all’attuale roster. Tolto l’esule Goran Dragic, nessun giocatore di Toronto ha 30 anni, e lo stesso Khem Birch (l’unico nato nel 1992) non li compirà prima del prossimo settembre. Al tempo stesso, ad eccezione forse del contratto di Siakam (il quale, comunque, è tornato sui livelli da All-NBA dell’anno del titolo), tutti gli altri giocatori hanno contratti corti e/o maneggevoli dal punto di vista finanziario, garantendo flessibilità nel caso in cui si decidesse di procedere verso strade diverse da quella attuale. Tutto succede per un motivoIl 22 settembre 2004, mentre l’emittente televisiva ABC (la stessa che da anni trasmette le NBA Finals) mandava in onda il più costoso episodio pilota della storia della televisione, quello di Lost, un 34enne semi-sconosciuto di nome Masai Ujiri iniziava a lavorare come scout per i Denver Nuggets. Chissà se, tra un video di un giovane talento e l’altro, Ujiri aveva il tempo di guardare John Locke esprimere il paradigma filosofico dell’intera serie, quel “Everything Happens for a Reason” che ai Toronto Raptors sembra essere più di un semplice mantra da biscotti della fortuna.«Questa è una copycat league ma noi non guardiamo mai a quello che fanno gli altri» ha dichiarato lo stesso Ujiri in un’intervista al New Yorker, rimarcando l’importanza non di seguire la moda del momento ma di costruirsi un’identità ben precisa. Per esempio, anche in un lega dove apertura di braccia e multidimensionalità sono concetti importanti per tutti, i Raptors sono gli unici ad avere dodici (!) giocatori misurati tra i 196 e i 206 centimetri: combo-forward, centri tattici, guardie sovra-strutturate, ma soprattutto progetti di wing creator, la cui moneta resta la più rara e perciò preziosa della lega. Pure all’ultimo Draft, con la partenza di Lowry ormai certa, Ujiri ha usato due delle tre pick a disposizione su due esterni (Scottie Barnes e Dalano Banton) dalle intriganti doti tecniche piuttosto che optare per Jalen Suggs o Josh Giddey e farne la propria point guard del futuro.

Tre esempi del playmaking di Barnes, la cui mano sinistra è già discreta per un destro naturale. Anche le capacità di scansione del campo e il decision making sembrano di ottimo livello, così come il jumper dalla media distanza (47.5% in stagione).

A voler ben guardare, il roster dei Raptors assomiglia un po’ all’accozzaglia di persone che si potrebbero trovare su di un'isola dopo un sinistro aereo. Ci sono pezzi da novanta come Siakam e VanVleet (che a gennaio viaggia a 25.4 punti e 7.4 assist di media con il 41% da tre su oltre 13 tentativi a sera) e journeyman NBA come Isaac Bonga e Svi Mykhailiuk; giovani in rampa di lancio come Barnes e Achiuwa e soprattutto tanti onesti lavoratori. Da Chris Boucher a Khem Birch, da Yuta Watanabe a Justin Champagnie: tanti undrafted portati a casa a prezzo di saldo con l’intenzione di rigenerarli o trasformarli in ottimi role player.Ma non fatevi ingannare dalla casualità: tutto succede per un motivo. Tutti hanno un compito ben preciso nella mente di Ujiri, il quale, dopo esser diventato General Manager per la prima volta in carriera a Denver nel maggio del 2010, pochi mesi prima della messa in onda dell’ultimo episodio di Lost, ha scelto di fare di Toronto la propria isola felice. Anzi, più che felice, unica, un luogo dove poter porre le basi di quella che, almeno nella sua visione, sarà la pallacanestro del prossimo futuro. Vantaggi e svantaggi di giocare una pallacanestro atipicaDa anni i Raptors fondano il loro credo su tre concetti predominanti: braccia, braccia e altre braccia. Braccia ovunque! Selve di braccia che compaiono davanti agli occhi degli avversari oscurando il canestro, tentacoli volanti che strappano o sporcano palloni su ogni possesso. I Raptors sono al primo posto per deviazioni (18.3 a partita) e palle recuperate (4), al terzo per palle perse provocate e al settimo per tiri contestati.

Tanti auguri a voler superare indenni il loro point of attack.

La difesa di Toronto concede pochissimi tiri dalla zona centrale del campo (tiri dalla media distanza, triple o tentativi al ferro), mentre tende ad ammorbidirsi lungo le corsie laterali. I Raptors non hanno problemi nel cambiare su ogni blocco, cercando di sfruttare l’atletismo della propria inesauribile batteria di esterni per non concedere vantaggi né perdere di aggressività. Inoltre, grazie allo stesso atletismo, Toronto possiede una delle migliori difese in transizione della lega (86° percentile), potendo accoppiarsi al volo in ogni modo senza mai concedere un mis-match vero e proprio. Tuttavia, almeno finora, gli avversari sono stati bravi a usare la fluidità dei quintetti imbottiti di esterni proposti da Nurse contro gli stessi Raptors. Non soltanto Toronto è la peggior squadra della lega nella correlazione tiri concessi al ferro (22.8, il sesto dato più basso) e percentuali degli avversari (66%, il sesto dato più alto), ma anche al quartultima per percentuali di rimbalzi difensivi disponibili catturati (70.4%). Numeri che calano nei quintetti con Siakam o Anunoby da centro nominale, rivelando quanto sia labile il confine tra modernità e fragilità.

Nella prima clip, un’azione ideale della difesa di Toronto. Nelle altre due, invece, uno dei punti di forza della squadra: i rimbalzi offensivi. Per una sorta di contrappasso dantesco, Toronto è primissima per rimbalzi offensivi disponibili catturati (33.1%), sfruttando ogni extra-possesso per alimentare quello che in situazioni normali è uno degli attacchi più statici della NBA.

Nella metà campo offensiva, i Raptors sono la squadra che gioca più isolamenti dopo Milwaukee e Brooklyn (sempre quella storia di trovarsi su un’isola) e la terzultima per numero di possessi giocati. Rispetto ai primi anni con Nurse in panchina, la selezione di tiro è meno pulita, meno incentrata su lay-up e triple. Toronto è sesta sia per tentativi dalla media distanza che per tentativi dal pitturato ma fuori dalla restricted area.Le idiosincrasie di Anunoby e Siakam, ancora lontani dall’essere a loro agio con la prospettiva di creare dal palleggio per i compagni, costringono Toronto a giocare una pallacanestro estremamente ricercata, dove in ogni possesso occorre sfruttare al meglio ogni mismatch disponibile.

Due belle penetrazioni di Siakam, entrambe però non finite al ferro. In questa stagione il camerunense ha tentato più tiri dal pitturato (157) che al ferro (138), e questo nonostante buone percentuali dentro al semicerchio.

Sebbene la sua parabola per il momento non sembri la stessa quella di altri esterni dalla storia simile, al suo quinto anno nella lega, e per il quinto anno consecutivo, Anunoby ha migliorato quasi ogni parametro statistico. I 18.8 punti di media a sera, i 16 tiri tentati, le 7.3 triple, i 3.3 liberi, i 2.4 assist e il 22% di Usage sono tutti careerhigh, e questo nonostante il 42% del suo contributo offensivo provenga ancora da situazioni di spot-up e transizione.

Visti i limiti al tiro lo staff di Toronto ha pensato bene di aumentare i suoi possessi in post-up (da 0.9 a 2.5 a partita), sfruttando la sua forza fisica nei mismatch contro avversari più piccoli di lui.

Con la sagacia tattica che lo contraddistingue, Nurse ha provato a mescolare le carte già diverse volte, allenando i suoi come fossero una squadra NFL, cambiando schema di partita in partita a seconda degli avversari. Accoppiare Siakam contro le guardie avversarie in difesa può servire a lucrare qualche punto in transizione, così come utilizzare VanVleet come se fosse Steph Curry ha aiutato a mantenere spaziature accettabili anche in quintetti pieni di non-tiratori. Per la verità, la sola presenza di VanVleet spesso è bastata da sola a rendere i Raptors una squadra competitiva: il suo Net Rating di +4.2 con lui in campo che diventa -10.5 senza è uno dei dati più ampi della lega. In questa stagione la guardia da Wichita State ha deciso di trasformarsi nella reincarnazione della Torcia Umana: 41% da tre, 45.8% nelle triple wide open, 48.6% in quelle in catch-and-shoot e addirittura 51.7% dagli angoli. Esercitare una pressione gravitazionale continua e costante sulle difese avversarie nonostante un Usage% relativamente basso (23%) è una cosa estremamente difficile, anche per giocatori capaci di grandi prodezze balistiche. Ma VanVleet è un po’ come il calabrone: non sa che senza il suo lanciafiamme l’attacco dei Raptors non sopravviverebbe, e se ne infischia della gravità o del buon senso, sparando da tutte le zone del campo.

Guardate come apre il fuoco da dieci metri oppure come basti un gioco a due con Siakam per creare un problema alle difese avversarie. E se VanVleet fosse il primo, vero, emule di Steph Curry?

“We have to go back!”Non è chiaro quale successo si aspettassero Ujiri e i suoi collaboratori già da questa stagione, con uno degli organici più giovani della lega e dopo una stagione di fatto nulla – il giocare a Tampa non ha soltanto invalidato il fattore campo, ma ha anche costretto molti ad arrangiarsi in situazioni poco piacevoli, creando un ambiente non sempre semplicissimo. Tuttavia, il tepore dei risultati ottenuti finora deve far riflettere. È come se, volendo proseguire l’analogia con Lost, la squadra non fosse ancora riuscita a trovare il modo di uscire dall’isola per tornare a competere ad altissimo livello.Attualmente i Raptors sembrano trovarsi nel tipico paradosso delle squadre mediocri: troppo forti per perdere davvero, troppo deboli per competere sul serio. A differenza dei predecessori, però, Toronto non ha un salary cap ingolfato né un roster disfunzionale. Ujiri ha fatto un lavoro eccezionale per lasciarsi aperta ogni strada in vista della seconda parte di stagione, dalla quale passerà una buona parte del prossimo futuro del gruppo attuale. Riuscire a salire di livello con il roster attuale manderebbe un segnale molto forte al resto della lega: agguantare i playoff, o anche solo giocarsi il play-in, non soltanto aggiungerebbe prestigio ma garantirebbe la possibilità di testare la mentalità del gruppo, visto che con il loro roster atipico privo di ruoli i Raptors sarebbero un accoppiamento indigesto, o quantomeno spiacevole, per molte squadre. https://twitter.com/DimeUPROXX/status/1466808580011659276?s=20

Un altro degli esempi della bontà del lavoro di Ujiri e dei Raptors: l’aver messo insieme giocatori non soltanto forti ma anche estremamente intelligenti dentro e fuori dal campo.

Al tempo stesso, restare fuori dai playoff per il secondo anno consecutivo non sarebbe di per sé un dramma. Il fatto che Siakam, un giocatore da 37 minuti di utilizzo medio, non sia all’interno del quintetto più utilizzato da Nurse in questa stagione rende bene l’idea delle difficoltà in cui, anche quest’anno, hanno dovuto lavorare finora in Canada. Inoltre, grazie a un’accurata programmazione da parte di Ujiri e del front office, i Raptors hanno ancora tutti gli assi nelle rispettive maniche. Possono decidere di continuare a puntare su questo gruppo, sperando nell’esplosione di Barnes; possono cedere uno dei loro pezzi da novanta (Siakam o VanVleet) e ricalibrarsi sul lungo-periodo attorno ad Anunoby (24 anni) e lo stesso Barnes (20); oppure possono continuare a vivere sulla loro isola, in attesa di nuove opportunità di mercato come Leonard, il quale se fosse rimasto forse ci avrebbe guadagnato in termini di competitività. Quello che è certo è che Ujiri e i Raptors non hanno alcuna intenzione di tornare nel dimenticatoio della NBA. E se per costruirsi una finestra di opportunità servono anche pazienza e fortuna, i Raptors restano una delle squadre più interessanti della lega. Il laboratorio resta aperto e, chissà, potrebbe pure impreziosirsi ulteriormente prima della prossima trade deadline; dopotutto, qualche giocatore atipico volenteroso di aggiustare la traiettoria della propria carriera si trova sempre. Dico bene?

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